Caritas Siria: sangue cristiano su Damasco, chiese colpite e fedeli uccisi
Mentre a Vienna si apre la due giorni di colloqui di pace Onu sulla Siria, sul terreno si continua a combattere e morire. Dall'inizio dell'anno la capitale oggetto di un lancio incessante di mortai. Il drammatico racconto dall’ospedale che ha accolto morti e feriti. Il silenzio dei media occidentali sulla tragedia in atto.
Damasco (AsiaNews) - Oggi a Vienna (Austria), si apre la due giorni di colloqui di pace Onu dedicata alla Siria. Attesa la partecipazione di entrambe le delegazioni - governativa e dei gruppi ribelli - per discutere dei passi da attuare per giungere a un cessate il fuoco stabile e duraturo nel contesto di un conflitto che ha già causato oltre 340mila vittime. Al contempo prosegue l’offensiva dei turchi nella regione settentrionale di Afrin, dove gli scontri fra le truppe di Ankara e i le milizie curde hanno già provocato almeno 32 vittime, anche fra i civili. In uno scacchiere siriano in continua evoluzione, nelle ultime settimane si registra un aumento delle violenze che hanno colpito anche la stessa capitale, Damasco, provocando decine di vittime e feriti. Nel mirino anche la stessa comunità cristiana, con danni gravissimi a chiese e luoghi di culto e la morte di uomini, donne e bambini. Di seguito, ecco il racconto della responsabile comunicazione Caritas Siria:
Dal primo gennaio di quest’anno alcuni gruppi collegati ad al-Qaeda hanno lanciato una offensiva di vasta scala per riconquistare una base militare di importanza strategica, situata nella periferia orientale della capitale Damasco. La base di armi e mezzi è il più grande complesso della regione di Ghouta est, la quale si estende da Harasta fino ad Arbeen. La struttura ospita al suo interno un gran numero di soldati, oltre che un enorme deposito di armi.
Da allora, i raid aerei dell’aviazione siriana hanno iniziato a colpire le postazioni di al-Qaeda nella cittadina di Harasta; in risposta, i miliziani hanno cominciato a colpire di tanto in tanto alcuni quartieri di Damasco con colpi di mortaio e razzi. Centrata, in special modo, la parte vecchia della città, all’interno della quale sorgono molte chiese e scuole cristiane.
Negli ultimi 20 giorni, i colpi di mortaio hanno colpito più di cinque chiese provocando gravissimi danni materiali, oltre che morti e feriti fra la popolazione civile.
Lo scorso 22 gennaio, alle 2.15 del pomeriggio, che è l’ora di punta a Damasco allorché gli studenti escono dalle scuole e gli impiegati lasciano i loro luoghi di lavoro, alcuni colpi di mortaio hanno iniziato a piovere sulla città vecchia (Bab Touma, Bab Sharki e Al-Amin Street). Il bilancio complessivo dei lanci di mortaio è di almeno 12 morti e circa 31 feriti.
L’ospedale francese (il S. Louis Hospital) è stata la principale struttura ospedaliera interessata alla cura dei feriti, perché è anche il nosocomio più vicino alla città vecchia. Per avere una minima idea della situazione umanitaria che si stava consumando suo interno, vorrei condividere con voi alcune storie che ho raccolto al suo interno. Mi sono state raccontate, dietro richiesta di anonimato, da una persona che operava all’interno dell’ospedale nelle ore convulse che hanno seguito gli attacchi:
“Questa è stata la prima volta che ho sentito le urla e i pianti di persone, studenti, genitori all’interno di una sala di ospedale!”.
“Ho visto una madre morta, circondata dai suoi figli, che invocavano a gran voce il suo nome come se cercassero di risvegliarla da un sonno profondo… Mamma, mamma!”.
“Ho visto una famiglia, il cui capostipite si trova ricoverato in terapia intensiva, la madre è stata ferita in modo grave e il figlio piccolo, di soli tre anni, che ha perso la vita. Il tutto perché i genitori avevano deciso di prenderlo e portarlo a fare una passeggiata approfittando del tepore di una giornata di sole… La nonna del bambino urlava, piangeva, lanciava improperi… Ma nessuno se la sentiva di accusarla. Fino a pochi minuti prima era una nonna, ora non lo è più… Ora è solo una madre in lutto, che vaga alla ricerca disperata di dottori che le diano notizie sulla sorte di suo figlio che si trova ricoverato in terapia intensiva”.
“Ho visto una donna in lacrime per il marito, accanto al quale fino a pochi minuti prima stava camminando per la strada. All’improvviso un colpo di mortaio lo ha scaraventato via, lontano da lei, come fosse un fuscello…”.
“E ancora, ho visto una ragazzina di 15 anni ricoperta interamente di sangue. Si chiamava Rita, adesso è un angelo in cielo”.
“Ho visto una madre che raccontava alle persone accanto a lei che, di recente, aveva iscritto la figlia in palestra per fare un po’ di ginnastica aerobica. Adesso la ragazzina non può fare più nulla, ha perso una gamba e l’altra è in condizioni critiche”.
“Ho visto sangue, acqua e disinfettante sparsi dappertutto per l’ospedale. I dottori correvano avanti e indietro. Lavoravano e piangevano al tempo stesso. Avete mai visto una cosa simile? Avete mai visto il direttore di un ospedale correre fra le corse con in mano le sacche di sangue per i pazienti? Anche il custode dell’ospedale si adoperava nel tentativo di calmare le persone, pur piangendo egli stesso…”.
In queste ore c’è anche un’altra immagine che mi colpisce nel profondo. Si tratta della foto di Rabee, che inizia a muovere i primi passi usando le sue nuove protesi, con un gran sorriso stampato sul volto. Da tempo non si vedeva un volto così felice in quel ragazzo di 15 anni che, poco più di un anno fa, ha perso entrambe le gambe e suo padre a causa di un colpo di mortaio che ha colpito Damasco. Da allora la Caritas si prende cura di Rabee e della sua famiglia (la madre e tre fratelli minori), la cui storia abbiamo già raccontato dalle pagine di AsiaNews (leggi qui).
Al volto di Rabee, si sovrappone quello di una ragazza di 15 anni di nome “Christine”, che proprio in questi giorni ha perso la gamba a causa delle schegge di un ordigno esploso per strada. A Christine servirà molto tempo per riprendersi, per tornare a sorridere; e ancora non sa di aver perso le gambe e la sua carissima amica Rita!
Anche se la situazione non è ancora tranquilla e resta pericolosa, quello che ci fa più male è che non si leggeranno mai questi nomi e queste storie sui grandi canali di informazione internazionale, ma resteranno sempre vittime nascoste. Non si verrà a conoscenza della loro misera sorte, il mondo non saprà della tragedia che si è consumata il 22 gennaio scorso a Damasco, quando un gruppo di studenti stava solo cercando di fare ritorno nelle proprie case.
Per una volta non voglio concludere con la richiesta di pregare per la Siria. Piuttosto, vi chiedo di raccontare a gran voce la tragedia che si sta ancora consumando nel Paese, e che spesso viene dimenticata per un motivo o per l’altro sui grandi media occidentali.
* Responsabile della Comunicazione Caritas Siria