Sorelle saudite in fuga verso la libertà: a Riyadh le donne ‘come schiave’
Dopo aver trascorso sei mesi nascoste a Hong Kong, ora hanno trovato riparo in un Paese terzo. In questo tempo hanno cambiato 15 nascondigli e sono state ospitate anche da una suora. Il timore di essere catturate, rimpatriate e uccise. La loro storia fonte di “speranza” per altre donne vittime di repressione e abusi. La tutela maschile nel mirino.
Hong Kong (AsiaNews) - L’augurio finale è che “la nostra storia” possa essere fonte di speranza per altre persone che, come noi, “vivono una situazione analoga. Vogliamo dire, forte e chiaro, alle autorità saudite e agli altri regimi che trattano le donne in modo diseguale: non sottovalutate la forza di donne coraggiose”. È quanto raccontano alla Reuters due giovani donne saudite (Rawan e Reem i nomi di fantasia) fuggite dal Paese per sfuggire alle violenze in famiglia e alla possibile morte, per aver abbandonato la fede islamica.
Per oltre sei mesi le due sorelle di 18 e 20 anni hanno vissuto nascoste a Hong Kong, nella speranza di un visto per l’Australia. In questo periodo hanno cambiato 15 case, sono state accolte anche da una suora e da un centro per donne vittime di abusi, per sfuggire alle forze di intelligence di Riyadh e ai loro familiari che cercavano di rimpatriarle.
Gli operatori di una ong che ha seguito la loro vicenda confermano che, la scorsa settimana, le due giovani donne hanno lasciato il governatorato alla volta di un Paese terzo - tenuto nascosto per questioni di sicurezza - dove potranno ricostruirsi una vita. Ora “sono al sicuro e stanno bene”. Prima di partire, dal 22mo piano di una stanza di albergo di Hong Kong hanno parlato della loro storia personale, nella speranza che possa essere esempio e infondere coraggio a donne come loro vittime di violenze nel regno wahhabita.
Nel loro racconto, le due ragazze non risparmiano critiche durissime alla controversa legge sulla tutela maschile, in base alla quale ogni donna deve ricevere il consenso di un uomo - padre, marito, fratello o figlio se vedove - anche solo per lavorare, studiare o ricevere cure mediche. “Le donne sono come schiave” afferma la sorella maggiore, il cui sogno è quello di diventare scrittrice un giorno. “Voglio solo fermarmi e sentirmi al sicuro, sapere che ho diritti e conto qualcosa. Solo vivere una vita normale, scoprire me stessa… ora sono padrona della mia vita!”.
La loro vicenda ricorda sotto molti aspetti quella della 18enne Rahaf Mohammed al-Qunun, cui l’Onu ha concesso lo status di rifugiata e ha trovato accoglienza e riparo - dopo giorni asserragliata in un hotel dell’aeroporto internazionale di Bangkok - in Canada. Anche le due sorelle hanno temuto a lungo di essere catturate e rimpatriate in Arabia Saudita, dove - con molta probabilità - sarebbero andate incontro a violenze durissime, se non la morte per apostasia.
Il loro unico desiderio, oggi, è quello di guardare a un “futuro bello, splendente”, lontano da una società e da una famiglia che definiscono “repressiva”. La fuga risale al settembre scorso, durante una vacanza in Sri Lanka, cui sono seguiti mesi di paure, timori e timide speranze a Hong Kong, penultima tappa verso l’Australia considerata in un primo momento la meta finale del loro viaggio verso la libertà.
A conclusione dell’intervista, le due sorelle raccontano di aver seguito in televisione l’assassinio del giornalista Jamal Khashoggi, ucciso il 2 ottobre scorso nel consolato saudita a Istanbul. Una vicenda oscura, dietro la quale vi sarebbero responsabilità dirette della leadership di Riyadh e del principe ereditario Mohammed bin Salman (Mbs). “Ho detto a mia sorella: sono felice di essermene andata. Questo è il Paese che abbiamo abbandonato” racconta la maggiore delle due, che considera il romanzo di George Orwell 1984 fra i suoi preferiti, “È un libro di fantascienza - conclude - ma quello che racconta è tutto vero in Arabia Saudita”.
Il consolato saudita nel governatorato non ha voluto commentare la vicenda.
11/02/2021 08:51