Attivista israeliano: Netanyahu ostacolo alla pace, per cacciarlo basta l’accusa di corruzione
Si moltiplicano le inchieste a carico del Primo Ministro, per spese pazze e cattiva gestione dei fondi. A dispetto del consenso, la magistratura potrebbe decretarne la fine della carriera politica. Il ruolo della moglie Sarah nel malaffare. La corruzione, un male radicato nella classe politica e dirigente israeliana. Di seguito, pubblichiamo un editoriale di Uri Avnery, ex parlamentare, scrittore e attivista per la pace. (Da Gush Shalom. Traduzione italiana a cura di AsiaNews).
Gerusalemme (AsiaNews) - Molti anni fa ho ricevuto una telefonata dall’ufficio di gabinetto dell’allora Primo Ministro. Mi comunicavano che Yitzhak Rabin voleva vedermi, in privato.
Ed è stato lo stesso Rabin ad aprirmi la porta. Egli era solo, all’interno della sua residenza. Mi ha condotto sino a una comoda sedia, ha versato due abbondanti bicchieri di whisky, uno per me e l’altro per lui, e ha iniziato a parlare senza tanti indugi - egli aborriva le chiacchiere a vuoto - chiedendo: “Uri, hai deciso di distruggere tutte le colombe del Partito laburista?”.
Il mio settimanale, Haolam Hazeh, stava conducendo all’epoca una campagna contro la corruzione e aveva accusato due figure Labour di primo piano: il nuovo presidente della Banca centrale israeliana e il ministro per gli Alloggi.
Entrambi, all’epoca dei fatti, erano esponenti dell’ala moderata del partito.
Ho spiegato a Rabin che nella lotta contro la corruzione non si poteva fare sconti a nessuno, nemmeno a politici vicini al mio orientamento politico. La corruzione era già di per sé un motivo di lotta.
La prima generazione dei padri fondatori di Israele era libera dalla corruzione. La corruzione non era nemmeno immaginabile.
In effetti, il valore della purezza era spinto a livelli estremi. Una volta un leader labour di primo piano è stato oggetto di critiche feroci per essersi costruito una villa in un sobborgo di Gerusalemme. Non vi era nemmeno il minimo accenno di corruzione nella vicenda. Egli aveva ereditato il denaro. Tuttavia, era considerato scandaloso il fatto che un capo dei laburisti potesse vivere in una villa. Un “tribunale dei compagni” ne ha sancito l’espulsione dal partito, e questo ne ha decretato la fine della carriera politica.
Al tempo stesso, veniva costruita una residenza ufficiale per il ministro degli Esteri, di modo che egli potesse ricevere i dignitari stranieri in un ambiente decente. Il ministro dell’epoca, Moshe Sharett, era convinto che fosse sbagliato continuare a possedere un appartamento privato, perciò decise di venderlo e di donare il denaro ricavato a diverse associazioni benefiche.
La generazione successiva si è fin da subito presentata in maniera alquanto diversa. Si è comportata come se fosse padrona del posto per diritto divino. Il suo rappresentante più tipico è stato Moshe Dayan. Egli è nativo del Paese e David Ben-Gurion lo ha nominato a capo del suo staff. In questo ruolo egli ha diretto diversi “raid punitivi” lungo i confini e, in un secondo momento, l’attacco del 1956 all’Egitto che si è concluso con una schiacciante vittoria (aiutata dall’invasione franco-britannica dell’area canale di Suez, dietro le linee dell’esercito egiziano).
Dayan era un archeologo dilettante. E ha stipato la sua villa privata (a quell’epoca le ville erano state sdoganate) con reperti antichi che ha disotterrato in ogni angolo del Paese. La qual cosa era rigorosamente illegale, poiché gli scavi condotti in modo non professionale causavano la distruzione di prove storiche, rendendo impossibile poi definire la data del manufatto o del reperto. Ma l’opinione pubblica ha chiuso un occhio perché, dopo tutto, Dayan era un eroe nazionale.
Allora la mia rivista ha pubblicato una rivelazione sconvolgente: Dayan non solo teneva i reperti nel suo giardino. Egli li vendeva in tutto il mondo, con una firma personale che faceva lievitare il prezzo. Questa rivelazione ha causato uno scandalo enorme ed è stata fonte di odio nei miei confronti. In un sondaggio pubblico elaborato quell’anno sono risultato “la persona più odiata” del Paese, superando persino il capo del partito comunista (e da quel momento i sondaggi si sono interrotti).
