07/03/2012, 00.00
CAMBOGIA
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Saet Alberto, morto di tumore. Convertito a Cristo per “rinascere a nuova vita”

di Mario Ghezzi*
Il giovane ha studiato in un liceo fondato da missionari e, grazie a una borsa di studio, si iscrive in università frequentando la facoltà di matematica. In pochi mesi la diagnosi: cancro al cervello. Un percorso di sofferenza e dolore, alleviato da una ricerca interiore che lo ha portato al battesimo. E un grande desiderio: “conoscere Gesù”.

Phnom Penh (AsiaNews) - Una storia di fede e di dolore, che arriva dalla Cambogia attraverso il racconto di un missionario del Pime. A Saet, un giovane poco più che ventenne, brillante studente di matematica all'università di Phnom Penh, viene diagnosticato un tumore al cervello. È in fase terminale, non vi sono speranze di guarigione. Ma la rabbia e la disperazione cedono il passo alla consolazione, alla riscoperta di un rapporto di amicizia con i padri missionari che lo spinge - nato e cresciuto in una famiglia buddista - a convertirsi al cristianesimo a poche settimane dalla morte. Perché in Gesù, afferma con un filo di voce, "rinascerò a una vita nuova".

Grazie ai sacerdoti del Pime egli trascorre le ultime fase nel centro per ammalati Santa Elisabetta di Ungheria a Phnom Penh, un centro per poveri provenienti soprattutto dalle campagne fondato e gestito da Paola Maiocchi - della Comunità delle missionarie laiche - assieme a p. Mario Ghezzi. In questa testimonianza scritta dal sacerdote, ripercorriamo la malattia di Saet - che ha scelto il nome Alberto al momento del battesimo - la sua sofferenza fisica e la pace interiore, la felicità per l'incontro con Cristo e la scelta di convertirsi.
Saet Alberto è morto martedì 28 febbraio alle 21.23. Ma il suo ricordo è ancora vivo ed emerge da questo racconto. Una testimonianza di vita e di fede che, in Cristo, vince la morte.

Saet, 22 anni, "alto e bello come il sole" dice chi lo ha conosciuto da sano, è arrivato al nostro centro per ammalati a metà dicembre, aveva l'occhio sinistro tumefatto, era già stato in Vietnam ed aveva già ricevuto la diagnosi fatale: cancro al cervello. Tornò a casa senza sapere che fare, intanto il dolore si faceva sempre più forte assieme al desiderio di farla finita.  Prima di ammalarsi era arrivato a Phnom Penh pieno di speranze, era intelligente Saet e aveva vinto una borsa di studio per un corso di laurea in matematica, una settimana all'università e poi i sogni cominciano a infrangersi; il primo segnale: un banale mal di testa.

La sua storia è simile a quella di tanti altri giovani cambogiani poveri. Concluse le scuole medie abbandona gli studi, perché la madre vedova non poteva permettersi di pagare la retta. Così Saet diventa pastore e contadino. Un giorno un amico gli dice che a Prey Veng c'è un liceo nuovo dove aiutano i ragazzi poveri; è il liceo che p. Alberto Caccaro, del Pime, aveva aperto da poco. Così per Saet ricomincia il sogno di poter di nuovo tornare a scuola. Il ragazzo frequenta l'istituto e ad agosto del 2011 si diploma. In seguito, egli vince una borsa di studio in matematica all'università di Phnom Penh. Ma a ottobre continui mal di testa gettano un'ombra sul suo futuro; il viaggio in Vietnam e la diagnosi: cancro al cervello, ancora pochi mesi di vita. Grazie alla conoscenza di p. Alberto, Saet verrà condotto al nostro centro per ammalati, altrimenti sarebbe morto senza assistenza medica di alcun tipo e senza l'aiuto della terapia del dolore. Il missionario lo mette in contatto con Paola e Saet arriva leggero come un angelo, malato e dolorante ma sempre un angelo.

Le sue condizioni precipitano in fretta, il dolore si fa sempre più forte, ma il dolore e la consapevolezza della morte inevitabile aprono nel suo cuore la breccia delle domande, quelle vere e inevitabili, che possono essere relegate ai margini nell'arco della vita, ma con le quali ognuno deve poi fare i conti. Saet, buddista di tradizione, decide di partire da questa richiesta e si rivolge a p. Gustavo Benitez, anch'egli missionario Pime: "fammi conoscere Gesù". E Gustavo timidamente comincia a leggergli il Vangelo di Marco. Il 31 Dicembre 2011 all'una del pomeriggio chiama padre Gustavo  e gli dice: "padre vieni a prendermi perché oggi ho un po'di forze e voglio vedere la vostra chiesa". Io transito e vedo dalle finestre Gustavo che spinge Saet sulla carrozzina, entro in chiesa, anche se al tempo io e Saet non ci conoscevamo ancora bene. Di getto Saet mi chiede: "voglio essere battezzato adesso perché non so se domani ci sarò ancora".

