Si apre il 6° Plenum del Partito comunista cinese: cementerà il potere di Xi Jinping
Attesa l’approvazione della terza “risoluzione storica” del Pcc. Il documento esalterà il futuro del Paese sotto la guida di Xi e potrebbe criticare gli eccessi delle aperture di Deng Xiaoping. Rimangono poco chiari gli equilibri interni al regime; un indizio chiave sarà chi sostituirà il premier Li Keqiang.
Pechino (AsiaNews) – Si è aperto oggi nella capitale il 6° Plenum del 19° Comitato centrale del Partito comunista cinese (Pcc). L’incontro a porte chiuse, che si concluderà l'11 novembre, è destinato a cementare il potere di Xi Jinping, presidente della nazione e segretario generale del Partito.
Il clou del meeting sarà l’approvazione di una “risoluzione storica” che rivedrà i successi del Pcc nei suoi 100 anni e fornirà elementi per delineare la direzione futura del regime. Si tratta del terzo documento di questo tipo dalla fondazione del Partito. Il primo, nel 1945, ha rafforzato il potere di Mao Zedong. Con quello del 1981 Deng Xiaoping ha condannato invece gli eccessi della Rivoluzione culturale e lanciato le riforme di mercato.
Alla vigilia del Plenum, i media cinesi di Stato hanno celebrato i “successi” di Xi Jinping, soprattutto l’aver eliminato la povertà estrema nel Paese – un’affermazione contestata da molti osservatori – e traghettato la Cina verso la modernità.
Secondo diversi analisti, dalla sua entrata in carica nel 2012 Xi ha raggiunto uno status che in passato ha avuto solo Mao. Ciò ha però allarmato buona parte della comunità internazionale, preoccupata per la repressione interna nello Xinjiang, in Tibet e a Hong Kong. La Cina di Xi è anche più attiva e aggressiva in politica estera, con la crescente ostilità nei confronti di Taiwan e le rivendicazioni territoriali nel Mar Cinese meridionale e in quello orientale.
Il risultato è che gli Usa di Joe Biden hanno spazio per tentare di creare un fronte unito “anti-cinese” con alleati e partner. L’obiettivo di Washington e quello di contenere la potenziale minaccia militare di Pechino e contrastare le sue pratiche commerciali, ritenute contrarie alle regole internazionali.
I commentatori sono divisi su quale sarà il contenuto effettivo della terza risoluzione sulla storia del Pcc. Alcuni sostengono che essa sarà meno importante delle precedenti, concentrandosi più sulle prospettive future sotto la leadership di Xi. Altri si aspettano che l’attuale leader supremo riservi a Deng lo stesso trattamento che il “piccolo timoniere” ha avuto per Mao; in questo scenario il documento finale approvato dal Plenum includerebbe critiche agli eccessi delle “riforme e aperture” volute da Deng.
L’aspetto più importante del Plenum in corso è però con quale equilibrio di potere il Partito si presenterà al Congresso del prossimo anno. Con l’abolizione nel 2018 del limite dei due mandati presidenziali, Xi si avvia a governare almeno fino al 2027. Egli non ha mai designato un successore: l’attuale vice presidente, il potente Wang Qishan, ha 73 anni e avrebbe contrasti con il suo capo. Wang farebbe parte di quell’ala del Partito che mal tollera i controlli governativi imposti nell’ultimo anno al settore privato (soprattutto ai giganti dell’hi-tech) e la “prosperità comune” invocata da Xi.
Un indizio indiretto su quale sia il reale peso di Xi e dei suoi sostenitori nel Partito lo potrebbe dare la scelta del futuro primo ministro, sulla carta il numero due del regime. L’indicazione di una figura appartenente alla fazione del premier in carica Li Keqiang (la Gioventù comunista) segnalerebbe che Xi è dovuto scendere a patti con i suoi avversari per perpetuare il proprio potere.