10/12/2004, 00.00
UZBEKISTAN - DIRITTI UMANI
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Una donna ortodossa contro la pena di morte: "La vita è dono di Dio"

Tashkent (AsiaNews) - "La pena di morte genera male e viola il più alto diritto inalienabile di ogni uomo: il diritto alla vita". È questa la motivazione per cui Tamara Chikunova, una cristiana ortodossa uzbeka,  ha fondato l'associazione "Madri contro la pena di morte e la tortura" che si batte per l'abolizione delle esecuzioni capitali in Uzbekistan.

Il 20 luglio 2000 è stato fucilato il suo unico figlio Dimitrij, 29 anni. Da quel giorno la donna ortodossa aiuta i detenuti e i condannati a morte che si proclamano innocenti a dimostrarlo in tribunale: in questi 4 anni di attività Tamara è riuscita a salvare 19 giovani "figli di Dio", come lei chiama i condannati.

"Io sono credente – racconta Tamara. Sono cristiana ortodossa e aiuto chi si trova nel braccio della morte perché la vita è il dono più importante che Dio ci ha dato. Uno Stato non ha il diritto di decidere a chi lasciarlo e a chi toglierlo: solo Dio può deciderlo". A causa della lotta per far liberare suo figlio Dimitrij, Tamara ha subito minacce da parte delle autorità: "Mio figlio ha dato la sua vita per salvarmi: ha confessato l'omicidio che non aveva commesso perché altrimenti mi avrebbero uccisa" racconta Tamara. "Per questo ora aiuto altri giovani per ricordare il mio Dimitrij".

L'Associazione coinvolge un centinaio di persone tra volontari e membri provenienti da tutto l'Uzbekistan e lavora a stretto contatto con altre organizzazioni internazionali tra cui la Comunità di Sant'Egidio e Amnesty International.

"Noi stiamo lottando da 4 anni perché si arrivi alla moratoria delle esecuzioni" afferma Tamara. "Proprio il 2 dicembre scorso, per la prima volta, il presidente dell' Uzbekistan ha dichiarato di essere favorevole all'abolizione della pena di morte e all'interruzione delle esecuzioni". Secondo la donna, questa prima dichiarazione del presidente è dovuta anche alla pressione internazionale promossa dall'Associazione.

La situazione dei condannati a morte in Uzbekistan è terribile: "I familiari – dice Tamara - non possono visitarli; essi vivono in queste camere aspettando ogni momento l'esecuzione. Né loro né i parenti  conoscono l'ora dell'esecuzione, perché essa viene segreta. I carcerieri non restituiscono nemmeno il corpo dei condannati e non dicono dove essi vengono sepolti per scoraggiare le indagini su eventuali segni di torture praticate in carcere. Questa è un'ulteriore, atroce tortura ai condannati e alle loro famiglie".

Tamara ha vissuto in prima persona questo dramma: un giorno si era recata per l'ennesima volta al carcere dove era detenuto suo figlio, chiedendo di poterlo incontrare. Mentre stava parlando con le guardie, Tamara ha sentito degli spari: avevano fucilato Dimitrij. Ma la morte del figlio è diventata per le motivo di impegno e di speranza per altre persone. (PF)
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