Xi Jinping ‘imperatore a vita’. Ma davvero?
Al recente Congresso del Partito comunista cinese Xi ha riempito di compari e fedelissimi gli organismi massimi di governo. Ma non vi sono possibili successori. Come il re di Francia Luigi XIV, Xi può dire: “Il Partito? Sono io”. Il Comitato centrale riempito da imprenditori delle compagnie statali: un segno che le riforme economiche andranno a rilento. Il nazionalismo è un’arma a doppio taglio. Se Xi sbaglia, i suoi molti nemici nel Partito si coalizzeranno.
Hong Kong (AsiaNews) – Il 19mo Congresso del Partito comunista cinese (Pcc), da poco terminato [18-24 ottobre 2017], ha confermato lo status di Xi Jinping come “imperatore a vita” della Cina. Il 64enne “cuore della leadership” ha riempito i più alti gruppi di governo del Paese – il Politburo e il Comitato permanente del Politburo (Cppb) – con i suoi compari e fedelissimi. Al Cppb non è stato introdotto nessun quadro delle generazioni più giovani, dando peso a quanto già si crede in modo diffuso, che il 64enne Xi rimarrà al vertice della leadership fino al 21mo Congresso nel 2027 e oltre (Apple Daily [Hong Kong], 26 ottobre; HK01.com, 25 ottobre). In più, il fatto che “il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una Nuova era” sia stato inserito nella Costituzione del Pcc ha rafforzato lo status di Xi come “Grande timoniere” per il Partito e la nazione, simile a Mao. I progetti pianificati per la “Nuova era” vanno fino al 2030 e al 2040, e ciò potrebbe offrire a Xi una ragione per stare alla guida oltre i soliti 10 anni. In un sorprendente parallelo con le parole del re di Francia Luigi XIV, che ha detto le famose parole “Lo Stato sono io” (L’état c’est moi”), il quasi totale comando delle leve del potere da parte di Xi è un modo per dire a tutti i cinesi: “Il Partito? Sono io!”.
I componenti della nuova leadership
Nel Pcc, il potere risiede in coloro che possono piazzare quadri di fedelissimi nelle alte posizioni. E durante il recente Congresso Xi ha fatto proprio questo. Come previsto, il segretario generale Xi e il premier Li Keqiang rimangono nel Cppb, il gruppo di governo più in alto in Cina. I cinque nuovi introdotti nel Cppb, tutti nati negli anni ’50, hanno giurato fedeltà al “comandante supremo”. Li Zhanshu, confidente e sicario di Xi, il prossimo marzo diverrà il presidente dell’Assemblea nazionale del popolo (Anp), il parlamento cinese. Wang Huning, teorico del Partito, prende l’incarico del portafoglio dell’ideologia e della propaganda. Un altro lealista, Zhao Leji, ex direttore del Dipartimento dell’organizzazione, sarà a capo dell’agenzia anti-corruzione più importante del Partito, la Commissione centrale per l’ispezione disciplinare (Ccid). Il vice-premier Wang Yang, noto come un riformatore dell’economia e della finanza, sarà nominato presidente della Conferenza politica consultiva del popolo cinese (Cpcpc), la più importante assemblea di consiglieri. E il veterano, capo del Partito a Shanghai, Han Zheng, è destinato ad essere il futuro vice-premier esecutivo, il principale vice del premier Li.
L’iniziale Fazione di Xi Jinping (che consiste di suoi sottomessi, compari e protetti del periodo in cui egli ha lavorato nelle province del Fujian e del Zhejiang, dal 1985 al 2007, come pure di suoi compagni di classe all’università Tsinghua, e amici conterranei della provincia dello Shaanxi) è dominante, ma lo è ancora di più nel più grande Politburo, con 25 membri. Quindici membri del Politburo sono fedeli di Xi, più quadri che hanno giurato pubblicamente alleanza totale con Xi. Senza contare i membri del Cppb, Li Zhanshu, Zhao Leji e Wang Huning, membri prominenti della fazione, ad avercela fatta ad entrare vi sono: i segretari del Partito di Chongqing, Pechino, Shanghai e Tianjin, rispettivamente Chen Min’er, Cai Qi, Li Qiang e Li Hongzhong; i segretari del Guangdong e della regione autonoma dello Xinjiang, Li Xi e Chen Quanguo; il principale consigliere economico di Xi, Liu He; il nuovo direttore dell’Ufficio generale del Comitato centrale Ding Xuexiang; Chen Xi e Huang Kunming, rispettivamente capi dei dipartimenti dell’Organizzazione e della Propaganda, appena promossi; i due vice-presidenti della Commissione militare centrale, i generali Xu Qiliang e Zhang Youxia (Radio French International, 25 ottobre; Oriental Daily News [Hong Kong], 25 ottobre).
