08/07/2023, 08.52
MONDO RUSSO
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Dov'è finita la Russia?

di Stefano Caprio

Tutta l’incredibile vicenda degli ultimi giorni, la marcia e la fuga di Prigožin, il ritorno a casa e la vergogna dei generali e dei funzionari, è davvero una replica di tante pagine della letteratura russa. A partire dalle dimensioni grottesche descritte nei personaggi del romanzo più russo della storia, le Anime Morte dell’ucraino di nascita Nikolaj Gogol’

Sono passate due settimane dalla “marcia della giustizia” della compagnia Wagner di Evgenij Prigožin, che ha percorso quasi 800 chilometri da Rostov a Tula, nei pressi di Mosca, con 25mila uomini, mercenari armati pronti a mettere a ferro e fuoco il Cremlino, per poi fare una bella inversione a U, e scomparire nel nulla. Da allora in Russia e nel mondo intero ci si angoscia con domande che manifestano un totale smarrimento geo-psichico, politico e morale: dov’è finito Prigožin? E dove sono i 25mila? E i generali che comandano le grandi armate, da Gerasimov a Surovikin? Prima ancora: dov’era Putin mentre era in corso la marcia su Mosca? Era nel bunker, in una villa di San Pietroburgo, nel castello sul mare, su uno yacht di un amico oligarca? Sono solo alcune delle questioni esistenziali e delle ipotesi metafisiche su cui si arrovellano politici, esperti e commentatori vari, e finora di risposte credibili se ne sono sentite poche, soprattutto rispetto alla domanda di fondo: dov’è finita la Russia?

Non è soltanto una domanda retorica, visto lo sconcerto che i “torbidi wagneriani” hanno provocato nelle anime dei russi e di tutte le persone estenuate da oltre 500 giorni di guerra insensata. È una domanda classica dell’anima russa, della sua storia e della sua cultura. Le vicende di questi ultimi anni stanno riportando sempre più la Russia alle dimensioni grottesche descritte nei personaggi del romanzo più russo della storia, le Anime Morte dell’ucraino di nascita Nikolaj Gogol’ a metà dell’Ottocento. In esse si narra la storia dell’imbroglione Pavel Čičikov, che già allora cercava di mettere insieme la sua “compagnia Wagner” di 25mila anime in realtà inesistenti, da arruolare presso i vari proprietari terrieri, gli oligarchi del tempo. La descrizione macchiettistica di questi possidenti è davvero una profezia della classe dirigente non solo russa, ma di ogni Paese che vive di menzogne e false pretese.

La corrispondenza impressionante sta nella descrizione della famosa trojka, la carrozza a tre cavalli che trasporta Čičikov da un luogo all’altro della Russia. La trojka è una piccola Trinità (Troitsa), riflessa doppiamente nel protagonista insieme ai due servi e ai tre cavalli in giro per la Russia, evocando la sacra immagine che ancora per dieci giorni troneggia nella cattedrale del Salvatore di Mosca, a gloria del patriarca e dello zar. Nel brano della fuga finale, dopo che l’inganno di Čičikov è stato scoperto, Gogol’ descrive la natura russa, la terra, il paesaggio, quelle coordinate geografiche e spirituali sempre indefinite, che aprono nuovi orizzonti e suscitano continue ambizioni, così descrivendo l’anima russa:

 

Ma quale russo non ama la velocità? È mai possibile che ad essa non aneli la sua anima, quell’anima che desidera la vertigine, il pazzo godimento, e a cui talvolta piace esclamare: “Vada tutto al diavolo!”. Come dunque potrebbe non amarla, dal momento che essa ci dà una sensazione esaltante e meravigliosa? Sembra che una forza ignota ti abbia afferrato e posato sulle sue ali, e tu voli, e tutto vola; volano le pietre miliari, ti volano incontro i mercanti sui loro carri coperti, vola ai due lati il bosco con le cupe file di pini e di abeti, con il risuonare dei colpi d’ascia e il gracchiare delle cornacchie; vola tutta la strada perdendosi nella lontananza, non si sa dove, e un non so che di pauroso spira da questo rapido balenare che ti lascia appena intravedere l’oggetto che fugge via; solo il cielo sopra la testa, e le nubi leggere, tra le quali traspare la luna, sembrano immobili. Ah, trojka, sei come un uccello! Chi ti ha inventata? Certo potevi nascere solo tra un popolo ardito, in una terra che non ama scherzare, che si è adagiata come un’immensa pianura per mezzo mondo, e puoi contarne di miglia (...) Non calza stivaloni alla tedesca il cocchiere; ha la barba e i guantoni e sta seduto lo sa il diavolo su che cosa; ma si solleva appena, alza la frusta, intona una canzone, e i cavalli scattano, i raggi delle ruote paiono fondersi in un unico, levigato cerchio, trema la strada, grida il pedone che si ferma spaventato, e la trojka alata vola, vola! E ormai, in lontananza, si vede soltanto qualcosa che solleva polvere e fora l’aria ...

Non è così, o Russia, che corri anche tu, come una trojka irraggiungibile? Sotto di te fuma la strada, tremano i ponti, tutto rimane indietro e pare fermarsi. Si ferma, stupefatto dal divino miracolo, lo spettatore: non è forse un fulmine lanciato dal cielo? Che cosa significa questa travolgente corsa? E quale forza sconosciuta in quei cavalli, ignoti al mondo? Ah, cavalli, cavalli ... che cavalli siete voi! Un turbine si nasconde forse nella vostra criniera? Un sensibile orecchio arde forse in ogni vostra vena? Avete udito scendere dall’alto la nota canzone, e tutti insieme, in accordo perfetto, avete proteso i petti di bronzo e, quasi senza sfiorare con gli zoccoli la terra, apparite come una linea distesa che vola nell’aria, e la trojka pare lanciata nello spazio da un anelito divino! RUSSIA, DOVE CORRI COSÌ? RISPONDI!

