10/06/2015, 00.00
NEPAL
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Suora nepalese: Dopo il terremoto, a rischio migliaia di donne incinte e bambini

di Nirmala Carvalho
Sono 50mila le donne che potrebbero riportare danni alla gravidanza a causa del terremoto. Donne e bambini i più colpiti dalla tragedia. “Le studentesse hanno perso tutto e sono inconsolabili”. Gli edifici religiosi cattolici hanno riportato pochi danni. La generosità del vicinato che ha nutrito la congregazione delle suore.

Kathmandu (AsiaNews) - “Almeno 50mila donne incinte potrebbero riportare deficit permanenti a causa del terremoto. I bambini potrebbero nascere deformati, con paralisi cerebrale o con disturbi di altro tipo”. È quanto suor Stella Davis (v. foto) dichiara ad AsiaNews parlando delle condizioni di vita delle donne all’indomani del terremoto che ha colpito il Nepal il 25 aprile scorso e che ha causato 8.700 vittime accertate e 17mila feriti. Suor Stella appartiene alla congregazione delle Sorelle della croce di Chavanod e insegna al liceo gesuita St. Xavier di Kathmandu. La religiosa gestisce anche un centro per donne e bambini, tra i più svantaggiati in questa tragedia.

Suor Stella racconta delle ragazze del suo liceo, che vivono sotto le tende o in casa di qualche parente: “Alcune sono inconsolabili perché hanno perso la loro casa. Si sentono a disagio, insicure e vulnerabili. La maggior parte di loro ha perso i libri e gli effetti personali durante il sisma”. La religiosa aggiunge che l’attività del liceo sta tornando alla normalità ma tutti sono ancora impauriti ed insicuri. “Adesso il problema principale per le donne è l’accesso ad acqua e cibo non contaminati e ripari sicuri, soprattutto nelle aree rurali del Nepal. Nel centro che gestisco ci stiamo concentrando in particolare su gruppi di donne migranti che vivono nelle baracche o sono senza casa”, continua.

La comunità della religiosa si trova nell’area di Pashupathi nella capitale [che prende il nome dal tempio di Pashupatinath, il più importante tempio induista del Paese - ndr], fortemente danneggiata dal sisma. Negli attimi successivi al terremoto le suore si sono precipitate nella cappella per accertarsi delle condizioni: “Siamo entrate nella cappella in preda al panico. Ma quando abbiamo visto che il tabernacolo e la statua di Maria non si erano spostate nemmeno di un centimetro abbiamo gioito. Questo ha accresciuto la nostra fede in Dio e la consapevolezza che Lui si prenderà cura di noi e dei nostri edifici. Lui vive nella nostra casa”.

Durante il terremoto la casa della congregazione ha subito lievi danni e le consorelle hanno vissuto per quattro giorni e quattro notti all’aperto, sotto piogge fitte e densi nuvoloni. La suora riporta anche la generosità dei vicini, “che hanno condiviso con noi il loro cibo, dal momento che la cucina della nostra comunità era inagibile”. Durante i giorni vissuti all’addiaccio, le religiose hanno trascorso molto tempo insieme agli altri sfollati, cercando di alleviarne le sofferenze attraverso la preghiera: “Di continuo chiedevamo al Signore di darci il coraggio per affrontare la situazione. Abbiamo condiviso la loro agonia, paura e incertezza”.

In seguito gli ingegneri hanno escluso la presenza di danni strutturali e hanno dichiarato agibile lo stabile, cosa che ha permesso il ritorno delle suore nell’istituto. Gli edifici cattolici sono quelli che hanno subito meno danni durante il terremoto perché costruiti in modo corretto, a differenza dei templi indù, degli edifici e delle carceri del Paese per i quali sono stati utilizzati materiali scadenti. 

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