17/04/2004, 00.00
india - elezioni 2004
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Una "tigre economica" e un abisso di debito pubblico

di Maurizio d'Orlando

Con l'approssimarsi delle elezioni in India, presentiamo ai lettori di AsiaNews un quadro di questo paese, che in poco tempo sta integrando globalizzazione e tradizione. Non senza problemi e squilibri.

Se da un Paese di lingua inglese chiamate il call-center dell'American Express o della General Electric o magari delle Ferrovie Britanniche, dovunque siate, a rispondervi saranno una signorina, o un giovanotto, indiani. E lo faranno dall'India. La gestione del centralino e del primo contatto telefonico, come in genere l'intero settore dei servizi, sono infatti uno dei motori che dovrebbero portare il treno dell'economia indiana ad essere, nel 2032 la terza maggiore al mondo dopo gli Stati Uniti e la Cina e prima di Francia, Germania e Giappone. Per l'economia indiana, infatti, questo sembra essere il periodo di massimo splendore, con un tasso di crescita dell'otto per cento annuo, uno dei più alti del mondo. E la recente notizia che l'agenzia di classificazione del debito Moody's ha migliorato la valutazione del debito indiano comporterà una riduzione del tasso d'interesse e pertanto un ulteriore beneficio per il Paese.

Proprio i risultati economici raggiunti avrebbero spinto il governo, guidato dallo Janata, coalizione a marcato carattere nazionalista indù, ad anticipare le elezioni rispetto alla scadenza naturale di ottobre.

 

Un brillante futuro

 

L'impetuosa crescita dell'economia indiana, che ha spinto uno studio della Goldman Sachs International, reso pubblico al Forum Economico Mondiale di Davos, a prevederne un ruolo di testa nel futuro del mondo, e' dovuto in massima parte al settore dei servizi, per cui, se nella suddivisione del lavoro internazionale la Cina, annunciato numero 2 dell'economia mondiale, è vista come futura "officina" del mondo, l'India sembra destinata ad un più tranquillo ruolo di "ufficio virtuale" del pianeta. Tale settore, grazie proprio al cosiddetto outsourcing, che consiste nell'affidare ad imprese esterne l'esecuzione, tradizionalmente interna ad un'azienda, di processi e servizi accessori rispetto all'attività principale,  è infatti quello che mostra la maggiore dinamicità: i due terzi dell'incremento del PIL sono stati generati dai servizi, l'industria ha contribuito alla crescita economica per circa un quarto (il 24,1%) mentre l'agricoltura, che impiega circa il 60% della manodopera non ha fornito che un decimo (11,7%) di spinta dinamica all'economia. In questo periodo, inoltre, l'India ha assunto un ruolo preminente non più solo nella semplice immissione a terminale dei dati, ma nella produzione stessa di programmi di elaborazione dati ed in generale nella tecnologia informatica tanto che si prevede che nel 2008 tale attività arrivi a toccare un volume di affari di circa 50 miliardi di dollari. Un altro settore dei servizi che si prevede possa fornire un importante fonte di crescita economica è quello della ricerca e dello sviluppo: dal 2001 ben 230 multinazionali di settori ad alta tecnologia si sono insediate a Bangalore. Il deficit programmato per il prossimo anno è previsto in diminuzione, dal 4,8% del prodotto interno lordo di quest'anno al 4,4%. La crescita economica, che nel quinquennio 1992-1997 era stata in media del 7%, si prevede mantenga l'attuale livello da primato anche per il prossimo anno. E le riserve valutarie, che agli inizi degli anni novanta erano ridotte ad appena un miliardo di dollari, a fine 2003 erano di oltre cento miliardi di dollari.

