Cina e Vaticano: reazioni incredule e di sconforto al “voltafaccia” di mons. Ma Daqin, vescovo di Shanghai
Dopo essersi dimesso dall’Associazione patriottica, e aver subito quattro anni di arresti domiciliari, mons. Ma sembra ritrattare le sue posizioni ed esalta l’AP e la sua funzione per la Chiesa cinese. Per alcuni fedeli egli “è stato costretto”; per altri egli è vittima di “troppe pressioni”; per altri ancora questa “sottomissione” è il “prezzo da pagare” per ridare libertà alla comunità di Shanghai, dove forse riaprirà il seminario (chiuso da 4 anni) in settembre. In Vaticano non si dà molto credito alle dichiarazioni del prelato. Un vescovo cinese si domanda se è ancora utile il dialogo fra Santa Sede e Cina e teme che qualcuno in Vaticano abbia pilotato la “confessione” di Ma Daqin per far piacere al governo cinese.
Città del Vaticano (AsiaNews) - Personalità vaticane consigliano di “non dare troppa importanza a quanto scritto” in un blog pubblicato lo scorso 12 giugno dove mons. Taddeo Ma Daqin si proclama sostenitore dell’Associazione patriottica (AP) e chiede perdono per gli errori commessi nel recente passato. Ma fra sacerdoti e laici cinesi di diverse zone della Cina, la “riconversione” del vescovo di Shanghai, da quattro anni agli arresti domiciliari, sta creando reazioni di sgomento, incredulità, dolore, oltre che ira verso il governo che riesce a “isolare un suo cittadino per 4 anni” e dopo tante pressioni “a fargli confessare qualunque cosa”. In più, un vescovo teme che in Vaticano qualcuno abbia suggerito la “confessione” a Ma Daqin per far piacere al governo.
Il giorno della sua ordinazione (v. foto), approvata dalla Santa Sede e dal governo, il 7 luglio 2012, mons. Ma aveva comunicato la sua decisione di uscire dall’Associazione patriottica per dedicarsi in pieno all’impegno pastorale. Durante la cerimonia egli aveva anche evitato l’imposizione delle mani da parte di un vescovo illecito. Per questa sua “insubordinazione”, poche ore dopo la cerimonia egli è stato posto in isolamento nel seminario di Shanghai a Sheshan, ai piedi del santuario di Nostra Signora Aiuto dei cristiani, dove molto raramente può ricevere visite e “non ha diritto” di portare alcun segno episcopale: né berretta, né croce, né celebrare in pubblico.
La “vendetta” delle autorità per un simile schiaffo alla politica religiosa della Cina è stata totale: seminario chiuso; ordini religiosi femminili controllati, casa editrice diocesana bloccata; nessuna apertura di porta santa nel Giubileo della Misericordia; ingenti somme sparite dai conti della diocesi. A mons. Ma è stato strappato il titolo di “vescovo” di Shanghai e sottoposto a “un’inchiesta per aver violato le regole”. Il governo della diocesi è stato intanto affidato a cinque sacerdoti-decani che però possono solo gestire gli aspetti più usuali e meno problematici. In tale situazione, la diocesi di Shanghai, una delle più vive della Cina, rischia di soffocare di inedia.
La “confessione”
È a questo punto che salta fuori il capovolgimento e la “riconversione” di mons. Ma Daqin.
