Cisgiordania: tre palestinesi uccisi dall’esercito israeliano
A Beit Ommar una persona è deceduta dopo essere stata colpita da un proiettile alla testa. Due fratelli di 22 e 21 anni uccisi dai militari nei pressi di Ramallah. Il premier incaricato Netanyahu firma un accordo di coalizione con Avi Maoz, leader di Noam, partito anti-arabo e nazionalista.
Gerusalemme (AsiaNews) - È di almeno tre palestinesi uccisi il bilancio di alcuni scontri avvenuti nella notte fra Forze di sicurezza israeliane e manifestanti in Cisgiordania, teatro nelle ultime settimane di una escalation che preoccupa papa Francesco e la Chiesa di Terra Santa. Secondo il ministero palestinese della Sanità una persona è deceduta dopo essere stata colpita alla testa da un proiettile esploso da un soldato israeliano a Beit Ommar, nei pressi della cittadina meridionale di Hebron, dove si registrano le maggiori tensioni fra coloni ebraici e arabi.
In una nota l’esercito con la stella di David afferma di aver aperto il fuoco contro “rivoltosi” che avevano lanciato in precedenza pietre e ordigni esplosivi verso i soldati. Nel mirino una pattuglia composta da due veicoli che stava presidiando l’area di Beit Ommar e rimasta bloccata a causa di un problema tecnico a uno dei mezzi. Un secondo scontro è avvenuto a Kafr Ein, vicino a Ramallah, sede dell’Autorità palestinese: due fratelli di 22 e 21 anni, Jawad e Dhafer Abdul Rahman Rimawi, sono stati uccisi dall’esercito israeliano.
Fra i primi a commentare le violenze della notte vi sono i leader di Hamas, movimento radicale islamico al potere nella Striscia di Gaza, che parlano di “escalation” impressa da Israele contro la quale i palestinesi sono pronti a opporre una “resistenza crescente”. Minacce che alimentano i timori di una ulteriore scia di sangue in Cisgiordania, innescate da una serie di attacchi in Israele fra marzo e aprile che hanno innescato la risposta dell’esercito israeliano autore di oltre 2mila raid. A oggi il bilancio è di almeno 125 vittime palestinesi, il più pesante degli ultimi sette anni secondo le stime delle Nazioni Unite.
A soffiare sul fuoco della tensione vi è anche la formazione del nuovo governo israeliano guidato dal premier incaricato Benjamin Netanyahu, sempre più orientato verso la destra radicale e religiosa. Dopo il ministero della Polizia a Itamar Ben-Gvir in queste ore è giunto l’accordo di coalizione con Avi Maoz, leader di Noam, un partito religioso-nazionalista, dichiaratamente anti-arabo e contro i diritti per il movimento Lgbtq. Egli dovrebbe assumere la carica di vice ministro e guidare una autorità per “l’identità ebraica”. Il primo ministro uscente Yair Lapid lo ha descritto come “pazzo totale”, mentre i leader palestinesi avvertono circa i pericoli di una “coalizione fascista”. Critiche giungono anche dai movimenti per i diritti degli omosessuali, più volte nel mirino in passato di Maoz perché considerati una “minaccia” per la famiglia.