A Wuhan l'Assemblea nazionale 'ufficiale' dei cattolici cinesi
Nella città dell'Hubei il "congresso" incaricato di dettare la linea e rinnovare le cariche. Il vice-ministro Cui Maohu elogia "l'autonomia e indipendenza" della Chiesa cinese e chiede di "studiare e mettere in atto seriamente le direttive di Xi Jinping". Nel bilancio dei sei anni trascorsi dalla precedente Assemblea nemmeno un accenno all'Accordo con il Vaticano sulla nomina dei vescovi.
Wuhan (AsiaNews) – Si è aperta oggi a Wuhan - la grande città dell’Hubei balzata all’attenzione del mondo per la pandemia da Covid-19 - la decima Assemblea nazionale dei rappresentanti cattolici cinesi, l’incontro più importante degli organismi “ufficiali” controllati dal Partito comunista cinese. All’Assemblea partecipano 345 delegati provenienti dalle 28 suddivisioni amministrative del Paese.
Nella visione del partito, l’Assemblea è una sorta di congresso a cui è affidato il compito di dettare la linea ai cattolici e rinnovare le cariche del gruppo dirigente. La prima si tenne nel febbraio 1957 a Pechino e fu in quell’occasione che venne costituita l’Associazione patriottica dei cattolici cinesi per marcare l’autonomia da Roma. Dopo la seconda, tenuta nel 1962, la celebrazione delle Assemblee fu poi sospesa durante gli anni della Rivoluzione culturale, quando la persecuzione colpì duramente anche il cattolicesimo “ufficiale”: la terza poté tenersi solo nel 1980 quando venne costituito anche il Consiglio dei vescovi cattolici della Cina, anch’esso rigidamente controllato dal partito.
La decima Assemblea giunge a sei anni dalla precedente, che si era tenuta a Pechino nel 2016, e alla viglia ormai del 20° Congresso del Partito comunista cinese con l’attesa conferma al terzo mandato per il presidente Xi Jinping. La scelta di tenerla a Wuhan non è evidentemente causale: la grande città dell’Hubei è infatti un luogo dalla lunga storia per la comunità cattolica in Cina. Nell’Ottocento, per la sua posizione sulle rive dello Yangtze, la città di Hankou - la parte storica dell’odierna Wuhan - fu il crocevia dell’evangelizzazione nell’interno della Cina. Dopo la vittoria dei comunisti di Mao e l’espulsione di tutti i missionari stranieri, fu poi qui che il 13 aprile 1958 avvenne la prima ordinazione di due vescovi senza l’approvazione della Santa Sede: si trattava di mons. Bernardino Dong Guangqing, vescovo di Hankou, e mons. Marco Yuan Wenhua, vescovo di Wuchang. Dopo la morte nel 2007 di mons. Dong Guangqing (che nel frattempo aveva chiesto e ricevuto il ritorno in comunione con Roma) la diocesi era rimasta vacante per 14 anni. Finché lo scorso 8 settembre 2021 nella cattedrale di San Giuseppe a Wuhan è avvenuta l’ordinazione di mons. Giuseppe Cui Qingqi, l’ultima finora avvenuta ai sensi dell’Accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi firmato “ad experimentum” nell’ottobre 2018 e rinnovato per altri due anni nel 2020.
Proprio nella città dell’Hubei, dunque, l’Assemblea nazionale dei cattolici – che durerà tre giorni – si è aperta alla presenza di Cui Maohu, il direttore dell’Ufficio statale per gli affari religiosi e vice-ministro del Dipartimento del Lavoro per il Fronte unito, e di Ning Yong membro dell’Assemblea provinciale e direttore del Fronte Unito provinciale del Hubei. La sessione inaugurale è avvenuta sotto la presidenza del vescovo di Chengde mons. Guo Jincai, uno dei vescovi ordinati illecitamente che papa Francesco ha riammesso nella comunione ecclesiale nel 2018.
Come da copione nel suo intervento il vice-ministro Cui Mahou ha posto l’accento sull’autonomia della Chiesa cinese, lodandola per aver “rafforzato la sua guida ideologica e politica, aderito ai principi di autonomia e di indipendenza della Chiesa sotto la bandiera dell’amore per la patria e per la religione, promosso la costituzione di una ideologia e una teologia cinese”. Il vice-ministro non ha poi mancato di invitare i cattolici a “studiare e mettere in atto seriamente le direttive del presidente Xi Jinping sul lavoro religioso, come anche le decisioni del Governo centrale per assicurare i principi dell’autonomia e dell’auto-amministrazione, per promuovere la cinesizzazione della Chiesa e il patriottismo dei fedeli, per rafforzare la guida della Chiesa e il ruolo degli organi patriottici”.
Dopo l’introduzione dell’arcivescovo di Pechino mons. Li Shan, è poi toccato al vescovo di Haimen mons. Shen Bin leggere il rapporto di lavoro che sintetizza i risultati ottenuti dall’ultima Assemblea del 2016 e le prospettive di lavoro per i prossimi cinque anni. Per mons. Shen Bin “la Chiesa cinese ha mantenuto la corretta direzione politica, ha unito e guidato i fedeli a mantenere alta la bandiera dell’amore per la patria e per la religione, a conservare i principi di autonomia e di auto-amministrazione della Chiesa. Ha inoltre continuato l’amministrazione democratica, ha promosso l’evangelizzazione e i servizi caritatevoli, scrivendo così un nuovo capitolo di storia”.
Vale la pena di sottolineare che - stando a quanto riportato nella sintesi dei lavori diffusa dall’Associazione patriottica - né il vescovo di Haimen né il vice-ministro Cui Mahou hanno fatto alcun riferimento all’Accordo sino-vaticano sulla nomina dei vescovi, che pure avrebbe dovuto rappresentare uno degli avvenimenti più rilevanti avvenuti nella vita della Chiesa cattolica in Cina tra il 2016 e oggi. Si tratta di un’ulteriore conferma dello scarso peso dato dall’Associazione patriottica all’intesa tra il governo della Repubblica popolare cinese e la Santa Sede, che dal punto di vista degli organismi “ufficiali” non rappresenterebbe altro che una mera ratifica da parte di Roma dei vescovi eletti autonomamente. Da quasi un anno, peraltro, non sono avvenute nuove nomine di vescovi pur avendo papa Francesco espressamente auspicato il rinnovo dell’Accordo alla sua scadenza nel prossimo mese di ottobre.
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