Cardinale di Yangon: A Natale la Chiesa rilancia l’impegno per la riconciliazione in Myanmar
Yangon (AsiaNews) - “La Chiesa è una delle poche organizzazioni presenti nel Paese che si è sempre mostrata ‘nazionale’ nel carattere. Essa è presente in ciascuna tribù, in ogni razza e in tutte le nazionalità. Questo è un privilegio, dal quale derivano anche grandi responsabilità”. È quanto afferma il card. Charles Maung Bo, arcivescovo di Yangon, primo porporato della storia del Myanmar, nella lettera pastorale rivolta ai fedeli per le feste di Natale, in cui ricorda a più riprese il momento cruciale del Paese e l’inizio di una nuova era per il suo popolo. Nella missiva, indirizzata anche ad AsiaNews, il cardinale ricorda che i cattolici birmani “sono da sempre accanto agli emarginati”, accogliendo in questo senso l’appello lanciato a più riprese da papa Francesco. Anche per questo la Chiesa è un “partner affidabile” nell’opera di “costruzione della nazione”.
L’8 novembre scorso ha segnato un passaggio epocale nella storia recente del Myanmar, con la vittoria alle urne della Lega nazionale per la democrazia (Nld) e della sua leader Aung San Suu Kyi, per anni costretta agli arresti domiciliari dalla giunta militare. Il porporato, in questo periodo natalizio e in concomitanza con il Giubileo della misericordia, insiste sulla necessità di una riconciliazione nazionale e sulla rinascita della nazione, ancora oggi segnata da profonde divisioni.
Per questo egli ricorda che “è tempo di curare, non di vendicarsi”, questo “è tempo di perdono. È tempo di riconciliazione nazionale”. Il compito di costruire un nuovo Myanmar “è immenso”, avverte il porporato, ma ricorda anche che “il sogno di un nuovo mondo è iniziato proprio in una umile mangiatoia di Betlemme”, nella famiglia di un povero carpentiere che “non aveva nemmeno un posto per suo figlio. Ma la fede può muovere montagne”.
“Il Natale non è solo una mera celebrazione esteriore e una vacanza - spiega l’arcivescovo di Yangon - ma è una sfida. Ed è anche un invito a uscire dal nostro buio e vivere nella luce del Natale”. Il voto del novembre scorso ha segnato “l’alba di un cambiamento” ed è “compito nostro” trasformarlo “in un giorno pieno di luce” e per questo “le minoranze non possono essere escluse”. Dimenticandoci del passato, del buio, aggiunge il porporato, “possiamo rendere possibile il messaggio di pace di Cristo”.
Nella lettera pastorale per la festa, il card Bo ricorda sette categorie di persone, istituzioni e organismi nazionali “di buona volontà” - uno dei quali è proprio la Chiesa birmana - cui spetta il compito di partecipare alla ricostruzione del Paese. Perché “la buona volontà” è una componente essenziale per portare a termine “un lavoro che non è finito, ma è appena iniziato”.
Il porporato si rivolge innanzi tutto “a tutti gli uomini e donne di buona volontà, di qualsiasi razza e credo religioso” che appartengono alla nazione e che sono chiamati a operare “per la pace e la prosperità”. “Fondiamo il nostro codice di condotta - esorta - sugli insegnamenti della nostra fede”. A seguire, si rivolge a quanti hanno vinto le elezioni perché mostrino “sagacità” dando vita a un governo “di riconciliazione nazionale” che riceverà il sostegno della Chiesa. Non manca poi un pensiero a quanti “hanno perso” e che negli ultimi cinque anni “hanno fatto molto per il Paese” assicurando maggiore “inclusività” e una transizione pacifica del potere.
Fra i poteri che hanno mostrato di recente “buona volontà” vi è anche l’esercito, che “da una mentalità da giunta” oggi è diventato “un guardiano del processo di transizione democratico”. E ancora, i leader delle varie religioni presenti in Myanmar cui spetta il compito di reprimere gli abusi commessi dalla fede nell’alveo politico. “La buona volontà insita nelle religioni - afferma il porporato - è la capacità di vivere in armonia” con i fedeli di altri culti. Infine, vi è l’opera di quanti appartengono alle diverse tribù ed etnie, che devono lavorare per “risolvere la crisi di identità” che ha attraversato la nazione, con le sue guerre e gli sfollati, e promuovere “una soluzione federale a tutti i problemi”.
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