Il cognato di Dayan era Ezer Weitzman, il generale a capo delle forze aeree che hanno riportato la magnifica vittoria nella Guerra dei sei giorni del 1967. Era un segreto di Pulcinella il fatto che Weitzman era nelle mani di un miliardario ebreo americano e viveva in una villa lussuosa in Cesarea, il posto più prestigioso di tutto il Paese (nella stessa area in cui oggi sorge la villa privata di Benjamin Netanyahu).
Per alcuni anni questa è stata un’usanza comune. Ogni miliardario ebreo in America aveva “il suo” generale in Israele, di cui ne curava lo stile e che era il suo orgoglio e la sua gioia. Per gli ebrei ricchi, avere un generale israeliano nelle feste di famiglia era uno status symbol obbligato.
Ariel Sharon, per esempio. Figlio di genitori poveri, cresciuto in un villaggio cooperativa, non appena ebbe concluso la sua carriera militare era già proprietario di un grande ranch. Gli era stato donato in regalo da un americano di origini israeliane multi-miliardario (secondo alcune voci il miliardario aveva costruito la casa con i soldi sottratti al fisco).
Era l’epoca in cui i generali israeliani non erano solo eroi in patria, ma in tutto il mondo. Moshe Dayan, facilmente riconoscibile per la sua benda nera [sull'occhio], era un eroe a Los Angeles come ad Haifa.
Tutti questi generali (fatta eccezione per Ezer Weitzman, che proveniva da una famiglia ricca) sono cresciuti in condizioni molto difficili. I genitori erano membri dei kibbutz (delle comuni) o moshavim (cooperative di villaggi), al tempo assai poveri. Sharon, un giovane originario di un moshav, mi ha confidato che camminava per oltre mezz’ora ogni giorno per andare a scuola alle superiori, risparmiando così i soldi del biglietto dell’autobus.
Questo discorso vale anche per la generazione successiva di leader. Ehud Olmert, l’ex Primo Ministro - oggi in carcere per corruzione - è cresciuto in un quartiere povero con l’ossessione di possedere e circondarsi di oggetti preziosi. L’ex presidente dello Stato, Moshe Katzav, che condivide con Olmert la prigione - condannato per stupro, non per corruzione - anch’egli è cresciuto in povertà fra i membri della nuova immigrazione. (a questo proposito circola da tempo una barzelletta: Dopo un concerto in prigione una guardia carceraria annuncia: ‘Tutti restino seduti fino a che il presidente e il Primo Ministro non se ne vanno’).
Ehud Barak, ex capo di gabinetto ed ex premier, oggi sta accumulando una enorme quantità di denaro “dando consigli” ai governi stranieri. E anche lui è nato e cresciuto in un villaggio povero.
Io sono stato risparmiato da questa bramosia per il denaro sebbene io stesso sia vissuto in povertà, dopo essere arrivato in Palestina all’età di 10 anni. Per fortuna, prima di questo sono cresciuto in circostanze ben diverse in Germania. Poiché sia io che la mia famiglia eravamo molto più felici in Israele che in Germania, da questo ho imparato che la felicità non ha nulla a che vedere con le ricchezze e il denaro.
Mi viene in mente tutto questo, perché quasi ogni giorno siamo bombardati da accuse di corruzione contro Benjamin Netanyahu e la moglie Sarah, che non gode certo di grande popolarità.
Sarah’le, come viene spesso chiamata, una ex hostess delle linee aeree che ha incontrato il marito su un volo, sembra essere una bisbetica che tiranneggia il personale di servizio della residenza ufficiale. Alcuni di loro hanno citato in giudizio la donna. Essi hanno rivelato che devia fondi pubblici per i suoi scopi e le necessità private.
Tuttavia, ciò che disturba maggiormente è che Sarah Netanyahu, che non è stata eletta da nessuno, sembra occuparsi di tutte le nomine più importanti. Nessuno può raggiungere i massimi livelli senza essere stato intervistato e approvato da lei stessa in persona. A lei si deve la nomina di tre alti funzionari responsabili delle forze dell’ordine: il consulente legale (in realtà il super procuratore generale), il potente controllore dello Stato e il capo della polizia.
