29/06/2020, 11.04
VATICANO
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​Papa: Se si pregasse di più e si mormorasse di meno, tante porte si aprirebbero

Unità e profezia i temi dell’omelia di Francesco nel giorno dedicato ai santi Pietro e Paolo. “È inutile, e pure noioso, che i cristiani sprechino tempo a lamentarsi del mondo, della società, di quello che non va. Le lamentele non cambiano nulla”. “Oggi abbiamo bisogno di profezia, di profezia vera: non di parolai che promettono l’impossibile, ma di testimonianze che il Vangelo è possibile. Non servono manifestazioni miracolose, ma vite che manifestano il miracolo dell’amore di Dio”.

Città del Vaticano (AsiaNews) – “Se si pregasse di più e si mormorasse di meno”,  “tante porte che separano si aprirebbero, tante catene che paralizzano cadrebbero”. E’ il monito rivolto da papa Francesco nella messa celebrata nella basilica vaticana nel  giorno che la Chiesa dedica ai santi apostoli Pietro e Paolo, “due figure molto diverse” che “discussero in modo animato”, “due persone tra le più differenti, ma si sentivano fratelli, come in una famiglia unita, dove spesso si discute ma sempre ci si ama. Però la familiarità che li legava non veniva da inclinazioni naturali, ma dal Signore”, che “non ci ha comandato di piacerci, ma di amarci”.

Così era la prima comunità cristiana che al momento della persecuzione. “Eppure in questo momento tragico nessuno si dà alla fuga, nessuno pensa a salvarsi la pelle, nessuno abbandona gli altri, ma tutti pregano insieme. Dalla preghiera attingono coraggio, dalla preghiera viene un’unità più forte di qualsiasi minaccia”. E “in quei frangenti drammatici nessuno si lamenta del male, delle persecuzioni, di Erode. È inutile, e pure noioso, che i cristiani sprechino tempo a lamentarsi del mondo, della società, di quello che non va. Le lamentele non cambiano nulla”. “Ricordiamoci che le lamentele sono la seconda porta chiusa allo Spirito Santo, come vi ho detto il giorno di Pentecoste: la prima è il narcisismo, la seconda lo scoraggiamento, la terza il pessimismo. Il narcisismo ti porta allo specchio, a guardarti continuamente; lo scoraggiamento, alle lamentele; il pessimismo, al buio, all’oscurità. Questi tre atteggiamenti chiudono la porta allo Spirito Santo. Quei cristiani non incolpavano ma pregavano”.

“Chiediamo la grazia di saper pregare gli uni per gli altri. San Paolo esortava i cristiani a pregare per tutti e prima di tutto per chi governa (cfr 1 Tm 2,1- 3). “Ma questo governante è…”, e i qualificativi sono tanti; io non li dirò, perché questo non è il momento né il posto per dire i qualificativi che si sentono contro i governanti. Che li giudichi Dio, ma preghiamo per i governanti! Preghiamo: hanno bisogno della preghiera. È un compito che il Signore ci affida. Lo facciamo? Oppure parliamo, insultiamo, e basta? Dio si attende che quando preghiamo ci ricordiamo anche di chi non la pensa come noi, di chi ci ha chiuso la porta in faccia, di chi fatichiamo a perdonare. Solo la preghiera scioglie le catene, come a Pietro; solo la preghiera spiana la via all’unità”.

L’unità della quale ha parlato Francesco è particolarmente legata alla solennità di Pietro e Paolo. In questo giorno viene a Roma una delegazione del Patriarcato ecumenico. Oggi non c’è, ma, ha detto il Papa, a causa della pandemia. Oggi è anche il giorno nel quale il Papa benedice i Palli, simbolo di unità, che vengono conferiti al decano del Collegio cardinalizio e agli arcivescovi metropoliti nominati nel corso dell’anno.  E oggi è il giorno nel quale la statua di Pietro nella basilica vaticana viene vestita con le insegne episcopali.

La seconda parola sulla quale si è fermato oggi Francesco è stata profezia. “La profezia nasce quando ci si lascia provocare da Dio: non quando si gestisce la propria tranquillità e si tiene tutto sotto controllo. Quando il Vangelo ribalta le certezze, scaturisce la profezia. Solo chi si apre alle sorprese di Dio diventa profeta. Ed eccoli Pietro e Paolo, profeti che vedono più in là: Pietro per primo proclama che Gesù è «il Cristo, il Figlio del Dio vivente» (Mt 16,16); Paolo anticipa il finale della propria vita: «Mi resta soltanto la corona di giustizia che il Signore mi concederà» (2 Tm 4,8)”.

"Oggi abbiamo bisogno di profezia, ma di profezia vera: non di parolai che promettono l’impossibile, ma di testimonianze che il Vangelo è possibile. Non servono manifestazioni miracolose. A me fa dolore quando sento proclamare: 'Vogliamo una Chiesa profetica”. Bene. Cosa fai, perché la Chiesa sia profetica? Servono vite che manifestano il miracolo dell’amore di Dio. Non potenza, ma coerenza. Non parole, ma preghiera. Non proclami, ma servizio. Tu vuoi una Chiesa profetica? Incomincia a servire, e stai zitto' Non teoria, ma testimonianza. Non abbiamo bisogno di essere ricchi, ma di amare i poveri; non di guadagnare per noi, ma di spenderci per gli altri; non del consenso del mondo, quello stare bene con tutti – da noi si dice: “stare bene con Dio e con il diavolo”, stare bene con tutti –; no, questo non è profezia. Ma abbiamo bisogno della gioia per il mondo che verrà; non di quei progetti pastorali che sembrano avere in sé la propria efficienza, come se fossero dei sacramenti, progetti pastorali efficienti, no, ma abbiamo bisogno di pastori che offrono la vita: di innamorati di Dio. Così Pietro e Paolo hanno annunciato Gesù, da innamorati. 

“Gesù – ha concluso Francesco - ha profetizzato a Pietro: ‘Tu sei Pietro e su questa pietra edificherò la mia Chiesa’. Anche per noi c’è una profezia simile. Si trova nell’ultimo libro della Bibbia, dove Gesù promette ai suoi testimoni fedeli «una pietruzza bianca, sulla quale sta scritto un nome nuovo» (Ap 2,17). Come il Signore ha trasformato Simone in Pietro, così chiama ciascuno di noi, per farci pietre vive con cui costruire una Chiesa e un’umanità rinnovate. C’è sempre chi distrugge l’unità e chi spegne la profezia, ma il Signore crede in noi e chiede a te: ‘Vuoi essere costruttore di unità? Vuoi essere profeta del mio cielo sulla terra?’. Lasciamoci provocare da Gesù e troviamo il coraggio di dirgli: ‘Sì, lo voglio!’”.

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