22/10/2015, 00.00
BANGLADESH – CAMERUN
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“Cristo nel volto dei disabili”: la missione di Joseph dal Bangladesh al Camerun

Joseph Mongol Aind è un fratello missionario laico del Pime. Proviene da una famiglia tribale di religione indù del Bangladesh. Ha studiato alla scuola cattolica di Rajshahi, dove ha letto la Bibbia e studiato il catechismo. “Quando tornavo a casa nel fine settimana, spiegavo alla mia famiglia che il Signore ha mandato suo Figlio sulla terra per salvare il suo popolo”. Lavora da 10 anni in Camerun, al servizio di disabili mentali e fisici. La comunità cristiana convive in modo pacifico con quella islamica, anzi “abbiamo molti volontari musulmani e tutti riconoscono il valore della nostra missione”.

Roma (AsiaNews) – Così “è cominciata la mia missione. Andavo con p. Mariano, missionario del Pime in Bangladesh, a fare visita ai malati in ospedale. Regalavo loro del sapone e dei biscotti. Tutti erano convinti che io fossi un seminarista, invece ero un semplice studente. Ma poi ho iniziato a domandarmi cosa volesse da me il Signore, perché le persone che incontravo mi dicevano che ero un buon cristiano. E allora mi sono detto: ‘Se voglio credere in Dio, devo aiutare coloro che soffrono’. Ho capito che non si può amare Dio se non si amano gli altri. Dall’incontro con i malati è nata la mia vocazione”. Fratel Joseph Mongol Aind, primo missionario laico bengalese del Pime (Pontificio Istituto Missioni Estere), racconta così ad AsiaNews l’origine della sua vocazione e il lavoro missionario che svolge da 10 anni in Camerun, curando e assistendo malati disabili e le loro famiglie.

Joseph Aind è un missionario laico del Bangladesh e proviene da una famiglia tribale Orao di religione indù. È il più piccolo di cinque fratelli e due sorelle, che aiutavano i genitori nel lavoro dei campi. “Anche io lavoravo la terra e mungevo le mucche – riferisce –, ma poi mio padre si è accorto che ero bravo nello studio e ha deciso di farmi continuare le scuole. Sono stato fortunato, la mia famiglia era povera e non poteva permettersi di mandare a scuola tutti noi. Mio padre ha puntato su di me, perché con il mio studio potessi contribuire in futuro al benessere della famiglia e migliorare le nostre condizioni di vita”.

Fratel Joseph studia nella scuola cattolica di Rajshahi (nella parte occidentale del Paese) dove p. Zanchi, missionario del Pime, e le Missionarie dell’Immacolata (congregazione femminile associata al Pime) svolgevano il loro lavoro missionario. Qui legge la Bibbia, fa lezione di religione e studia al catechismo. Egli racconta: “Ho iniziato a leggere la Bibbia, ma ero di fede indù, e pure molto religioso. Cantavo nel tempio e mi chiedevo sempre cosa potessi fare per incontrare Dio”.

P. Zanchi intuisce che il ragazzo è in cerca di qualcosa e lo coinvolge nelle attività del collegio [scuola media], incoraggiandolo a cantare durante la Messa e preparando la celebrazione con i chierichetti. “Io gli dicevo che non ero capace. Ero molto timido e mi vergognavo a cantare e pregare davanti a tutti. Tra l’altro facevo parte di una classe numerosa e lui sceglieva sempre me. Non ero più intelligente degli altri”. “Ma io – mi diceva – dal momento che avevo letto anche i testi religiosi indù, capivo la differenza con la Bibbia meglio di altri ed ero espressivo mentre leggevo le letture della liturgia”.

Quando torna a casa, il sabato e la domenica, Joseph legge la Bibbia anche alla sua famiglia: “Spiegavo loro che Dio ha mandato suo Figlio sulla terra per salvare il suo popolo, ed ero contento perché così spiegavo come salvare i nostri fratelli”. Durante il fine settimana, p. Mariano lo porta a visitare i malati nell’ospedale locale di Borni, dove risiede la sua famiglia. È stato l’incontro con i malati del luogo che ha fatto maturare in lui la consapevolezza della sua vocazione missionaria. “I malati – dice ad AsiaNews – mi guardavano contenti, erano felici delle mie visite. Credevano che io fossi un cattolico, non un indù. Mi dicevano: ‘Tu devi essere per forza un seminarista o un fratello [missionario], non è possibile che tu sia solo uno studente. Tu parli con noi, perdi del tempo a venire qui’”.