La conversione e il battesimo

Ovviamente lo dissuadiamo da questo pensiero anche perché non era veritiero e lo convinciamo ad attendere l'indomani. Il pomeriggio del 1 Gennaio 2012 Saet viene battezzato e cresimato, prendendo il nome cristiano di Alberto come segno del profondo legame con p. Alberto Caccaro. E qui ricomincia la vita! Il pensiero di farla finita lo aveva già abbandonato. Usava dire: "padre, quando ho saputo di avere un cancro ho pensato al suicidio, ma poi sono arrivato qui ed ho scoperto un amore così grande - aggiunge - che non avrei mai immaginato potesse esistere: Paola, voi padri, i ragazzi della parrocchia che venite a trovarmi ogni giorno e poi, soprattutto, ho conosciuto Gesù".

In quel momento Saet aveva già perso l'uso di entrambi gli occhi, perché il cancro si stava espandendo agli occhi e al naso. Cieco, con il naso completamente chiuso dal tumore Saet diceva: "padre, io ho una gioia grandissima nel cuore, una gioia che non ho mai conosciuto prima, che bello padre aver conosciuto voi e Gesù. Anche se staremo insieme per poco tempo non dimenticherò mai il tesoro prezioso che ho scoperto qui. Grazie padre!".

Queste parole le ripeteva continuamente anche a Gustavo e a Paola. E a me veniva da dire... "ma che c'è da essere contenti? Hai 22 anni, tra qualche settimana morirai, e lo sai, non ci vedi più, il naso è fuori uso, hai dei mal di testa che ti spaccano in due e tu dici di essere contento?". Eppure ogni sera dopo la messa delle 18.30 abbandonavo tutte le mie attività per passare del tempo con lui, nella speranza che stesse bene e potesse parlare, perché i malati come lui non hanno parole da sprecare e possono dire solo cose profondamente sensate e vere. Allora il tempo passato con Saet diventava un'esperienza mistica: parlare, toccare, vedere, ascoltare Gesù. Il suo corpo giovane e sempre più fragile e magro era un tutt'uno con l'Eucaristia che avevo appena celebrato all'altare; le sue parole diventavano piene di significato come la Parola che  avevo appena ascoltato durante la messa. La liturgia proseguiva in una adorazione, a volte silenziosa a volte parlata, del corpo sofferente di Cristo con cui Saet si era identificato subito senza indugio. Baciare le sue mani era baciare quelle di Gesù, baciare il suo volto era baciare quello di Cristo. Gli dicevo: "Saet, la tua sofferenza è preziosa perché offerta a Dio diventa uno strumento di purificazione per te ma anche per il mondo intero. Tu, come Gesù, diventi offerta e sacrificio che purifica il mondo". E lui rispondeva sorpreso e contento: "Ma davvero padre?". In cambio dell'offerta del suo dolore Saet ha ricevuto una serenità e una pace che già parlavano di paradiso negli ultimi giorni della sua esistenza.

In Cristo, la vita oltre la morte

Parlava del giorno della sua morte come della cosa più normale possibile. Ha chiesto da subito e ha voluto vedere la stupa dove mettiamo le ceneri dei defunti e poi ha cominciato a chiedere della vita oltre la morte: il paradiso, la vita in Cristo e la comunione dei Santi, l'eternità; questi erano i temi delle nostre conversazioni. Era arrivato a dire: "Non voglio più dire che morirò, voglio dire che devo rinascere ad una nuova vita con Gesù!".

Poi anche le conversazioni sono scomparse quando il cancro ha preso possesso del palato e della bocca. Ha cercato di prendersi tutto, quel maledetto cancro, ma non è riuscito a prendersi il suo cuore, la sua pace e la sua serenità che ha vissuto come doni speciali di Dio. Quando non c'erano più parole da dire, solo le mani sono rimaste a comunicare affetto e vicinanza, carezze leggere e sincere, le sue mani che chiedevano di intrecciarsi con le nostre, parole sussurrate all'orecchio che dicevano le preghiere che lui non poteva dire e che una stretta della sua mano confermava. Riusciva a dire poche parole, ogni tanto, e potevi essere certo che  avrebbe detto: "Grazie padre che sei venuto a trovarmi, e un sorriso spuntava sulle sue labbra".

Andavo da Seat ogni sera perché in quella stanza, paradossalmente, circolava un'intensità di vita pazzesca. Entrare in quella stanza voleva dire uscirne ricaricati e pieni di forza interiore, anche quando il tempo era trascorso nel silenzio. É mai possibile che ci sia tanta vita in prossimità della morte? Eppure è stato così! Saet ha superato i confini della paura della morte. Diceva: "Padre, non ho paura di morire, so che incontrerò Gesù e questo mi basta". La morte non gli faceva paura, chiedeva solo di morire con un sorriso sulle labbra, dignitosamente e senza recare troppo disturbo a sua mamma e a tutti noi. In particolare ha chiesto insistentemente il dono della consolazione del cuore per sua mamma e per suo fratello. E cosa ha detto la mamma nell'istante in cui Saet ha esalato l'ultimo respiro? "Grazie padre per come gli avete voluto bene". Ma chi poteva aspettarsi un reazione del genere da parte della mamma?