Non risponde. Il suono stupendo delle sonagliere si diffonde, l’aria freme e si trasforma in vento; vola a ritroso tutto ciò che si trova sulla terra e, guardando timorosi, si fanno da parte e le danno la strada gli altri popoli e le altre nazioni.

 

Nessuna pagina descrive l’anima russa in modo più intenso, una trojka sfrenata che divora il mondo. Questa è solo un’ispirazione letteraria, ma certamente molto elevata: la Russia è la novità che suscita la meraviglia o il terrore del mondo, a seconda della strada che prende, da Oriente a Occidente. Lo stesso Gogol’, del resto, rappresenta questa contraddizione nella sua stessa persona: voleva scrivere la storia della Malorossija-Ucraina, le ha dedicato un ciclo di racconti e romanzi come il noto Taras Bul’ba, per poi esaltarsi all’idea della “missione salvifica universale” della Russia. Le Anime morte volevano essere una Divina Commedia russa, narrata in tre parti: dannazione, redenzione, santificazione. Alla fine della redazione della prima parte “infernale”, il suo mentore Aleksandr Puškin gli disse che aveva descritto la Russia com’era veramente, facendo del giovane scrittore l’arbitro delle grandi diatribe tra “slavofili” e “occidentalisti”, che oggi si rinnovano negli scontri tra russi e ucraini; ma Gogol’ si disperò, perché la Russia che lui aveva in mente doveva essere molto più elevata, e cercò conforto nella religione e nella liturgia ortodossa, da lui descritta meglio di tanti teologi e patriarchi.

Per tornare all’attualità, la macchietta gogoliana di Prigožin è stata “redenta” dal suo inganno grazie alla magnanimità dello zar, e gli sono stati restituiti perfino i soldi e le armi che gli avevano sequestrato. Pare che sia tornato tranquillamente a San Pietroburgo, nella residenza principesca della sua città natale, ma forse è di nuovo in fuga per la Russia e per il mondo, con la sua trojka-aereo privato. E l’intero Paese sprofonda di nuovo nell’incertezza sul proprio destino, sulla guerra e sull’economia, mentre il dollaro sfonda di nuovo la barriera dei 100 rubli, come non accadeva da prima dell’avvento di Putin. Questo è infatti il risultato della sbandierata “operazione speciale” che doveva rimettere la Russia al centro del mondo: il ritorno al nulla del passato, alla dispersione e frantumazione di ogni sogno imperiale. La Russia si è persa, disciolta nelle acque della diga del Donbass.

Tutta l’incredibile vicenda degli ultimi giorni, la marcia e la fuga, il ritorno a casa e la vergogna dei generali e dei funzionari, è davvero una replica di tante pagine della letteratura russa, da Gogol’ a Dostoevskij e molti altri. L’aveva intuito anni fa uno dei protagonisti di questa tragicommedia, il ministro della difesa Sergej Šojgu, quando in Siria nel 2016 si era rifiutato di premiare Prigožin e il suo amico Sergej Surovikin, il generale “macellaio di Aleppo”, dicendo che “i gopniki non possono entrare nella storia”. Il gopnik è un termine sovietico, che indica la “vergogna della società cittadina” incarnata nei personaggi che vagabondano per le strade urbane facendo danni, furti e violenze, spesso fuorusciti dalle prigioni, con un linguaggio volgare e atteggiamenti sfrontati.

Prigožin è il gopnik per antonomasia, e Surovikin, anch’egli scomparso nelle nebbie degli ultimi giorni, era diventato suo grande sodale nelle scorribande russe contro l’Isis. Dopo aver perso e ripreso più volte l’antica città di Palmira, la Bakhmut del tempo, i due si dedicarono a quella che di fatto è diventata la specialità della Wagner, usare la guerra per fare soldi: Prigožin comprava le sue “anime morte” e Surovikin lo proteggeva, tanto da ottenere l’iscrizione ad honorem alla compagnia con il numero M-3744, esaltando la coppia del “cuoco” e del “macellaio”. Šojgu concesse poi le onorificenze per la presa di Palmira ad altri due generali, Valerij Gerasimov e Aleksandr Dvornikov, a loro volta attualmente dispersi.

In seguito, grazie anche alle campagne di successo e di guadagno in Africa, Prigožin ottenne comunque un premio da Šojgu, che gli consegnò una pistola Glock in segno di rispetto delle sue capacità di “sparare mirando”, uno slogan che alcuni vogliono usare per lanciare il leader “redento” alle elezioni presidenziali del prossimo anno, in alternativa al sempre più fatiscente gopnik del Cremlino. La Glock è stata restituita con le altre armi, e sembra davvero di tornare ai primi anni post-sovietici, con la guerra tra bande per spartirsi la torta dell’impero crollato, a cui Putin aveva messo fine ripristinando a suo modo la Russia di Stalin. Subito dopo la morte del dittatore georgiano, nei cinque anni che precedettero il XX Congresso del Pcus del 1957 e il rinnegamento di Stalin da parte dell’ucraino Khruščev, in Unione Sovietica era sorto una specie di movimento hippy, gli stiljagi per lo “stile” americaneggiante, che cominciarono a suonare una musica nuova, diffondendo il jazz anche al di qua della Cortina di Ferro. E ora si attendono i suoni della musica del futuro, affidata nuovamente all’improvvisazione.

 

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