Card. Sako: l’Iraq ‘travolto’ da un conflitto ‘assurdo’ fra Israele e Iran
Il patriarca caldeo auspica un impegno comune per “allentare” un’escalation dalle conseguenze “devastanti”. Il premier iracheno a Washington per una faticosa ricerca della stabilità. La soddisfazione del porporato per il ritorno nella capitale dopo i mesi di esilio volontario per protesta contro il ritiro del decreto presidenziale. La promessa di una preghiera interreligiosa per la pace.
Milano (AsiaNews) - Il “timore” che anche l’Iraq possa essere “travolto” da un conflitto a tutto campo fra Israele e Iran è “forte” non solo per le ripercussioni su scala regionale e globale, ma per gli stessi equilibri interni al Paese. Vi sono infatti “milizie che non obbediscono al primo ministro”, inoltre “il nostro territorio può essere oggetto di attacchi israeliani contro obiettivi iraniani” o venire utilizzato da Teheran “come base di lancio per colpire Israele”. Non nasconde la propria preoccupazione il patriarca di Baghdad dei caldei, il card. Louis Raphael Sako, che ha assistito con attenzione - e più di un timore - alla massiccia operazione a colpi di droni e missili dalla Repubblica islamica verso lo Stato ebraico nella notte fra il 13 e il 14 aprile. Da qui il richiamo, in questa intervista ad AsiaNews di rientro a Erbil dopo alcuni giorni nella capitale interrompendo un esilio forzato - e autoimposto - di molti mesi, ad una “mediazione internazionale”. Solo così, avverte, sarà possibile “allentare l’escalation e una crisi dalle conseguenze devastanti”.
“Guerre assurde”
Nelle fasi più concitate dell’attacco iraniano a Israele, rappresaglia al raid all’ambasciata di Teheran a Damasco in cui sono morti diversi elementi dei pasdaran tra i quali il generale Mohammad Reza Zahedi, decine di droni (e missili) hanno sorvolato lo spazio aereo iracheno. Nella loro traiettoria verso lo Stato ebraico hanno attraversato le province meridionali di Maysan e Al-Nasiriyah, oltre alla zona nord nel Kurdistan, in particolare Erbil, Sulaymaniyya e Dohuk. In risposta il governo - come nel vicino Libano e in Giordania - ha disposto la chiusura dello spazio aereo in via temporanea e precauzionale, poi il traffico è ripreso regolarmente nelle ore successive pur restando alta l’attenzione. “Quanto sta avvenendo fra Israele e Iran, ma anche quella fra Russia e Ucraina - sottolinea il primate caldeo - sono tutte guerre assurde, non vi è alcun senso. Anche in Terra Santa, a Gaza, si contano già oltre 33mila morti, una carneficina”. Le parti in causa, prosegue, devono “rispettare il diritto internazionale” tenendo presente che queste vittime “non sono oggetti, ma persone: questa è una strage che coinvolge anche le infrastrutture, case, scuole e ospedali”.
Il card. Sako ha sperimentato in prima persona guerre da quella fra Iran e Iraq negli anni ‘80 sino ai due conflitti nel Golfo, le violenze confessionali e l’ascesa dello Stato islamico solo per ricordare gli eventi più significativi. In 50 anni come sacerdote, vescovo e poi patriarca ha visto versare sangue innocente, spendendosi in prima persona per la pace, il dialogo, il lavoro silenzioso della diplomazia di fronte al frastuono delle armi. “Io ho chiamato i seminaristi - racconta - la notte dell’attacco per dire loro di non avere paura” e che, nell’istituto ad Ankawa “abbiamo allestito una stanza grande come rifugio”. “Spero - prosegue - davanti alla prospettiva di un’escalation fra Israele e Iran che rischia di travolgere il Medio oriente e il mondo intero nello scontro fra alleanze contrapposte, che i leader regionali [e globali] si facciano guidare dalla sapienza e dalla prudenza. La priorità deve essere quella di scongiurare un allargamento della guerra, che non è nell’interesse né di Israele, né dell’Iran, né di alcun attore regionale. Tutti perdono in questa guerra”.