Per tutti questi anni, mons, Ma ha potuto avere un blog su sina.com, su cui egli ha postato spesso sue riflessioni spirituali, o confidenze, partecipando in modo virtuale agli eventi della Chiesa universale e locale. Talvolta il blog veniva oscurato, ma poi ritornava in vita. Il 12 giugno scorso egli ha postato un articolo che pubblichiamo in traduzione pressocché integrale. Esso è il quinto di una serie dedicata alla figura di mons. Aloysius Jin Luxian, vescovo ufficiale di Shanghai, morto nel 2013, di cui egli era stato ordinato coadiutore (per il governo; ausiliare per la Santa Sede), in occasione del centenario della sua nascita, il prossimo 20 giugno. L’articolo, dal titolo “Ci ha guidati sulla via dell’amore della patria e della Chiesa”, esprime apprezzamento per il modo in cui mons. Jin ha potuto tenere insieme il suo slancio evangelizzatore con il rispetto e la collaborazione con l’AP. Nel testo si esalta la capacità di mons. Jin nel ricercare “l’indipendenza” della Chiesa cinese, il suo non dipendere da “stranieri” nel governo e nel personale, ma nello stesso tempo il voler vivere in unità con la Chiesa “una, santa, cattolica e apostolica”. L’insegnamento di mons. Jin, continua mons. Ma, lo ha aiutato a “rispettare le leggi dello Stato” e a vedere in modo positivo il contributo dell’AP nella gestione della vita della Chiesa. A un certo punto emerge quella che si potrebbe chiamare una “confessione”: “Per un certo tempo – scrive mons. Ma - ho subito l’abbaglio di elementi stranieri per cui ho detto e fatto errori verso l’AP. Dopo aver riflettuto mi sono accorto che sono state azioni non sagge. La mia coscienza non era tranquilla perché avevo fatto del male a persone che per lungo tempo si erano presi cura di me e mi avevano aiutato. Avevo rovinato il buono stato della diocesi che Mons. Jin aveva con tanta fatica costruito. Tali errori non dovevano avvenire nella Chiesa di Shanghai dalla lunga tradizione di amore per la patria e per la Chiesa. Per questo, nel profondo del cuore non mi sentivo in pace e avevo rimorsi e speravo di aver l’occasione di rimediare ai miei sbagli. Ho sempre mantenuto una forte affezione per l’AP di Shanghai, derivata dal suo ruolo costruttivo e dal suo contributo allo sviluppo della Chiesa, nell’attuazione della politica della libertà religiosa e nella ripresa delle attività religiose e nella crescita del ministero pastorale dopo il lancio dell’apertura e delle riforme, e in particolare, tutte, grandi e piccole azioni a mio riguardo da quando vi sono entrato. L’AP non è come all’estero molti la giudicano. Credo che la maggior parte del clero e dei fedeli di Shanghai l’appoggiano e ne hanno fiducia. Nello sviluppo della Chiesa in Cina l’AP ha un ruolo insostituibile”.
E conclude così: “Nell’ inno della veglia pasquale, cantiamo il ‘Felix Culpa’: questa parola sembra oggi darci una sferzata ma anche una speranza: sferza i nostri peccati e sbagli [in cui] siamo caduti e dobbiamo fare la penitenza; speranza perché dopo aver ricevuto l’ammonimento, [da] dove siamo caduti, dobbiamo alzarci e iniziare una nuova vita”.
Le reazioni
Fra molti fedeli cinesi vi è incredulità per questo “voltafaccia” di mons. Ma. Un cristiano della Cina centrale non è “sicuro” che l’articolo sul blog sia davvero mano del vescovo. “Lui non aveva mai parlato di politica in precedenza. In più, da qualche mese il suo weibo [il Twitter cinese] è stato cancellato. A causa di ciò non si può contattare mons. Ma in nessun modo e chiedergli spiegazioni per questo cambiamento”.
Per diversi giovani fedeli di Shanghai “è tutta una bugia: la lettera non è del vescovo; è stata scritta da qualcun altro. È il solito gioco del governo, a cui non crediamo più”.