Dato che la maggioranza dei membri della fazione di Xi sono relativamente giovani, ci vorranno cinque anni (fino al prossimo 20mo Congresso del Partito nel 2022) prima che possano esercitare un controllo più stretto su partito, governo e organi militari. Il Cppb che verrà formato al 20mo Congresso del Partito potrebbe consistere in maggioranza di membri della fazione di Xi. In ogni modo, vi sono prove che mostrano come vi siano stati dei passi indietro sull’espansione del potere di Xi. Xi ha dovuto fare alcuni compromessi sulle parole da inserire nella costituzione del Pcc, e nel suo rapporto di lavoro, ha dovuto dare più spazio di quanto si prevedesse per ristabilire almeno parzialmente alcune delle politiche riformiste delle “Porte aperte” di Deng Xiaoping.
L’inserimento del contributo teoretico di Xi nella costituzione del Partito
Una piccola sconfitta sofferta da Xi riguarda l’inserimento dei suoi “contributi teoretici” nella Costituzione del Pcc. Xi avrebbe voluto che si inserisse “il pensiero di Xi Jinping (习近平思想)”; questo lo avrebbe elevato in modo automatico allo stesso livello del presidente Mao, il cui “Pensiero di Mao Zedong (毛泽东思想)”, nel supremo documento è celebrato da tempo alla pari del marxismo-leninismo. Invece, “il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una Nuova era” è stato onorato nella Costituzione del Pcc come un pensiero guida per il Partito e lo Stato. Sebbene non sia proprio l’elevazione che Xi sperava, la sua influenza nel nuovo documento è impressionante. I nomi dei suoi due predecessori, gli ex presidenti Jiang e Hu non sono citati nella Costituzione; “Xi Jinping” è citato 11 volte. Una clausola stipula perfino che i membri del Pcc debbono “in modo risoluto salvaguardare l’autorità del dangzhongyang [il “centro del Partito] con il compagno Xi Jinping come cuore; un altro ammonisce i membri del Partito a “studiare con serietà il pensiero di Xi Jinping sul socialismo con caratteristiche cinesi per una Nuova era” (Ming Pao [Hong Kong], 29 ottobre; People’s Daily, 28 ottobre).
In ogni caso, il test definitivo per vedere se Xi è davvero – come dice la sua immagine preferita – il “Mao Zedong del 21mo secolo”, è se questo nuovo Timoniere potrà introdurre ampie riforme nei settori politico, economico e sociale. Il tanto vantato “Socialismo con caratteristiche cinesi per una Nuova era” consiste di un ammasso di slogan – molti dei quali riciclati da passati discorsi di Xi – riguardanti le conquiste della Cina entro l’anno 2035 e entro il 2050. Nel suo discorso di apertura al Congresso, Xi ha detto che entro l’anno 2020 la Cina diverrà una “società moderatamente prospera”. La nazione raggiungerà una piena modernizzazione socialista per il 2035. E entro il 2050, la Cina diverrà una “grande e moderna società socialista”, che è “prospera, forte, democratica, culturalmente avanzata, armoniosa e bella” (Xinhua, 29 ottobre; People’s Daily, 28 ottobre). Eppure, secondo lo storico del Partito, l’indipendente Zhang Lifan, il “Socialismo con caratteristiche cinesi” non è un concetto nuovo – e aggiungere solo il termine “Nuova era” non dà il senso che vi sia una particolare innovazione teoretica”.
Le implicazioni per le riforme economiche
Per realizzare la “Nuova era nel Socialismo con caratteristiche cinesi”, nel suo rapporto al Congresso, Xi ha elencato 14 direttive politiche. La prima e la più importante è di mantenere “la leadership del Partito su tutti i settori” del Paese. Membri del Partito e cittadini comuni sono chiamati “all’autocoscienza di salvaguardare l’autorità del Partito, nelle sue autorità centrali e nella sua concentrata e unificata leadership”.
Su temi economici, almeno dal punto di vista teorico, Xi sembra aver fatto concessioni ai quadri del Partito e del Consiglio di Stato che favorivano un ritmo di liberalizzazione più spedito, dicendo che il governo “incoraggerà con fermezza, sosterrà e offrirà guida allo sviluppo economico del settore non statale, così che il mercato assumerà un ruolo decisivo nella distribuzione delle risorse”.
Xi ha cambiato la Costituzione del Pcc per dare enfasi al fatto che nella ripartizione delle risorse il mercato giocherà un “ruolo decisivo” – e non soltanto un “ruolo fondamentale”, come diceva la vecchia versione del documento. In un evidente sforzo di attrarre investimenti stranieri, il capo del Partito ha perfino re-introdotto il concetto di “trattamento nazionale”, in cui multinazionali registrate in Cina ricevono lo stesso trattamento delle compagnie nazionali (Economic Daily [Beijing], 23 ottobre; Ming Pao, 20 ottobre).
