Turchia al voto: Erdogan vuole blindare il potere, l’opposizione promette battaglia
Domani le elezioni generali, per il rinnovo dei seggi parlamentari e la scelta del presidente. Economia, guerra in Siria e questione curda i temi caldi fra gli elettori. Analisti ed esperti: è il voto “più importante” della storia moderna del Paese. Erdogan punta sulla leva nazionalista. Le opposizioni cercano l’unità per fermare il dominio del “sultano”.
Istanbul (AsiaNews) - Economia in fase di stallo a dispetto dei proclami governativi, che accusano pure le agenzie di rating internazionali di mistificare la situazione del Paese; questione curda, con l’esercito che ha rafforzato nelle ultime settimane la repressione contro le milizie del Pkk (Partito curdo dei lavoratori, considerato fuorilegge da Ankara) e i leader politici locali; guerra in Siria, con l’annessa questione dei rifugiati e il sostegno ai gruppi armati dell’opposizione anti-Assad. Sono questi i principali temi che condizioneranno il voto in programma domani, 25 giugno, in Turchia, per le elezioni politiche generali che vedono favoriti il presidente uscente e il partito di governo.
Il voto rappresenta un passaggio chiave per il futuro della nazione e dell’intera regione mediorientale, dopo le tornate elettorali in Libano e Iraq; esso è anche il primo dalla riforma costituzionale in chiave presidenziale voluta dal capo di Stato Recep Tayyip Erdogan, in seguito a un referendum controverso e dall’esito contestato. La riforma prevede, fra gli altri, l’abolizione della carica di Primo Ministro i cui poteri saranno esercitati dal futuro presidente.
I cittadini turchi sono chiamati alle urne per le elezioni generali, previste in un primo momento il 3 novembre 2019 e poi anticipate come annunciato il 18 aprile scorso da una nota presidenziale. Nel contesto del voto verrà eletto il nuovo capo di Stato, con un sistema a doppio turno; in caso di ballottaggio, si tornerà alle urne domenica 8 luglio, scegliendo fra i due candidati che hanno conquistato il maggior numero di consensi. Al contempo verranno scelti i 600 nuovi deputati (50 in più rispetto al passato), che comporranno la Grande assemblea nazionale.
L’appuntamento elettorale riveste un’importanza strategica tanto che, alcuni analisti, parlano del voto più importante della storia moderna del Paese. Il futuro presidente potrà beneficiare di poteri esecutivi - fra cui decreti ingiuntivi, nomina del governo, dei vice-presidenti e dei più alti giudici del Paese - mai avuti prima da un capo di Stato. Egli manterrà la carica fino al 2023, quando ricorre il centenario della fondazione della Repubblica sulle ceneri dell’impero Ottomano.
Il principale favorito resta il 64enne leader uscente Erdogan, a capo del Partito per la giustizia e lo sviluppo (Akp), grazie anche alla monopolizzazione dei media del Paese: secondo un osservatorio indipendente l’attuale presidente è comparso per 68 ore sulle tv di Stato; i due rivali Muharrem Ince del partito Repubblicano (Chp) e Meral Aksener soprannominata “la lupa” del partito nazionalista Iyi, rispettivamente sette ore e 13 minuti ciascuno. Ecco perché gli oppositori, fra i quali vi è anche il capo del partito curdo Selahattin Demirtas, del Partito democratico dei popoli (Hdp), in carcere perché sospettato di coinvolgimento nel fallito golpe del luglio 2016, utilizzano i social e la rete per far sentire la propria voce.
Analisi ed esperti prevedono una vittoria di Erdogan e dell’Akp, ma non sarà un plebiscito e non sono escluse - come ha sottolineato lo stesso presidente in questi giorni - alleanze elettorali post-voto. L’obiettivo del “sultano” sono i 300 seggi, altrimenti “vedremo domenica sera” quali passi intraprendere per formare il nuovo esecutivo. Secondo alcuni lo stesso leader uscente dovrà ricorrere al ballottaggio per il rinnovo del mandato presidenziale, escludendo una vittoria già al primo turno. In ogni caso prevale un clima di incertezza e anche i più attenti osservatori mostrano estrema cautela nell’anticipare risultati e scenari futuri.
In questi giorni Erdogan ha rilanciato la propaganda nazionalista e assicurato futuri successi in chiave economica e diplomatica per la Turchia sotto la sua leadership. Tuttavia, l’unione delle forze di laici, radicali islamici, nazionalisti e curdi in chiave anti-sultano - una prima assoluta per il Paese - potrebbe riservare delle sorprese. Ecco perché nelle ultime settimane il presidente uscente ha rafforzato le maglie del controllo sul Paese, approvando di fatto una nuova ondata di arresti che ha portato altre 326 persone in carcere e portando a oltre 50mila il totale negli ultimi due anni.
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