L’incredulità è anche dovuta al fatto che in questi anni mons. Ma era divenuto in qualche modo un simbolo della resistenza della Chiesa (ufficiale!) alle ingerenze del governo e dell’AP nella vita delle comunità e molti si auguravano che altri vescovi (ufficiali) potessero seguire il suo esempio rimanendo fermi nei principi della fede. L’atteggiamento netto di mons. Ma aveva prodotto una maggiore unità nella Chiesa di Shanghai fra le comunità ufficiali e sotterranee. Queste ultime, infatti, non accettano l’iscrizione all’AP, dato che nel suo statuto vi è il principio di voler costruire una Chiesa “indipendente” dalla Santa Sede. Un sacerdote della Cina del nord teme che questo nuovo atteggiamento di mons. Ma possa ancora una volta “dividere la comunità e farla annegare nella confusione. Il governo sa come guadagnare da queste situazioni”. Secondo il sacerdote, mons. Ma “è stato costretto a scrivere quelle cose, forse in cambio di un minimo di libertà. È una specie di prezzo da pagare, come nel caso del vescovo di Zhouzhi (Shaanxi)”. Il riferimento è a mons. Martin Wu Qinjing, ordinato senza il permesso dell’AP e tenuto per 10 anni in isolamento. E’ stato installato dal governo come vescovo della sua diocesi solo dopo aver accettato di concelebrare con un vescovo illecito.
Anche un sacerdote, della Cina dell’est cita l’esempio di mons. Wu: “Credo sia una imposizione come per Zhouzhi”, dice ad AsiaNews. E aggiunge: “Questo fatto mi addolora. Mons. Ma Daqin era diventato il modello per chi soffre difficoltà a causa della fede. Oggi in Cina si gioca una grossa sfida. Fra i giovani sacerdoti spesso si cerca una situazione di comodo e di tranquillità, senza problemi. Invece è necessario conservare alcuni punti fermi da cui non si può tornare indietro, altrimenti il governo rischia di assorbire la vita della Chiesa trasformandola in un organismo senza senso”.
Altri fedeli di Shanghai pensano che l’articolo provenga proprio dalla mano di mons. Ma e sono contrariati per questo: “Ciò che egli ha testimoniato finora - dice Jiang, 30 anni - è ora inutile. Se avesse continuato, avrebbe potuto avere un impatto positivo su tutta la Chiesa”. Altri però mostrano compassione e comprensione per il vescovo: “Chissà cosa deve aver sopportato e sofferto per così tanto tempo. Ormai il governo non lascia scampo nel rafforzare il suo controllo sulla Chiesa, facendola dominare dall’AP e dal consiglio dei vescovi” [entrambi organismi non riconosciuti dalla Santa Sede]. “Penso – dice un altro giovane – che nessuno possa resistere a pressioni e isolamento per troppo tempo. Il governo cinese sa far confessare perfino alle pietre i propri errori in televisione”. Il riferimento è alla serie di numerose “confessioni” diffuse in tivù da parte di attivisti, giornalisti, editori, avvocati per i diritti umani con i loro “pentimenti in diretta”.
Da questo punto di vista ha molto valore il commento di una personalità vaticana (che ha scelto l’anonimato) che ad AsiaNews consiglia di “non dare troppo valore a questa ‘confessione’, finché non si conoscono le condizioni in cui essa è avvenuta”. La personalità esclude che sia stato il Vaticano a consigliare mons. Ma ad “addolcire” la sua posizione.
Diverse persone si domandano quale sia il “guadagno” di Ma, pagato a così caro prezzo. Ad esempio, in questi giorni sono sempre più forti le voci che pronosticano l’apertura del seminario di Shanghai per il prossimo settembre. Il seminario era stato chiuso proprio in seguito alla “collaborazione” dei seminaristi con mons. Ma: durante la cerimonia di ordinazione episcopale, avevano tenuto fuori dalla chiesa i vescovi illeciti che volevano aggiungersi alla celebrazione.
Un vescovo cinese del sud della Cina si domanda: “È un peccato che il Vaticano taccia. A mio avviso, la Santa Sede deve ribadire che l'articolo contiene elementi non compatibili con la dottrina della Chiesa, non importa chi sia il suo autore. Il silenzio crea solo confusione e molte domande: come è possibile che la Santa Sede continui a mantenere il dialogo col governo cinese permettendo una tale manipolazione su un vescovo? Non vorrei che la ‘riconversione’ di Ma Daqin sia pilotata da qualcuno del Vaticano per promuovere un dialogo sempre più inutile!”.
17/06/2016 10:32
16/11/2017 11:36