20/06/2017, 10.49
MEDIO ORIENTE-EUROPA
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Terrorismo e migranti: le leadership in Medio Oriente ricattano l’Europa

di Luca Galantini

Gli attentati nelle capitali europee mirano a destabilizzare la politica estera di Paesi come Gran Bretagna, Germania, Francia. La posizione “neutrale” dell’Italia non le garantisce l’immunità. L’impegno ad affrontare l’immigrazione con una strategia a lungo termine di convivenza. Ma anche lavorare perché i Paesi di origine dei migranti abbiano sviluppo economico e politico. La profezia di Benedetto XVI nella “Caritas in Veritate”.

Milano (AsiaNews) - Il fallimento della illusioni democratiche nella stagione delle “primavere arabe” ha incrementato l’escalation dei conflitti armati, guerre civili e guerre asimmetriche, terrorismo su vasta scala che devastano l’intera cornice africana e mediorientale del Mediterraneo: ciò ovviamente ha influito sulla crescita esponenziale dei numeri del flusso di masse disperate di persone che guardano all’Europa come potenziale ancora di salvezza.

Al tempo stesso l’escalation degli attacchi terroristici di matrice fondamentalista religiosa islamica anche in terra europea è diventata l’incubo principale dei governi del Vecchio Continente.

Purtroppo  ad oggi prevale l’assenza di una  strategia istituzionale e soprattutto  culturale della UE di fronte a questa massa dolente di emigranti e profughi  in fuga da Stati falliti politicamente, prima ancora che economicamente.

Il pilastro di sabbia della politica estera, sicurezza e difesa della UE non sa garantire certezza del diritto, inclusione e sicurezza: le incoerenti  politiche migratorie estere dei singoli Paesi europei riconoscono la sostanziale inesistenza di una volontà politica UE che miri ad un’impostazione organica di cooperazione internazionale per la promozione dei diritti e della democrazia nei Paesi di origine di questi flussi disperati, con il risultato di costringere gli Stati a ripiegare su politiche negoziali su scala bilaterale per gestire i molteplici derivanti dal fenomeno delle migrazioni.

Immigrati e terrore

E’ evidente come l’Europa sia stretta nella morsa tra generiche dichiarazioni buoniste di accoglienza che non sanno andare alla radice del problema del drammatico sradicamento di milioni di persone dagli affetti della patria e demagogici emotivi muri di chiusura alle istanze di milioni di esseri umani disperati in fuga da brutali regimi autoritari e sistemi politici falliti che calpestano la dignità umana.

L’immigrazione è invece “un problema” politico-istituzionale che richiama altri “problemi”, come sottolinea il sociologo Ilvo Diamanti, e come tale va gestito, con paziente laboriosa strategia di lungo termine: problemi di convivenza o frattura religiosa, di integrazione o conflittualità culturale, di ordine pubblico e sicurezza sociale, di identità nazionale, di concorrenza sul mercato del lavoro, con evidenti connessioni politiche con i Paesi di provenienza per poter trovare piattaforme comuni di promozione e sviluppo.

L’Europa si preoccupa  giustamente del problema della radicalizzazione e della mancata integrazione di fasce di cittadini di origine soprattutto musulmana nei suoi sistemi sociali e politici che può degenerare in terrorismo, ma è ormai necessario evidenziare come il vero problema sia ben più a monte, ovvero abbia origine  nella lotta di potere tra le correnti religiose fondamentaliste islamiche che utilizzano il terrorismo come una devastante pistola fumante puntata su chiunque interferisca anche in modo indiretto sui processi di formazione della nuova leadership politica in Medio Oriente.

L’Europa muta delle dichiarazioni

Il fenomeno del terrorismo, o meglio, dei terrorismi di matrice radicale islamista guarda naturalmente con astuzia ai fenomeni migratori, che si rivelano un ricchissimo, potenziale  terreno di coltura attraverso cui destabilizzare il fronte dei Paesi europei e l’Occidente in generale

E’ tanto vera questa considerazione che la UE, nel suo ultimo documento programmatico ufficiale dedicato alla lotta al terrorismo di matrice radicale islamista – la Dichiarazione di Riga del 2015 – riconosce che questo terrorismo non è solo un problema di intelligence, di sicurezza armata ed ordine pubblico, di perseguimento giudiziario di questi reati, ma impone necessariamente il rafforzamento dei valori costituzionali della rule of law e della democrazia alla base della società europea e la promozione di questi valori con i Paesi in preda alla guerra in Medio Oriente attraverso la cooperazione internazionale.

