Continua l’Intifada dei coltelli, ma “Israele non può continuare l’occupazione all’infinito”
Gerusalemme (AsiaNews) – Questa mattina una donna palestinese ha tentato di colpire delle guardie di sicurezza israeliane ad un posto di blocco nella West Bank ed è stata raggiunta da colpi di arma da fuoco. Il ministero israeliano della difesa non ha precisato se la donna è stata solo ferita o uccisa. La tensione nel Paese e nei Territori occupati è tale che ai tentativi di accoltellamento si risponde subito facendo fuoco e uccidendo.
Ieri un palestinese ha investito con la sua auto un gruppo di israeliani a un incrocio a Nablus. Quattro israeliani sono stati feriti; il palestinese è stato ucciso.
Più tardi, una donna palestinese ha cercato di accoltellare una guardia di sicurezza vicino alla colonia di Beitar Illit, nei Territori occupati. La donna è stata colpita dalla stessa guardia e si trova ora in terapia intensiva.
Un altro incidente è avvenuto a Nabi Ilyas nella West Bank, dove due palestinesi hanno accoltellato un israeliano che stava facendo delle compere. I due sono riusciti a fuggire.
Gli attacchi col coltello che fanno temere una “terza Intifada” sono cominciati in ottobre e finora hanno fatto 73 morti fra i palestinesi e nove fra gli israeliani. È stato ucciso anche un arabo palestinese e un migrante eritreo, linciato da una folla di israeliani che lo avevano scambiato per un assalitore.
Oltre che nella West Bank e in alcune zone israeliane, le violenze sono scoppiate anche a Gerusalemme est e a Hebron.
La maggior parte degli attentati sono opera di giovani palestinesi frustrati dall’occupazione israeliana, che hanno avuto parenti uccisi o che hanno subito umiliazioni nel passaggio ai check point. Le loro reazioni appaiono spontanee e sfidano anche l’Autorità palestinese che domanda una resistenza pacifica.
Le frustrazioni dei palestinesi sono accresciute dalle violenze dei coloni e dai loro tentativi di visitare la Spianata delle moschee a Gerusalemme e di voler pregare nel luogo santo. Il governo del premier Benjamin Netanyahu, che oggi incontra il presidente Usa Barack Obama, ha dapprima facilitato queste visite e poi davanti alle violenze ha cercato di fare marcia indietro.
Personalità israeliane e palestinesi, intervistate da AsiaNews, si dicono “molto preoccupate” e “pessimiste” sul futuro. Un rabbino conservatore ha dichiarato che “Israele non può fare altro che difendersi”; una personalità palestinese ha detto che non vi potrà essere via d’uscita alla violenza se Israele non allenterà l’oppressione e non indicherà una via per far finire l’occupazione.
Tale posizione è condivisa anche da Yehuda Shaul, co-fondatore di “Breaking the silence”, un’organizzazione di soldati israeliani che denunciano le violenze degli israeliani nei Territori occupati.
In un articolo scritto per “The Jewish Week” (del 19 ottobre 2015), Shaul scrive: “Chiunque pensi che Israele possa controllare i palestinesi in maniera indefinita con la forza soffre di cecità. E chiunque non comprenda il nesso fra questo controllo e la violenza e la paura che sono tornate nei nostri cuori e nelle nostre strade nelle ultime settimane potrebbe guidarci verso disastri più gravi di quelli che stiamo già vivendo. I soldati, come me, vengono ora inviati per mostrare ai palestinesi la forza senza compromessi di Israele e del suo esercito. Anche se questa tattica volatile dovesse aver successo nel frenare la violenza per il momento attuale, in assenza di cambiamenti radicali quella tornerà presto. Periodici momenti di violenza sono parte inseparabile della visione a ‘Stato unico’ della destra israeliana, rappresentata da Shaked. Per evitare il prossimo round di violenza, in nome del nostro futuro comune nella regione, dobbiamo riconoscere i fallimenti della nostra leadership e chiedere di lavorare insieme per la fine dell’occupazione una volta per tutte”.
01/12/2017 12:03
29/11/2016 08:55