Da Saddam ad Assad, il crollo dei regimi e il pericolo di ‘irachizzazione’ in Siria
Ad AsiaNews il prof. Saad Salloum traccia un parallelo fra il rovesciamento del raìs in Iraq e la fuga del dittatore siriano. In entrambi i casi sono serviti 13 anni per la loro cacciata “prosciugando” le risorse attorno al leader. Baghdad deve “adottare misure tangibili per garantire la ripresa della nuova Siria” partendo dalla lotta alla droga. Limitare il ruolo di Turchia e Iran, istituire un fondo per la ricostruzione.
Milano (AsiaNews) - “Si è sempre parlato di ‘libanizzazione’ dell’Iraq dopo l’invasione americana del 2003. Ora speriamo che la Siria non subisca una ‘irachizzazione’, ovvero che l’esempio iracheno non determini il futuro della Siria. Ecco perché, oggi, i siriani dovrebbero evitare [di commettere] gli stessi errori”. Saad Salloum, giornalista e professore associato di Scienze politiche all’università di al-Mustanṣiriyya a Baghdad, una delle più prestigiose della capitale, profondo conoscitore della regione mediorientale, traccia un parallelo fra la caduta dei regimi iracheno e siriano. “La ripetizione dello scenario iracheno - spiega lo studioso ad AsiaNews - è evidente nell’esempio seguente: la decisione di rovesciare Saddam Hussein è stata presa nel 1990, ma il regime è caduto solo nel 2003, cioè 13 anni dopo. Questo è lo stesso periodo che è stato impiegato con Bashar al-Assad, dopo la decisione di destituirlo nel 2011”.
Al riguardo, egli ricorda un detto utilizzato dall’allora inquilino della Casa Bianca George H.W. Bush che, sottolinea, “potrebbe spiegare la ripetizione di questo lasso di tempo: quando nel 1991 [durante la prima Guerra del Golfo] gli viene chiesto come avesse fatto a porre fine al dominio di Saddam, [il presidente statunitense] ha risposto: ‘Lo vedo come un pesce nell’acqua; non lo prendo, ma prosciugo l’acqua intorno a lui e lui muore!’”. Quindi, un lasso di tempo “di 13 anni” finalizzato al “prosciugamento di un qualsiasi regime”, chiosa, risulta “sufficiente” per la sua caduta “senza bisogno di pensare ad alcun fattore che prema il bottone della fine”.
Il crollo di Assad
“La caduta del regime di Bashar al-Assad in Siria - sottolinea lo studioso - ha rivelato una falla nella visione del governo iracheno. Una confusione nei suoi calcoli e un chiaro asservimento a progetti esterni che non hanno alcun legame con gli interessi nazionali” quanto piuttosto con quelli di altri attori, regionali e non, da Mosca a Teheran, fino a Washington. “Questo crollo - aggiunge - ha evidenziato una miopia e una mancanza di consapevolezza delle interconnessioni geopolitiche, culturali e demografiche che hanno caratterizzato le relazioni tra i due Paesi nella storia”.
La confusione sarebbe iniziata “quando i campi di Latakia si sono trasformati in roccaforti per il reclutamento di terroristi e l’invio di autobombe verso l’Iraq. Inoltre, nel 2009 Baghdad ha presentato una denuncia contro Damasco - ricorda - per il suo coinvolgimento nell’attentato al ministero degli Affari esteri”. In seguito, si è verificata “un’azione insolita del governo iracheno, che ha improvvisamente dimenticato tali violazioni - prosegue - e si è schierato completamente con l’(ex) regime siriano. Chiudendo un occhio sulla presenza di gruppi armati iracheni che difendono tale regime dal 2011, e ponendo l’intero peso politico dell’Iraq in mano al regime, senza considerare la probabilità di caduta o ascesa dell’opposizione, e senza prestare attenzione alle sofferenze del popolo siriano. Ciò ha comportato - conclude il ragionamento - un notevole divario nelle relazioni tra i due Paesi, dato il governo iracheno non ha mostrato alcun desiderio di coordinarsi con le fazioni dell'opposizione siriana e nemmeno con le tribù vicine alla striscia di confine”.
