Come gli Emirati, anche Riyadh potrebbe ‘cancellare’ il venerdì islamico
Un articolo del quotidiano Okaz rilancia l’ipotesi di un cambiamento del fine settimana nel regno, culla della fede musulmana. Il venerdì giorno lavorativo, e la festività slitterebbe al sabato e domenica per seguire le principali piazze finanziarie globali. Si apre il dibattito in rete, molte le voci contrarie perché si segue “la gente del Libro”.
Riyadh (AsiaNews) - Una proposta destinata a sollevare intense discussioni e animare pareri contrapposti, ma che testimonia il cambiamento dei tempi per la nazione culla dell’islam e che, al suo interno, ospita i due più importanti centri del mondo musulmano sunnita (e non): la Mecca e Medina. In un articolo pubblicato nei giorni scorsi il quotidiano locale Okaz ha titolato: “Il venerdì è un giorno lavorativo”, rompendo così il tabù su quello che la fede di Maometto considera il giorno di festa per eccellenza. Nell’approfondimento la cronista Mona Al-Otaibi si chiede se il tradizionale fine settimana “venerdì-sabato” nel regno abbia bisogno di una revisione, avviando un forte dibattito sui social network fra favorevoli e feroci contrari.
L’articolo evidenzia le potenziali perdite legate al mancato giorno lavorativo il venerdì, come invece accade in gran parte del mondo, soprattutto quello finanziario. La proposta è di spostare dunque il fine settimana al sabato-domenica, seguendo le orme dell’altra nazione leader del Golfo e rivale in molti ambiti di Riyadh: gli Emirati Arabi Uniti (Eau) che hanno effettuato il controverso cambiamento lo scorso anno, dopo averlo annunciato nel 2021. Oggi in Arabia Saudita vige la configurazione frutto del decreto reale del defunto monarca Abdullah nel 2013, che slittava il fine settimana di un giorno dal giovedì-venerdì, al venerdì-sabato.
Una scelta, spiegano gli esperti, fatta per allineare le attività economiche e commerciali saudite ai mercati internazionali, che osservano prevalentemente il sabato-domenica come week-end. Il Qatar, membro del Consiglio di Cooperazione del Golfo (Ccg), era stato uno dei primi ad adottare il fine settimana sullo schema venerdì-sabato circa 20 anni fa, seguito dal Bahrein nel 2006 e dal Kuwait l’anno successivo. Il Sultanato dell’Oman ha attuato il cambiamento un mese prima dell’Arabia Saudita nel 2013. Nel mondo arabo lo schema è adottato da Algeria, Egitto, Giordania, Libia e Iraq mentre il Libano (con una significativa popolazione cristiana), Marocco e Tunisia sabato e domenica sono giorni liberi, pur con chiusure temporanee per partecipare alla preghiera del venerdì.
Un importante dissidente e attivista saudita, noto online come Mujtahidd, è stato tra i primi utenti sauditi di Twitter a reagire all’articolo, sottolineando che vuole “preparare” il Paese a “cancellare la festa del venerdì” forse su imbeccata dell’ex consigliere reale Saud Al-Qahtani. Immediate le repliche di altri internauti, in gran parte contrari ai cambiamenti. “La preghiera del venerdì - scrive un utente - diventeranno preghiere di mezzogiorno nei luoghi di lavoro”. Altri suggeriscono che il cambiamento finisce per “emulare” la Gente del Libro (ebrei, cristiani), affermando che “è l’inizio della fine”. Un altro ancora ricorda che “il venerdì è di lavoro, mentre sabato e domenica è vacanza per ebrei e cristiani”. Tuttavia, vi sono anche voci favorevoli o comunque non ostili in toto alla proposta. “Il venerdì - afferma un utente - per noi è un giorno sprecato”, mentre qualcuno ritiene che il venerdì lavorativo finirebbe per “raddoppiare” le presenze in moschea “rispetto alla situazione attuale”. Vi è infine chi critica la decisione, perché segue quanto fatto dagli Emirati Arabi Uniti, a conferma di una rivalità percepita anche a livello di popolazione: “Una giustificazione ridicola, perché l’economia saudita dipende dall’esportazione di petrolio, che non si ferma mai. E non è un‘economia diversificata, che può essere influenzata da un giorno di riposo. È chiaro che si tratta solo di un’imitazione di quanto accaduto a Dubai, niente di più”.
Nell’affrancare il Paese dalla dipendenza dal petrolio, base del programma “Vision 2030”, Mohammed bin Salman (Mbs) ha messo mano - seppur con attenzione - all’impianto radicale della fede musulmana e alla vita sociale della nazione. Le riforme introdotte dal 2019 hanno toccato la sfera sociale e i diritti fra cui il via libera per la guida alle donne, l’accesso (controllato) agli stadi e potenziato l’industria dell’intrattenimento e le nuove tecnologie, oltre all’ambito religioso con un progressivo abbandono della “wahhabismo”. Tuttavia, gli arresti di alti funzionari e imprenditori, la repressione di attivisti e voci critiche e la vicenda Khashoggi hanno gettato più di un’ombra sul reale cambiamento, il cui vero motore sembra essere il “dio denaro”.
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