E’ pacifico infatti, come riconoscono studiosi, analisti, e sottovoce anche le stesse cancellerie di governo, che la maggior parte di tali attentati rientrino in una logica organica coordinata al fine di destabilizzare le scelte di politica estera dei Paesi europei che contano: Gran Bretagna, Francia e Germania sul settore del Medio Oriente.

Nemmeno le defilate posizioni di “equidistanza” tra i signori della guerra in Mediterraneo e Medio Oriente, tenute da Paesi come l’Italia possono garantire l’immunità dal rischio del contagio terroristico.

Dopo la perdita di Mosul e Raqqa il rischio che tali attentati aumentino a dismisura è enorme, perché enorme è la posta in gioco, cioè la posizione che l’Europa e l’Occidente assumerà di fronte ai nuovi assetti di potere in Medio Oriente, cioè di fronte alle nuove leadership che si contendono l’egemonia politica, economica e militare del prezioso quadrante medio-orientale.

A livello politico, il pericoloso clima da resa dei conti nel mondo sunnita e tra il mondo sunnita e sciita per la leadership e nei rapporti di forza in seno al mondo islamico ha purtroppo portato a dettar legge su parte dell’opinione pubblica di fede islamica, anche in Europa, con distinte correnti politico-religiose altrettanto radicali, antimoderniste ed intolleranti: il filone wahabita, direttamente finanziato dalla potente monarchia saudita; il filone dei Fratelli Musulmani, che gode di appoggi politici ed economici presso ricchi emirati arabi; la stessa teocrazia sciita iraniana, che da 30 anni si caratterizza per la sua commistione integralista tra politica e fede, come lo stesso Samir Khalil Samir ha ricordato su queste pagine.

Democrazia, diritti umani, libertà religiosa

Il rapporto tra democrazia, diritti umani e religione che il filosofo Alexis de Toqueville già definiva nel XIX secolo il grande problema del nostro tempo appare essere il nocciolo duro oggi del rapporto tra mondo arabo ed Europa.

In Europa e nel mondo islamico termini come democrazia liberale, Islam, secolarizzazione, libertà di fede hanno un enorme carica emotiva che spesso porta ad una contrapposizione radicale tra visioni del mondo inconciliabili, scontri tra identità e valori non negoziabili. Il rischio è che queste categorie di pensiero vengano così radicalizzate al punto da ritenere che principi come le libertà fondamentali dell’uomo, la democrazia, lo stato di diritto non possano costituire una piattaforma di valori condivisa pur nella diversità delle esperienze storiche, religiose e culturali.

E’ necessario impedire che i valori che tutelano la centralità della persona umana, cioè lo stato di diritto ed il sistema democratico vengano “messi in pensione” nelle relazioni internazionali, perché solo attraverso questi principi si impedisce una pericolosa frammentazione del pianeta in “fortezze” in conflitto tra loro.

Questa ragionevolissima finalità di cooperazione e sviluppo in loco, nei Paesi stessi ove sorge il problema migratorio, era già descritta con chiarezza nella Enciclica sociale “Caritas in veritate” di Benedetto XVI, dove si raccomanda all’attenzione dei governanti i doveri delle società di partenza degli emigrati ponendo attenzione al «miglioramento delle situazioni di vita delle persone concrete di una certa regione, affinché possano assolvere a quei doveri che attualmente l’indigenza non consente loro di onorare: anzitutto dove sono nate, e senza essere costrette o indotte all’emigrazione”. (Caritas in Veritate,  n. 47).

In occasione del viaggio del 2008 negli Stati Uniti Benedetto XVI aveva precisato: «La soluzione fondamentale è che non ci sia più bisogno di emigrare, perché ci sono in Patria posti di lavoro sufficienti, un tessuto sociale sufficiente, così che nessuno abbia più bisogno di emigrare. Quindi, dobbiamo lavorare tutti per questo obiettivo, per uno sviluppo sociale che consenta di offrire ai cittadini lavoro ed un futuro nella terra d’origine» (Intervista concessa dal Santo Padre ai giornalisti durante il volo diretto negli Stati Uniti d’America, 15 aprile 2008).

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