Da Erbil a Duhok, viaggio nel Kurdistan irakeno fra mire autonomiste e derive islamiste
Duhok (AsiaNews) - Erbil e Duhok sono due fra i centri più importanti del Kurdistan irakeno, dove hanno trovato rifugio le centinaia di migliaia di cristiani e non in fuga dallo Stato islamico (IS).
Il percorso che le separa è una corsa piena di imprevisti: strade strette e sconnesse, a tratti si allargano a due corsie offrendo a camion e auto la possibilità di superarsi senza riguardi; distese aride, all'improvviso si colorano di verde; fiumicelli e pozze, si alternano a lunghi tratti desertici. E dietro le colline, a poche decine di chilometri, Mosul, da mesi diventata importante città del "Califfato".
Questo tratto di strada è la fotografia di una realtà sociale ed economica in continua espansione, ma invischiata in conflitti e contraddizioni lontane, che si ripropongono oggi sotto nuove forme: una guerra aperta con le milizie islamiste; una tensione col governo centrale irakeno; un conflitto ammantato di religione, il primo; una decennale frattura con le autorità centrali il secondo, dalle quali Erbil vorrebbe affrancarsi rivendicando autonomia.
Lungo il tracciato che separa le due città si incontrano diversi check-point; ogni snodo importante è controllato da polizia e militari che scrutano all'interno dell'abitacolo, studiano i documenti e verificano identità e provenienza degli occupanti.
Il rischio di infiltrazioni da parte delle milizie islamiche o di una loro avanzata verso est, sono un campanello d'allarme. La tensione si avverte anche discorrendo con alcuni interlocutori curdi, che parlano dei cristiani come "amici", ma che considerano gli arabi musulmani come "nemici", stranieri da cacciare e combattere.
In una terra insanguinata prima dalle atrocità di Saddam Hussein e ora minacciata dalla scure islamista, emergono con forza spinte nazionaliste e indipendentiste, libere dal giogo di Baghdad. In questa lotta separatista si infiltrano i jihadisti, che sembrano trovare seguito pure a Erbil e fra i musulmani curdi.
Ma sono ancora in molti a voler vivere lontano da spade e versetti del Corano recitati a memoria, da violenze e terrore. Per il momento a proteggerli restano un manipolo di combattenti (Peshmerga) e una barriera difensiva, un muro che separa il Kurdistan irakeno da Mosul, dalla piana di Ninive in mano ai miliziani.
Al presente l'equilibrio di forze che separa questi due mondi sembra reggere; ma come testimoniano i fatti della scorsa estate, è un equilibrio fragile che sotto la spinta di forze interne ed esterne potrebbe cedere di schianto. Qui si giocano gli interessi contrapposti - o in alcuni casi convergenti - di Stati Uniti, Arabia Saudita, Emirati, Qatar, Iran. Lo scontro rischia di aprire la strada a nuove centinaia di migliaia di profughi, famiglie cristiane - ma anche musulmane, yazidi, etc - che devono abbandonare in tutta fretta la propria terra e i beni personali, per non dover scegliere fra le alternative di conversione o morte.