Una nuova visione
Il governo di Baghdad ha trascurato “differenze fondamentali” tra i due sistemi “dal punto di vista politico e ideologico” prosegue lo studioso. Mentre il sistema iracheno si basa su una Costituzione “che garantisce il pluralismo politico, le libertà pubbliche, le elezioni e il trasferimento pacifico del potere”, il sistema siriano si è fondato su un “regime individuale e totalitario che uccide e imprigiona gli oppositori in pieno giorno”. Da qui le critiche alla leadership che, spiega, “se avesse avuto sufficiente saggezza” avrebbe dovuto accogliere e sostenere “qualsiasi alternativa al regime di Assad” perché, qualunque fosse la forma, sarebbe stata “più vicina alla struttura del sistema iracheno”. Diversamente, si è perseguito nella scelta di “schierarsi con un regime autoritario e corrotto”. “Per superare questo accumulo di errori, voltare pagina rispetto al passato e realizzare una nuova visione che bilanci gli interessi dell’Iraq e della Siria” afferma Salloum, Baghdad deve “adottare misure tangibili per garantire la ripresa della nuova Siria”. L’invito, prosegue, è di “tagliare ogni strada che porti a rafforzare la dipendenza dal commercio di droga, che secondo le stime costituisce il 50% del Prodotto interno lordo (Pil) siriano”.
Al riguardo, Saad Salloum - già vincitore, primo musulmano, dello Zêd Foundation Award for Human Solidarity, riconoscimento assegnato a personalità distintesi nel campo della tutela dei diritti e delle libertà - riassume in alcuni punti le basi per “costruire ponti di fiducia” col popolo siriano: in primis, la distribuzione di aiuti umanitari urgenti sotto forma di cibo e medicine via terra, fungendo da “punto di lancio” per i beni di prima necessità; invio di squadre della Protezione civile irachena per “salvare vite umane” in una situazione di caos legato ai cambiamenti politici o per contribuire all’apertura delle prigioni del regime come Sednaya; fornire sostegno “nel campo dei combustibili e dell’energia” come fa l’Iraq per il Libano e la Giordania e, in un secondo momento, rilanciare l’oleodotto Kirkuk-Banias; un’iniziativa politica irachena “inclusiva” per riunire le fazioni siriane a Baghdad sotto l’ombrello dei vicini arabi, contribuendo alla riconciliazione delle parti e limitando il ruolo della Turchia e dell’Iran; avviare un “fondo per la ricostruzione della Siria”.
Equilibri di potere
Un compito non facile, perché lo stesso Iraq deve fronteggiare una crescente influenza di Teheran nella politica interna, grazie anche alla presenza di milizie - alcune delle quali si definiscono anche “cristiane”, come quelle legate al sedicente leader “Rayan il Caldeo” - sul territorio. Negli ultimi due decenni, infatti, l’Iraq si è trasformato da nemico a luogo strategico cruciale per le ambizioni regionali di Teheran, con Baghdad che costituisce uno dei principali centro del cosiddetto Asse della Resistenza, oltre a influenzare i conflitti interni e l’opposizione agli Stati Uniti. I funzionari iraniani hanno perseguito una strategia complessa, che comprende il sostegno ai gruppi miliziani sciiti, la costruzione di forti relazioni coi leader politici iracheni e la formazione degli aspetti culturali e sociali. Alcuni comandanti dei Pasdaran (Irgc) hanno definito il vicino come “una delle province dell’Iran” e la stessa Repubblica islamica è oggi preoccupata degli sviluppi interni al Paese. Ora l’esperienza siriana - con la caduta di Bashar al-Assad a rappresentare un colpo doloroso e strategico per Teheran - incombe sull’Iraq e a poco potrebbe servire la lunga formazione di milizie sciite e la vendita di armi e hardware a Baghdad, per un valore di quasi 10 miliardi di dollari.
“Il tema del cambiamento in Iraq - osserva Saad Salloum - è diventato una parte significativa delle discussioni, sulla base delle trasformazioni nella regione e dei conseguenti mutamenti nella cosiddetta influenza iraniana, soprattutto dopo quanto accaduto in Libano e in Siria”. “La potenziale minaccia - prosegue - non è il risultato di un’azione esterna, quanto piuttosto il prodotto dello stravolgimento negli equilibri di potere che hanno investito l’intera regione. Il sistema politico iracheno che si è formato nel 2003 è oggi solo una forma vuota e l’equilibrismo al potere è diventato l’elemento principale di governo. E quando si verifica una modifica nell’equilibrio a livello regionale, il cambiamento avrà inevitabilmente ripercussioni [anche] in Iraq”. Quanto è avvenuto in Siria, conclude lo studioso, sommato alla “pressione che l’Iran potrebbe subire con l’arrivo dell’amministrazione americana repubblicana e la prospettiva che l’influenza iraniana raggiunga le milizie in Iraq” sono tutti fattori che determineranno il quadro futuro.
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