Se così fosse, sarebbe un atto di lungimiranza. Perché ora tutti e tre sono impegnati giorno e notte in frenetiche consultazioni fra loro su come agire con la marea di informative relative agli affari finanziari della famiglia Netanyahu. Essi cercano in modo disperato di scongiurare un processo a carico dei Netanyahu, ma la faccenda si complica ogni giorno di più, poiché essi devono rispondere del loro operato alla Corte suprema. In passato ho già parlato di alcune di queste informative, ma ogni settimana ne escono di nuove. È diventato una sorta di sport nazionale.
Tutto è cominciato con la comunicazione che prima di diventare Primo Ministro, in un momento in cui faceva dentro e fuori dal governo, Netanyahu era solito farsi pagare il doppio o il triplo per i suoi voli aerei in prima classe da diversi istituti ignari del fatto, senza dichiarare questo denaro come introito. Questo modo di fare oggi viene chiamato in slang israeliano “Bibitours”.
Da allora egli è stato implicato in ogni tipo di affare che rasenta il crimine di corruzione e che oggi è in fase di “esame” a più livelli. E nel tempo se ne sono aggiunti di nuovi alla lista. I tre alti funzionari nominati da Netanyahu si consultano a ritmo frenetico per capire se ordinare un’inchiesta su di lui, eventualità che lo costringerebbe - almeno per un periodo di tempo - ad abbandonare la carica.
Il culmine è stato raggiunto quando in Francia un finanziere ebreo accusato di una frode colossale ha rivelato al giudice di aver donato, in forma privata, un milione di dollari e di aver pagato le spese di soggiorno a Netanyahu in costosi hotel di diverse città, fra cui la costa francese. Non è dato sapere la somma esatta, ma è comprovato che Netanyahu abbia ricevuto in dono ingenti somme di denaro dall’uomo, che era da tempo al centro di inchieste per corruzione.
I generosi contribuenti israeliani (me compreso) hanno pagato per i cinque giorni di permanenza di Bibi a New York lo scorso autunno la “modica” cifra di circa 600mila dollari. Questa somma - oltre 100mila dollari al giorno - comprendeva il parrucchiere personale (1600 dollari) e la truccatrice (1750 dollari). Scopo del viaggio era un intervento all’Assemblea generale delle Nazioni Unite. Mi chiedo quanto sia costata ogni singola parola.
Il fatto è diventato di dominio pubblico per ordine del tribunale, che ha agito in ottemperanza alla Legge sulla libera informazione. Ma l’opinione pubblica israeliana sembra accettare tutto di buon grado. Nessuno sembra indignarsi. E le battute si sprecano attorno alla “coppia reale”. Per molti fra gli stessi elettori di Netanyahu, in maggioranza poveri di origini orientali, la scoperta è solo il segnale del fatto che è una persona intelligente, che sa cogliere le opportunità, come ciascuno di loro vorrebbe poter fare.
Ma come vanno trattate queste informazioni, che dominano le prime pagine di giornali e programmi di informazione televisiva?
Devo ammettere che le tratto con un certo disdegno. Cosa sono queste vicende di piccola corruzione, se paragonate con le decisioni e le non decisioni di Netanyahu le quali hanno una influenza diretta sul destino di Israele?
Considero Benjamin Netanyahu come il becchino del nostro stato, l’uomo che prepara il terreno per la catastrofe, l’uomo che ostacola ogni possibile spiraglio di pace. Proprio questa settimana Netanyahu ha affermato con orgoglio ai suoi colleghi di partito che egli non acconsentirà “mai” a intavolare negoziati basati sull’iniziativa di pace araba del 2002, che comprende fra gli altri la fine dell’occupazione, la creazione dello Stato palestinese e l’evacuazione degli insediamenti. Molte persone credono che questo rifiuto totale risulterà fatale.
Di fronte a queste calamità, perché entusiasmarsi per qualche piccola vicenda di corruzione?
Ma poi mi ricordo il caso di Al Capone, il gangster che si è macchiato di crimini sanguinosi, fra cui l'assassinio a sangue freddo di molte persone, ma che è stato infine condannato e mandato in prigione solo per evasione fiscale.
Se Netanyahu può essere condannato per una vicenda di banale corruzione e costretto a dimettersi, non sarebbe tutto questo un bene per il Paese?
20/08/2018 11:58