05/03/2007, 00.00
CINA
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Sindacati democratici per tutelare i lavoratori contro le imprese di Europa e Usa

Il noto sindacalista cinese Han Dongfang parla dello sfruttamento dei lavoratori operato dalle ditte estere. Le pubbliche autorità spesso non intervengono. Occorrono organizzazioni autonome dei lavoratori che valorizzino la partecipazione popolare che già si esprime in decine di migliaia di proteste. La difficile situazione dei migranti.
Hong Kong (AsiaNews/Agenzie) – I lavoratori debbono potersi organizzare per  tutelare insieme i loro diritti contro lo sfruttamento delle ditte estere. E’ l’opinione del noto sindacalista dissidente Han Dongfang. Han ritiene “non logica” la speranza degli operai che le ditte estere possano “promuovere migliori condizioni di lavoro in Cina”. “Occorre dire con chiarezza che le compagnie multinazionali non favoriscono buone condizioni di lavoro”, “le ditte estere vengono in Cina per trarre vantaggio dal basso costo del lavoro e ottenere migliori profitti”. Anche se queste ditte “hanno codici di condotta per la protezione dei diritti dei loro lavoratori, l’esperienza concreta dimostra che queste regole non sono applicate o imposte in Cina”.
 
Han ha fondato il primo sindacato autonomo cinese nell’89 (durante i moti in piazza Tiananmen), ha passato 3 anni in carcere e poi è stato liberato ed espulso dalla Cina per motivi di salute. Ora lavora ad Hong Kong dove dirige il China Labor Bullettin, su cui pubblica queste opinioni. “Nella seconda metà del 2006 – prosegue - il Congresso nazionale del popolo ha introdotto una nuova legge per rendere più vincolanti i contratti collettivi di lavoro. Le Camere di commercio europea e americana a Shanghai si sono subito opposte, minacciando che molte imprese sarebbero andate via se la legge fosse applicata. Quindi, non solo le ditte estere non proteggono i diritti dei lavoratori, ma usano il loro potere per impedire qualsiasi riforma, anche se introdotta dal governo cinese”.
 
Esperti osservano come spesso le ditte estere si oppongono alla costituzione di sindacati aziendali, dicendo che temono che così possa venire limitata la loro autonomia nell’organizzazione del lavoro. Ritengono, peraltro, che anche le autorità cinesi mostrano poco interesse all’effettiva tutela dei diritti degli operai, essendo preminente l’interesse ad attirare gli investimenti dall’estero. Ma Han fa notare che lo sfruttamento dei lavoratori causa perdite anche per i datori di lavoro. Fa l’esempio della fabbrica di scarpe Stella a Xing Xiong. I lavoratori, dopo che non erano stati pagati per oltre 3 mesi, hanno fatto proteste pubbliche. La polizia ha operato molti arresti, poi annullati, ma le proteste hanno fatto precipitare la produttività dell’impianto.
 
Negli scorsi giorni Amnesty International ha denunciato che i lavoratori migranti sono considerati dal governo come “persone prive di valore”. Non hanno assistenza sanitaria e i figli, esclusi dall’istruzione pubblica, debbono andare in scuole “per migranti” (economiche ma sovraffollate e poco qualificate) prive di autorizzazione, così che in ogni momento possono essere chiuse dalle autorità.
 
Han conclude che solo libere organizzazioni dei lavoratori possono far loro ottenere migliori condizioni di lavoro, anche aiutando le loro azioni legali contro le imprese. Osserva che delle 87mila proteste di massa avvenute nel 2005, “una gran parte sono state proteste di lavoratori”, che agiscono in modo “sempre più costruttivo e ottengono risultati sempre più tangibili”. “Il primo elemento della democrazia è la partecipazione del popolo. La Cina del futuro deve essere fondata su un nuovo rispetto della legge e sulla partecipazione della società civile”. (PB)
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