Quando ancora poteva parlare una sera mi disse: "Padre ho una cosa da chiederti, quando una persona muore dove mettete la salma?". Rispondo che di solito rimane a casa del defunto oppure la mettiamo in una stanza vicino alla chiesa. Ribatte sorpreso: "Ah, non la mettete in chiesa?". E io gli rispondo che no, normalmente non avviene. Saet replica: "Padre, quando morirò vorrei riposare una notte intera in chiesa, mi fai questo regalo?" "Certo Saet - rispondo - stai tranquillo che sarà così".

Saet: nostalgia del volto di Dio

E così fu, Saet ci lascia alle 21.23 del 28 febbraio e dopo 30 minuti è già in chiesa davanti alla statua di Maria, sdraiato su un lettino e coperto da un lenzuolo bianco. I ragazzi dell'ostello della parrocchia e quelli della comunità vocazionale si riversano in chiesa a pregare, poi spontaneamente si organizzano per vegliare Saet fino al mattino. Il giorno dopo all'una del pomeriggio celebriamo il funerale alla presenza dei parenti, amici e compagni di scuola di Saet, che sono tutti buddisti. Un silenzio pregnante regna in chiesa, questi "fedeli" hanno occhi e orecchi spalancati, alcuni in sguardi di stupore. Poi si va alla pagoda, l'ultimo sguardo a Saet e la cremazione.

É finita una vita terrena, ma è cominciata una vita nuova, nel Signore, nella pace, nella beatitudine eterna. Una strana nostalgia mi prende, sicuramente di Saet, ho bisogno di tempo per piangere questa morte come si deve, ma anche forse nostalgia di Dio: "Perché Saet prima di me? E se volessi venire anch'io? Magari un po' in fretta!". Carissimi amici, ma vale proprio la pena di avere paura della morte?

L'ultimo ricordo di Saet

Phnom Penh, 1 febbraio.

In una pagina di diario l'ultimo ricordo di Saet:

"Questa sera a Saet non è rimasto nulla se non la possibilità del dolore, puro, solo, desolante, lancinante, che non lascia scampo. Solo questo. Non c'è più spazio per uno sguardo, perché gli occhi non li ha più ormai da molto tempo. Non c'è più spazio per un dialogo, perché la lingua è intorpidita dal dolore e dalla morfina. Non c'è più spazio per bere insieme il té verde Zenya, perché 'la bestia' sta invadendo la gola e ha lasciato spazio solo per un po' d'acqua. Saet dice di avere una fame terribile ma non è più capace di ingerire nulla di solido... Resta solo una flebile stretta di mano e qualche parola dolce, di consolazione, qualche preghiera sussurrata all'orecchio, mentre lui annuisce con un cenno della voce e uno quasi impercettibile del capo.

Eh si, solo il dolore è rimasto a farla da padrone, ma dentro tutto questo dolore è possibile trovare una speranza, un motivo di gioia e di pace? Non so come si senta Saet, posso solo tentare di immaginarlo, ma credo che ogni parola buona e bella che viene sussurrata al suo orecchio sia come una carezza leggera, che ti fa sentire qualcuno vicino quando non puoi parlare e non puoi fare più nulla. Parole che parlano di pace, gioia e speranza nonostante tutto perché la speranza, la certezza che Dio sia maledettamente presente in questo dolore, non ha mai abbandonato né noi né Saet.

Saet ha chiesto a sua mamma di farla finita con qualche medicina, ma questo non succederà, la mamma non sarà mai capace di farlo. Di certo il dolore di Saet deve essere qualcosa di inimmaginabile. Come è possibile pensare che una massa tumorale informe si moltiplichi nel cranio di una giovane creatura e inizi a riempire tutti gli spazi liberi, occhi, naso, bocca, ora sta arrivando anche alle orecchie, tra poco Saet non sentirà più nemmeno le nostre parole di consolazione....

Solo una cosa: Dio abita questo immenso dolore e lo sta già purificando. Chiedo, invoco, imploro il mio Dio, che è il Dio della Croce: abbraccia questo ragazzo, non lasciarlo in preda alla disperazione, accompagnalo istante per istante, comincia a fargli vedere la tua luce.

Ascolta le preghiere di Saet, ed esaudiscile presto, ti supplico mio Signore.
Amen".

*P. Mario Ghezzi è un missionario del Pontificio istituto missioni Estere, da 12 anni in Cambogia

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