Vescovo di Aleppo: attacco Usa una prova di forza, non preoccupa un popolo già martoriato
Per mons. Audo i raid hanno avuto “grande rilevanza mediatica” ma scarso impatto nel Paese. Profonda “tristezza” per un nuovo capitolo nella guerra fra potenze a discapito dei siriani. Trump smentisce Macron sulla permanenza in Siria. Washington annuncia nuove sanzioni contro la Russia. I vertici delle Chiese in Siria condannano l’attacco, in violazione al diritto internazionale.
Aleppo (AsiaNews) - L’operazione militare di Stati Uniti, Francia e Regno Unito contro la Siria del fine settimana, per punire l’esercito siriano per l’uso (presunto) di armi chimiche, ha avuto “una grande rilevanza a livello mediatico, sul piano internazionale”. Per l’opinione pubblica e i giornali si è trattato di un “evento drammatico”, ma per la popolazione civile “la vita è continuata, come sempre, senza una reale impressione di una svolta” nel conflitto. È quanto afferma ad AsiaNews mons. Antoine Audo, presidente di Caritas Siria e vescovo caldeo di Aleppo, secondo cui dietro il raid vi era la volontà dell’Occidente di “fornire una prova di forza, un atto dimostrativo”.
“Certo il raid è un fatto grave - sottolinea il prelato - ma per le persone la vita continua, senza una reale impressione di dramma”. Non si può negare una sensazione di “tristezza” per una pace sempre più lontana, prosegue, ma anche “parlando con le persone dopo le messe del fine settimana emerge che la guerra, ormai, è un aspetto della vita quotidiana”.
“Gli esiti dell’operazione - commenta il vescovo - non sono così drammatici. È evidente che si è trattato di una dimostrazione di forza, un nuovo capitolo della guerra per procura fra potenze”. La Siria, sottolinea, è sempre più “un Paese martirizzato a causa degli interessi internazionali, della lotta di potere fra russi e americani, fra sunniti e sciiti, fra Iran e Arabia Saudita. Interessi economici, commerciali e strategici a cui si aggiunge il traffico e la vendita di armi”. “La Siria è una realtà storica autonoma, fiera, con un governo e un popolo - conclude - e stanno facendo di tutto per distruggerlo. E i poveri sono quelli che pagano il prezzo più alto di questo conflitto”.
Nel frattempo da Mosca continuano a giungere dure condanne all’attacco alleato, difeso dalla Francia che per bocca del suo presidente Emmanuel Macron parla di operazione legittima e “condotta perfettamente”. L’inquilino dell’Eliseo precisa che l’attacco non è una dichiarazione di guerra al presidente siriano Bashar al-Assad e al suo governo, ma una risposta all’uso di armi chimiche che è proibito da risoluzioni Onu. Egli ha infine rivelato di aver convinto il presidente Usa Donald Trump a rimanere a lungo in Siria. “Dieci giorni fa - ha detto Macron - il presidente Trump ha affermato che gli Stati Uniti intendevano disimpegnarsi dalla Siria. Noi l’abbiamo convinto che era necessario rimanere a lungo”.
Poche ore dopo, è arrivata la smentita della Casa Bianca, con una presa di posizione netta rispetto alle parole del presidente francese. “La missione Usa non è cambiata - afferma la nota - il presidente ha chiarito di volere un ritorno nel più breve tempo possibile per le forze militari” dispiegate in Siria. Resta la determinazione nel combattere lo Stato islamico (SI, ex Isis) e creare le condizioni per impedirne un ritorno.
Sempre dagli Stati Uniti arriva l’annuncio di nuove sanzioni contro la Russia. A rivelarlo è l’ambasciatrice Usa all’Onu Nikki Haley, che annuncia nuovi provvedimenti (economici e commerciali) contro Mosca. “[Saranno colpite] tutte le imprese che si occupano di forniture legate ad Assad - aggiunge - e all’uso di armi chimiche”.
Intanto una squadra di esperti è arrivata ieri a Damasco, per avviare una indagine sul presunto attacco con armi chimiche a Douma. La missione dell’Opac, l’Organizzazione per la proibizione delle armi chimiche con sede all’Aja, è chiamata a svolgere una missione delicata nel contesto di una crescente tensione fra Occidente e Russia (e Iran, alleati del governo siriano).
Dopo sette anni di conflitto (in cui il 95% dei civili è morto sotto i colpi di armi convenzionali e non chimiche), il governo di Damasco controlla oltre la metà del territorio nazionale; l’opposizione ha esteso il proprio dominio - condiviso in alcuni settore con gli ex membri di al Nusra, emanazione di al Qaeda in Siria - sul 12% del Paese. Archiviata la pratica a Ghouta est, oggi l’esercito governativo punta a riprendere possesso di Deraa, nel sud, dove ha preso il via la rivolta di piazza poi trasformatasi in conflitto sanguinoso, e Idlib nel nord.
Se la diplomazia Onu a Ginevra fatica a trovare soluzioni di pace e ad Astana i colloqui fra Turchia, Iran e Russia faticano a delineare accordi per una tregua stabile e duratura, i vertici delle principali confessioni cristiane in Siria rinnovano l’appello per la fine dei combattimenti. In un documento congiunto i patriarcati greco-ortodosso, siriaco-ortodossa e greco-melchita denunciano la “brutale aggressione” contro la Siria, che costituisce una “palese violazione” delle leggi internazionali. I leader cristiani aggiungono che non vi sono “prove chiare” sull’uso di armi chimiche da parte dell’esercito governativo e avvertono che simili attacchi finiscono per favorire i gruppi terroristi. Da qui l’appello alle Nazioni Unite e al Consiglio di sicurezza [oggetto di pesanti critiche del nunzio apostolico card. Mario Zenari] perché “porti la pace” e blocchi “l’escalation di violenze”.(DS)
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