Nel 1994 Joseph inizia il liceo e incontra la comunità di Taizè, riunita a Rajshahi per il suo incontro annuale. “Sono rimasto affascinato dalla vita che conducevano i fratelli, e p. Mariano ha capito che ero pronto per entrare in un ordine religioso. Non attraverso il sacerdozio, ma per mezzo della missione laica, perché volevo essere più vicino ai malati, ai bisognosi. Quindi mi ha proposto di entrare nella comunità missionaria del Pime in Bangladesh”.

Nei tre anni successivi studia da infermiere nel proprio Paese, per poter essere inviato come esperto in assistenza medica in Camerun. Durante gli anni del corso professionale, egli conferma la sua fede cattolica e la prima intuizione missionaria dell’età giovanile: “Nel volto sofferente dei malati vedevo il volto sofferente di Cristo sulla croce”.

Nel 1999 arriva in Italia per formarsi alla casa del Pime di Busto Arsizio. Nel 2004 fa ritorno in Bangladesh, dove lavora per un altro anno in un ospedale e per i successivi tre mesi in un lebbrosario. Da ultimo, frequenta un corso per disabili mentali e fisici. “Tutta questa formazione – spiega – mi è stata utile quando ho iniziato la mia missione in Camerun nel 2006, a contatto con gli handicappati nel centro per disabili ‘Fondation Bethléem’ a Mouda [a circa 30 km da Maroua, capoluogo della provincia dell’estremo nord del Paese – ndr]”. Il centro nasce dall’opera di p. Danilo Fenaroli, missionario del Pime, e dall’associazione Silenziosi Operai della Croce (Sodc) e accoglie donne vedove, bambini orfani e persone disabili. “Io – spiega – mi dedico alle attività di fisioterapia per la riabilitazione motoria dei malati e a numerose iniziative per i disabili mentali”.

Il missionario racconta che i disabili “possono avere un atteggiamento molto aggressivo e violento se non vengono impegnati in attività che li tengono occupati. Per questo insegno loro a coltivare la verdura, a dar da mangiare agli animali. Ho mostrato come si semina e come si piantano gli alberi”. Il Camerun è un Paese bellissimo, continua, “ma la popolazione non conosce le tecniche agricole e l’allevamento. Perciò dal Bangladesh ho portato le melanzane – che loro non avevano mai visto –, le carote, i pomodori, la papaya. Ho portato lì la mia esperienza di tribale bengalese, proveniente da una famiglia umile e dedita alla coltivazione dei campi”. Inoltre quando fa visita alle famiglie dei disabili, si accorge che la loro alimentazione è molto povera, senza il consumo di frutta e verdura. Per questo motivo insegna a coltivare il giardino di casa per il fabbisogno giornaliero della famiglia.

Fratel Joseph, che ha pronunciato la sua promessa nel 2009 presso la nuova chiesa “Ave Maria” in Gulta, nella diocesi di Rajshahi, tiene a sottolineare che il centro dove opera accoglie persone senza distinzione di credo o religione, e la vita della comunità trascorre in armonia. Riferisce: “Nella zona, il 50% della popolazione è cattolica, il 25% musulmana e il restante di culto animista. Non abbiamo mai avuto problemi con la comunità islamica del luogo, anzi, abbiamo molti amici musulmani!”. “La cosa fondamentale – afferma – è che tutti riconoscono il valore del nostro lavoro missionario tra i più bisognosi, quindi ci accolgono con gioia, ci invitano alle loro case, a mangiare con loro, a vedere i progressi dell’orto domestico.

La coesistenza pacifica tra le varie religioni del luogo [nonostante i recenti attacchi dei militanti islamici di Boko Haram che tentano di destabilizzare la zonandr] è confermata dal fatto che nel centro lavorano in maniera efficace molti volontari musulmani e cattolici, insieme a lui e p. Danilo. “Io – conclude – sono molto contento dell’opera che svolgo da circa 10 anni in Africa, anche se c’è molto altro da fare”.

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