Da Zero Covid a Zero Dynamic: l'Henan ora vuole 'azzerare' la disoccupazione giovanile
La terza più popolosa provincia cinese ha lanciato un piano dei "100 giorni" per rispondere alla mancanza di lavoro che colpisce il 20,4% dei giovani. Massiccio intervento dello Stato e ritorno dei laureati alle aree rurali le ricette per fronteggiare la crisi del settore privato, colpito dalla pandemia ma anche dalle misure contro le aziende dell'high-tech. Una strada che difficilmente potrà rivelarsi efficace mentre cresce il malcontento nelle università.
Pechino (AsiaNews) - La provincia dello Henan ha recentemente reso nota un’iniziativa a breve termine per combattere la disoccupazione giovanile nel suo territorio. Il piano mira a semplificare l’ingresso dei giovani laureati, soprattutto coloro con disabilità, provenienti da famiglie a basso reddito o disoccupati da lungo tempo, nel mondo del lavoro, e verrà implementato nei 100 giorni tra maggio e agosto. Secondo quanto dichiarato dal Dipartimento dell’Educazione provinciale la priorità saranno gli studenti che conseguiranno la laurea quest’anno, particolarmente penalizzati dagli anni di pandemia rispetto agli studenti di anni precedenti. La provincia dello Henan è la terza provincia più popolosa della Cina e solo quest’anno si aspetta almeno 800.000 nuovi laureati.
Per l’attuazione del piano sarà chiave il ruolo delle Università che durante il periodo stabilito avranno il compito di identificare i propri laureati e, non solo promuovere future opportunità - dalla possibilità di seguire un secondo corso di studi, all’ ingresso nel mondo del lavoro tramite opportunità nel settore pubblico, nelle imprese statali o nelle aree rurali- ma anche fornire loro la formazione individuale necessaria per essere assunti, formazione che potrebbe anche differire dal percorso di studi intrapreso fino a questo punto dagli studenti e che potrebbe contribuire alla discrepanza tra aree di studio e laurea e effettivo settore di impiego.
Denominato “Zero-Dynamic clearing” il piano non può che far pensare alla Zero-Covid policy di Xi Jinping, e ad una strategia che mira a combattere la disoccupazione giovanile attraverso un significativo intervento statale. Ma può l’intervento statale con piani a breve termine rappresentare una soluzione realistica al complesso problema della disoccupazione giovanile in Cina? Durante l’implementazione della Zero-Covid policy sono stati proprio i giovani a manifestare insoddisfazione verso i lunghi lockdown imposti e a dare il via alle white paper protests. I giovani cinesi oggi manifestano un simile stato di insoddisfazione e restano disillusi verso il loro futuro professionale e per il governo questo rischia di diventare un problema politico oltre che sociale.
Il crescente tasso di disoccupazione riguardante giovani compresi nella fascia di età dai 16 ai 24 anni affligge la Cina dal 2018, ed è significativamente peggiorato negli anni di pandemia. Oggi non è raro leggere tra i titoli dei media locali la frase “毕业即失业” ovvero “dopo la laurea la disoccupazione”, evidenziando una significativa vulnerabilità di giovani specializzati e istruiti. Secondo gli ultimi dati condivisi dal National Bureau of Statistics la disoccupazione giovanile nel Paese ha raggiunto ad aprile il 20.4%, un dato significativamente superiore se paragonato a Paesi come Giappone (5%), Corea del Sud (6.5%) e Taiwan (11.75%). Non solo, si stima che entro il 2028 il numero di giovani disoccupati nel Paese possa aumentare di 50 milioni, il dato peggiore dal 1978. Il tasso di disoccupazione giovanile tocca i livelli più alti normalmente tra giugno e luglio, con la consegna dei diplomi, e la tempistica del piano dello Henan fa pensare più a una mezza soluzione volta a non far peggiorare i numeri più che a una strategia che possa significativamente affrontare il problema.