Occidente debole e diviso
Intanto si muove la diplomazia internazionale nel tentativo di contenere una deriva militare dalle conseguenze disastrose, che vede impegnato lo stesso primo ministro iracheno Mohammed Shia Al-Sudani che è giunto in queste ore a Washington per incontrare il presidente Usa Joe Biden. Al centro della discussione una serie di questioni che vanno dall’attacco iraniano alla faticosa ricerca di una stabilità regionale, dalla collaborazione economica fra Stati Uniti e Iraq all’ulteriore stanziamento di truppe in chiave difensiva. Per il governo iracheno le priorità restano però l’energia e il commercio bilaterale per risollevare l’economia di un Paese che sembra segnare ancora il passo, con l’esecutivo di Baghdad impegnato nel delicato equilibrio fra Occidente e Teheran. Analisti ed esperti ricordano come l’escalation rappresenti una sfida significativa in tema di sicurezza per il Medio oriente, con potenziali ramificazioni su vari fronti che rischiano di essere “indirettamente coinvolti” nella partita fra Stato ebraico - che ha giurato vendetta - e ayatollah. E l’Iraq è una delle nazioni in prima linea, assieme a Giordania e Libano, nell’affrontare pericoli e complessità.
“Una delle poche voci sagge - sottolinea il patriarca Sako - è proprio quella del primo ministro, che vuole proteggere il Paese e i suoi abitanti”. Tuttavia, egli è costretto a operare da una posizione che non si può certo definire di forza, perché “non ha un partito alle spalle, non può contare su una milizia”. Anche per questo “è importante sostenerlo e restare con lui. Queste guerre sono una vergogna per l’umanità - accusa il porporato - ma voglio essere ottimista, proprio perché ho una lunga esperienza in tema di conflitti”. Di fronte all’attacco iraniano anche gli sciiti iracheni, maggioranza in Iraq, sembrano “aver perso la fiducia e sono delusi” ma questo non deve far smettere di operare per il bene del proprio Paese. Un impegno gravoso, prosegue il cardinale, soprattutto oggi in cui “l’ordine internazionale non è più stabile, lo stesso Occidente non è più unito e vi sono divergenze evidenti fra Stati Uniti ed Europa e persino interne agli europei”. Divisioni, aggiunge, che si sommano a un certo grado “di indifferenza e questo è molto triste”.
Il ritorno a Baghdad
In un quadro di incertezza, guerra e tensioni è fonte di grande gioia il ritorno a Baghdad, la scorsa settimana, dopo oltre nove mesi di esilio volontario a causa dello scontro col presidente della Repubblica in merito al ritiro del decreto presidenziale. “È stato molto bello rientrare - racconta il porporato - dopo aver portato avanti questa battaglia pacifica, ma ferma e fondata sulla giustizia. I cristiani hanno fatto festa, tutti erano molto contenti ma la cosa più bella è stato vedere la cattedrale gremita di fedeli e piena di fiori, i cioccolatini, i canti di alleluia, i dolci. Erano presenti anche molti musulmani, autorità e semplici cittadini, uomini e donne, come segno di una unità simbolica che ha un valore profondo. Ciò significa - avverte - che gli iracheni sono uniti, mentre il problema è nella classe politica”. Da questa protesta “ferma e pacifica” [concetti che egli ribadisce più volte e con forza] emerge che la Chiesa “non deve avere paura, mentre qui da noi ci sono alcuni vescovi o sacerdoti che a volte sono timorosi o si fanno attirare da chi promette loro potere o denaro”. “Dobbiamo essere trasparenti - avverte - a maggior ragione perché siamo consacrati, lasciando da parte i beni terreni altrimenti finiamo per perdere la nostra credibilità”. Della vicenda che lo ha riguardato restano elementi di criticità, come la divisione latente fra alcune confessioni cristiane e la posizione del nunzio apostolico “che ha difeso lo Stato e non la Chiesa”. Tuttavia, lo sguardo e l’impegno del patriarca caldeo - tornato per alcuni giorni a Erbil per ultimare alcuni lavori in sospeso - sono proiettati al futuro: “Aspetto che sia ufficializzato reintegrato il decreto - conclude - e poi farò ritorno stabile a Baghdad. E come prima iniziativa vorrei promuovere una preghiera interreligiosa per la pace con i leader musulmani e i capi politici, con tutti!”.
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