Dushanbe agli altri Paesi ex-sovietici: ogni 'sovversivo' è un terrorista
Il potente capo del Comitato per la sicurezza nazionale Yatimov ha invitato i suoi omologhi della Csi ad agire "come un blocco unico" accantonando le "prudenze". In Tagikistan le associazioni per i diritti umani lamentano le persecuzioni contro attivisti sociali, giornalisti e semplici cittadini. I regimi autoritari unico vero filo rosso in una regione dove covano sotto la cenere i conflitti post-imperiali.
Dushanbe (AsiaNews) - Il capo del Comitato per la sicurezza nazionale del Tagikistan (Gknb), Saimumin Yatimov, ha lanciato un appello durante la riunione a Minsk dei suoi omologhi dei Paesi ex-sovietici della Comunità degli Stati Indipendenti, affinchè si abbandonino gli atteggiamenti prudenti, per unirsi in una lotta più decisa contro il terrorismo.
L’uomo forte del Tagikistan aveva anticipato questo suo messaggio incontrando i giornalisti, a cui aveva spiegato che “dobbiamo liberarci del dogmatismo pietrificato che considera le attività sovversive e i fenomeni di terrorismo come eventi separati e indipendenti tra loro”. A suo parere, i compiti dei vari servizi di sicurezza e controspionaggio si devono concentrare nel ritrovare il nesso tra questi avvenimenti, e chiarire le strategie complessive che li determinano.
Yatimov insiste sul fatto che “tutti questi fenomeni sono necessariamente ispirati, tra loro sussidiari, organizzati, pianificati e realizzati da soggetti concreti delle relazioni internazionali”, quindi serve un approccio adatto ai tempi che corrono, più “profondo e qualitativo nelle reazioni operative”, per concordare passi comuni da compiere “per il bene dei nostri popoli”.
Le dichiarazioni diffuse dalla stampa, in particolare dall’agenzia Tass, non chiariscono i dettagli di questi piani da realizzare insieme, anche se l’impressione generale è che il consiglio sia quello di dare più forza alle strutture di sicurezza rispetto alle stesse istituzioni politiche dei Paesi interessati, fenomeno abbastanza evidente in Tagikistan, dove Yatimov sembra imporsi sullo stesso presidente Emomali Rakhmon, ma con segnali importanti anche in Russia nel rapporto tra Vladimir Putin e Nikolaj Patrušev, e in parte negli altri Paesi della Csi.
Le associazioni per i diritti umani del Tagikistan criticano costantemente il governo di Dušanbe per le persecuzioni nei confronti degli attivisti politici e sociali, dei giornalisti e dei semplici cittadini, impedendo qualunque forma di libera espressione delle opinioni. Le tante persone arrestate, come capita anche agli oppositori di Putin, ricevono condanne a periodi infiniti di detenzione, spesso aumentati “in corso d’opera” con altre accuse, una tecnica vessatoria di memoria staliniana, per scomparire nel “tritacarne del Gulag” come Aleksej Naval’nyj, di cui si sono perse le tracce da due settimane.
Lo slogan lanciato da Yatimov affinchè “i Paesi della Csi agiscano come un blocco unico su tutte le questioni della sicurezza” si staglia sullo sfondo dei conflitti tra gli stessi Paesi ex-sovietici, Russia e Ucraina, Armenia e Azerbaigian, lo stesso Tagikistan per i confini con il Kirghizistan, per non parlare della incessante campagna vessatoria della Russia contro i lavoratori migranti dell’Asia centrale. Gli appelli sull’amicizia e la collaborazione appaiono dettati piuttosto dal timore di un’esplosione definitiva dei conflitti post-imperiali.
La Csi è all’origine dell’era aperta dal crollo dell’Unione Sovietica, quando l’8 dicembre 1991 si riunirono i capi di Russia, Bielorussia e Ucraina e organizzarono un incontro due settimane più tardi ad Alma-Ata, allora capitale del Kazakistan, insieme agli 8 capi degli altri Stati formati sulla base delle repubbliche sovietiche (tutti tranne i tre Paesi baltici) per sottoscrivere un accordo complessivo di collaborazione “a pari diritti” in campo economico, politico e di garanzie per la sicurezza complessiva e di ciascun popolo.
Oggi di quel gruppo rimangono Azerbaigian, Armenia (con tendenza verso l’uscita), Bielorussia, Kazakistan, Kirghizistan, Russia, Tagikistan e Uzbekistan. Il Turkmenistan si è arroccato da tempo nella sua politica di “neutralità assoluta”, la Georgia ha vissuto il primo vero conflitto con la Russia e la Moldavia si è staccata definitivamente dopo l’invasione dell’Ucraina. Gli Stati rimasti si caratterizzano tutti per i loro regimi autoritari, più o meno espliciti, e la sempre più invadente pressione delle strutture di forza e di sicurezza.I regimi autoritari vero
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