Il numero di laureati in Cina è cresciuto più velocemente della domanda di lavoro e molti settori popolari tra i giovani istruiti- educazione, intrattenimento o tecnologie dell’informazione- sono tra quelli che attualmente crescono più lentamente. Secondo un’analisi del gruppo Goldman Sachs le lauree in settori come educazione e sport sono cresciute del 20% tra il 2018 e il 2021, ma la relativa domanda di lavoro è crollata nel medesimo periodo. Le politiche anti covid e i lockdown prolungati, poi, hanno messo in difficoltà piccole e medie imprese specialmente nel settore dei servizi, influenzando il tasso di occupazione, in particolare nelle zone urbane. Nel 2022 il 10% delle piccole e medie imprese cinesi ha chiuso definitivamente.
Alle difficoltà causate dalla pandemia sono andate ad aggiungersi quelle di recenti politiche statali che hanno ulteriormente indebolito sia il settore privato sia il mercato del lavoro nazionale. Nel 2021 il governo cinese ha messo in atto una massiccia campagna di repressione volta a limitare l’espansione delle maggiori aziende tecnologiche. Il caso più noto è quello di Alibaba, tuttavia tra le aziende colpite troviamo anche Tencent, ByteDance (proprietaria di TikTok) o Baidu. Le multe, conseguenza delle indagini antitrust, hanno fatto perdere alle compagnie miliardi di dollari, rallentando uno dei settori di maggiore attrattiva tra le nuove generazioni.
Strategie come quella proposta dalla provincia di Henan cercano di facilitare l’accesso a opportunità nel settore pubblico o nelle imprese statali. Tuttavia, in Cina è il settore privato il più significativo per l’impiego giovanile. Negli ultimi 10 anni, per ogni 1% di crescita del PIL, le aziende private hanno portato 6,4 milioni di posti di lavoro, contro gli 1,8 milioni delle imprese statali. Il settore privato in Cina costituisce il 60% del PIL, il 70% dell'innovazione tecnologica e l'80% dell'occupazione urbana e sono proprio le difficoltà del settore privato, florido nelle grandi città, ad aver inciso significativamente sulla disoccupazione giovanile.
Per attenuare il problema della disoccupazione il governo ha iniziato a favorire iniziative che prevedano il ritorno di giovani specializzati e lavoratori pendolari nelle zone rurali. Un’iniziativa simile fa parte anche del piano dello Henan, il Guangdong ha annunciato che pianifica di inviare nelle aree rurale 300,000 giovani entro il 2025. Iniziative simili sembrano voler risolvere i problemi del governo cinese, che fatica a guadare il divario tra zone rurali e urbane, piuttosto che gli effettivi problemi di occupazione. L’idea della vita in zone rurali viene romanticizzata spesso da influencer che pubblicizzano un’idilliaca vita nelle zone remote del paese. Un caso noto di questo fenomeno è quello di Li Ziqi, ventinovenne cinese del Sichuan e star di Douyin grazie ai suoi video di una vita in campagna. Tuttavia, i giovani professionisti che decidono di lasciare le città devono faticare per costruirsi una vita in aree dove la sanità e i servizi sono carenti, dove le scuole chiudono per mancanza di studenti e insegnanti e dove gli stipendi sono significativamente più bassi rispetto alle zone urbane.
Nei media locali questo tipo di iniziative sono state soprannominate Down to the Countryside 2.0, con chiaro riferimento alla politica Maoista degli anni ’60 e ’70 che vide il trasferimento forzato nelle campagne dei giovani laureati. Attualmente non hanno riscontrato un grande successo tra la popolazione interessata.
Ad oggi gli studenti che non cercano semplicemente un impiego ma che desiderano un percorso professionale in linea col proprio percorso accademico vengono definiti come incapaci di “accontentarsi”. Nella formazione al lavoro le Università vengono invitate a dare priorità agli studenti più interessati a un qualsiasi impiego a tempo indeterminato piuttosto che a un impiego nel loro settore di laurea, rendendo così più semplice veicolare la forza lavoro giovanile verso i settori di interesse del governo rimandando la risoluzione delle problematiche che affliggono i settori attualmente in crisi. E anche se questo dovesse in qualche modo alleviare il tasso di disoccupazione nel breve periodo, potrebbe incidere sensibilmente sul livello di insoddisfazione dei giovani cinesi.