27/08/2021, 15.46
AFGHANISTAN-ITALIA
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Sr. Shahnaz: 'I miei ultimi giorni nella Kabul dei talebani'

di Chiara Zappa

L’angoscia costante, le retate dei fondamentalisti, i tentativi falliti di fuggire. E poi l’ansia per chi è rimasto, resa ancora più lacerante dai sanguinosi attentati di ieri. La testimonianza di una religiosa arrivata in Italia con uno degli ultimi voli di evacuazione: "Le ragazze mi mandano messaggi in lacrime. Se sarà possibile tornerò in Afghanistan".

Roma (AsiaNews) - I giorni nella Kabul occupata dai talebani, in preda all’ansia nell’attesa di un’occasione per lasciare il Paese, suor Shahnaz non potrà mai dimenticarli. La religiosa che operava in Afghanistan per l’associazione Pro Bambini di Kabul (PBK), arrivata in Italia con uno degli ultimi voli del ponte aereo organizzato dalle autorità, è ancora sotto shock: «Anche adesso che sono qui sana e salva, ogni volta che sento bussare alla porta o avverto il rumore di una persiana mossa dal vento sento un tuffo al cuore e mi assale il terrore che qualcuno sia venuto a prendermi».

Le immagini dell’attentato di ieri in mezzo alla folla assiepata intorno all’aeroporto della capitale afghana non hanno fatto che ridestare i fantasmi di queste settimane e rafforzare i timori per «quelli che sono rimasti là». Il racconto della suora 46enne della Congregazione di Santa Giovanna Antida è drammatico: «Tutti in città erano nel panico e volevano solo partire. In queste giornate di terrore non passava un minuto senza che arrivasse qualche conoscente a chiedere una lettera di referenze a nome di PBK nella speranza che potesse servire a lasciare il Paese; io le preparavo ma ero consapevole che sarebbero state inutili, perché in città tutti gli uffici sono chiusi, così come le banche, c’è la completa paralisi».

La partenza, per suor Shahnaz e le quattro missionarie di Madre Teresa che negli ultimi giorni si erano trasferite nel suo stesso stabile insieme ai 14 ragazzi disabili da loro accuditi, è stata molto difficile: «Nessun’agenzia se la sentiva di prendersi la responsabilità di accompagnarci all’aeroporto perché la sicurezza non poteva essere garantita. Abbiamo preso contatti con diverse organizzazioni, dalla Nato al Catholic Relief Services, dall’Unama (la Missione di assistenza delle Nazioni Unite in Afghanistan) alla Croce Rossa: in diverse occasioni sembrava che il trasferimento fosse imminente ma ogni volta, all’ultimo momento, ricevevamo una telefonata che ci avvisava che le condizioni non permettevano di muoversi».

Nel frattempo le suore – così come gli altri religiosi ancora a Kabul e i cittadini locali che in questi anni avevano collaborato con loro – vivevano nella paura di una retata dei talebani: «Da noi sono venuti a bussare una volta al portone, con violenza, nei primi giorni dell’occupazione. In casa c’eravamo ancora soltanto io e l'altra suora che lavorava con me nella scuola per bimbi disabili di PBK. Abbiamo sentito un forte trambusto e il pianto di alcune persone fuori dal cancello... Ci siamo nascoste, anche se eravamo consapevoli che se avessero sfondato la porta non ci saremmo salvate, e per fortuna dopo pochi minuti se ne sono andati. Esperienze simili sono capitate a persone del nostro staff, così come al gesuita indiano responsabile del Jesuit Refugee Service che è stato poi aiutato a nascondersi in un altro edificio da alcuni collaboratori locali».

Confessa suor Shahnaz: «Avrei avuto diverse occasioni per fuggire da sola ma, così come il responsabile della Chiesa cattolica padre Giovanni Scalese, mi sono rifiutata di partire senza gli altri membri della nostra comunità e le persone che dipendevano totalmente da noi. Pensavo: “Moriremo insieme come martiri o ci salveremo insieme”». Infine, tre giorni fa, l’occasione buona: «Padre Giovanni ci ha chiamate dicendoci di stare pronte per quella sera. Verso le 21.30 davanti al nostro cancello è arrivato un pullman accompagnato da un’auto della polizia, da padre Scalese e da Alberto Cairo della Croce Rossa. Noi siamo usciti, completamente al buio, e siamo partiti verso l’aeroporto». Un tragitto caratterizzato da «un’ansia indicibile. Per strada la gente correva e cercava di raggiungere lo scalo, i talebani sparavano in aria all’impazzata, poi un proiettile ha colpito una persona che è caduta a terra proprio davanti alla nostra auto. Arrivati finalmente al gate principale, siamo riusciti ad attraversare i controlli dei fondamentalisti e ci siamo messi in salvo. Abbiamo poi saputo che la stessa polizia che ci ha scortati era costituita da talebani, che ormai hanno in mano tutto».

Anche ora che è salva in Italia, la religiosa non è certo serena: «La mia anima è lacerata, il mio cuore è a Kabul tra i bambini della scuola e le loro famiglie, che rischiano ritorsioni. Ma penso anche alle ragazze che mi mandano in lacrime messaggi chiedendo aiuto, e ai tanti genitori impauriti che i talebani prendano i loro figli per farne dei guerriglieri, mentre loro vorrebbero che andassero a scuola e si costruissero un futuro diverso. Li affido tutti al Signore...».

Quanto a lei suor Shahnaz è decisa a fare la sua parte: «Con l’aiuto della mia congregazione e di PBK, farò tutto il possibile per stare a fianco degli afghani arrivati con noi: i bambini, le studentesse, i miei collaboratori... Visto che l’intero staff adesso è qui, vorrei continuare il nostro impegno al servizio anche di altri bambini afghani profughi in Italia: in fondo questa è la vocazione dell’associazione fin dall’inizio. Saranno comunque i miei superiori a decidere il mio futuro. Io posso dire solo che, se un giorno avremo la possibilità di tornare a Kabul, io ci sarò».

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