La ragione e' semplice: gli indiani parlano inglese e guadagnano poco. Le grandi multinazionali ad esempio pagano un laureato 10.000 rupie al mese, circa 200 euro. E a fronte di tale salario si ha un impegno senza soste ed un livello d'efficienza calcolato solo in base alla resa, senza alcuna considerazione per i problemi del lavoratore. Sono condizioni molto dure, ma il Paese è riuscito quanto meno ad evitare, parzialmente s'intende, lo sviluppo "sporco" basato sugli impianti industriali. Non si deve infatti dimenticare che nella vicina, e rivale, Cina tale sviluppo ha provocato non solo problemi di inquinamento ma anche difficoltà per l'approvvigionamento di materie prime.

Ora, se si vedrà confermato dalle elezioni, il governo potrà portare avanti il suo programma che prevede privatizzazione delle imprese statali, taglio dei sussidi, riduzione della burocrazia e incremento degli investimenti esteri. Proprio in vista delle elezioni, intanto, ha ridotto i dazi doganali e le imposte al consumo per favorire le classi urbane, ha esteso le esenzioni fiscali per i progetti di produzione di elettricità, la cui disponibilità è critica in tutta l'India.

 

Burocrazia e debito pubblico

 

Ma sul futuro del Paese gravano varie incognite, a partire da un sistema burocratico che fu dell'amministrazione imperiale inglese e soprattutto dalla mentalità burocratica che si è protratta negli anni della via indiana al socialismo. Un'eredità costosa: un terzo del reddito è assorbito da imposte e per un Paese emergente non è poco. In un simile contesto burocratico anche la vita politica, ufficialmente libera e scandita da elezioni generali, è stretta da una miriade di micropartiti e micropoteri. Il costo del bilanciamento di tale sistema, che curiosamente assomiglia al pantheon del politeismo di Stato, è dato non tanto dalle inevitabili inefficienze e tortuosità ma da una cappa che soffoca non solo l'economia ma la società tutta. In tale contesto, la corruzione non è un fatto patologico ma un pilastro semisommerso del sistema, quasi una valvola di sfogo ed un correttore delle irrazionalità quotidiane. Completano il quadro la malagestione dell'amministrazione fiscale sia a livello locale che centrale, gli scioperi endemici e la mancanza di capitali di giro investito nelle imprese.

A livello macroeconomico l'equilibrio del pantheon politico ha un prezzo: il deficit pubblico combinato del governo centrale e delle amministrazioni locali è pari al 9 per cento del PIL. Ed esso è dato principalmente dalla spesa corrente, è la risultante cioè della tacitazione dei mille poteri e delle mille burocrazie mediante provvedimenti legislativi e specifici interventi dell'esecutivo mirati a soddisfare uno specifico gruppo di pressione.

L'anomalia indiana è che il debito pubblico, che arriva a toccare il 64% del PIL, poggia di fatto sulle rimesse estere di un settore, quello dei servizi, notoriamente difficile da verificare ed evanescente. Si consideri poi che tale valore è sottostimato perché nel debito pubblico andrebbero inclusi gli oneri per ristrutturare e ricapitalizzare il pregresso contabilmente occultato di perdite del sistema finanziario e delle imprese statali e per gli impegni derivanti dal sistema pensionistico in relazione all'allungamento delle aspettative di vita ed infine l'indebitamento sommerso delle amministrazioni locali. La sottostima del debito pubblico è però un caso comune anche a molti altri paesi asiatici e secondo certi analisti per alcuni di questi al debito pubblico ufficiale andrebbe aggiunto un ammontare pari a circa un altro trenta per cento di PIL per coprire gli oneri non contabilizzati. Adottando tale parametro il debito pubblico indiano sarebbe pertanto il 94 % del PIL.

La conclusione e' che nascosto dietro uno dei maggiori tassi di crescita al mondo, in India troviamo anche uno dei più alti deficit pubblici ed un debito pubblico che è di quattordici punti percentuali superiore al massimo del livello considerato sostenibile. Di conseguenza è elevato il rischio che un evento esogeno, ad esempio un evento politico o una catastrofe naturale o ancora problemi nelle forniture di energia, marchi un improvviso mutamento di aspettative dall'attuale euforia e precipiti il paese in una crisi. 

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