In ogni modo, è chiaro che il controllo dell’apparato del Partito-Stato sui differenti settori economici sarà potenziato e non ridotto. Ad esempio, il governo ha cominciato ad acquistare azioni delle maggiori compagnie private come Tencent; sebbene il numero delle azioni governative sia solo simbolico, questo potrebbe portare alla nomina di rappresentanti del Partito nel consiglio direttivo di queste gigantesche compagnie private (Radio France International, 12 ottobre; Wall Street Journal, 11 ottobre). In più, quella che viene definita una delle più grandi politiche di liberalizzazione economica per i prossimi anni, la riforma delle compagnie conglomerate di proprietà statale (Soe), è stata rallentata e circoscritta. Sebbene Pechino abbia promesso che questi conglomerati dovrebbero avere proprietà mista, è chiaro che il Partito-Stato rimarrà il maggiore azionista – e che la maggior parte dei vertici amministrativi saranno nominati dal Partito-Stato (South China Morning Post, 6 settembre; China Securities Journal, 28 giugno).
Questo sostegno pro-forma da parte di Xi verso le forze del mercato e la partecipazione delle compagnie straniere potrebbe offrire una giustificazione teorica affinché nelle decisioni economiche cerchino un ruolo più grande i riformisti, guidati dal premier Li, che sono stati messi da parte. La preminenza delle autorità del Partito-Stato nelle imprese è illustrata dal numero di capi delle Soe che sono stati nominati nel Comitato centrale, che gestisce la politica. Almeno 20 di questi imprenditori statali hanno raggiunto il raro onore di essere inseriti nel Comitato centrale, come membri fissi, come alternati o come membri non votanti. (Ta Kung Pao [Hong Kong], 25 ottobre; Finance.sina.com, 24 ottobre). Essi includono (in ordine di numero di voti ricevuti da ogni membro alternato) (v. Foto 2).
La fusione di Partito e business – che è la più importante implicanza nella promozione di 20 imprenditori statali al Comitato centrale – potrebbe segnalare un altro round economico del tipo “il Partito-Stato fa dei passi avanti, il settore privato segna un ritiro”.
Implicazioni nella politica estera
“Socialismo con caratteristiche cinesi per una Nuova era” contiene forti similitudini con il più noto mantra di Xi, il “Sogno cinese”. Entrambi gli slogan contengono forti elementi nazionalisti. Lo scopo di Xi è trasformare la Cina in una “grande e moderna nazione socialista” entro o prima dell’anno 2050. E come Xi ha notato la scorsa settimana, la sua amministrazione “spingerà in modo comprensivo verso una diplomazia da grande Paese con caratteristiche cinesi, così da entrare in disposizioni diplomatiche multi-direzionali, sfaccettati e tridimensionali”. Il consigliere di Stato Yang Jiechi, il rappresentante più in alto nella diplomazia, è stato promosso a membro del Politburo e a vice-premier, un segno sicuro che l’amministrazione Xi sta versando più risorse nella diplomazia.
Conclusione: Chi potrà sfidare il nuovo “imperatore”?
Sebbene Xi sia forse emerso come il più potente leader dopo Mao, è importante notare che il Pcc, con 90 milioni di membri, provenienti dagli ambienti più diversi, non è necessariamente un Partito monolitico. In più, oltre a scartare membri delle fazioni di Shanghai e della Lega giovanile comunista, Xi si è fatto un enorme numero di nemici mediante l’uso machiavellico della operazione anti-corruzione, per eliminare o intimorire quadri che rifiutano di professare piena fedeltà a lui.
Per ora, questi elementi anti-Xi tengono un profilo basso; ma essi potrebbero in un attimo coalizzarsi e piombare su Xi, se questi facesse un terribile errore in politica estera o interna. Il consolidamento del potere di Xi ha aumentato in modo significativo la probabilità che egli faccia tale errore. Lo storico Zhang Lifan l’ha detto chiaro: “Xi vuole dettare tutte le politiche. E se lui facesse un grande errore, nessuno e nessuna istituzione potrebbe correggere la svista” (Central News Agency [Taiwan], 26 ottobre; BBC Chinese, 25 ottobre).
Ad esempio, il nazionalismo è una spada a doppio taglio. Se Xi cade in un brutto scontro con gli Stati Uniti, per esempio nel mar Cinese meridionale – e se il dittatore maoista viene giudicato di aver fallito di fronte agli americani – egli potrebbe perdere non solo la faccia, ma anche il potere. Le sue legioni di nemici potrebbero afferrare l’opportunità di cacciarlo – o almeno di negargli il suo feudalistico sogno di essere monarca a vita.
Per gentile concessione della Jamestown Foundation (traduzione italiana a cura di AsiaNews).