04/06/2018, 12.18
GIORDANIA
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Sacerdote giordano: le proteste anti-governative sono ‘imponenti, ma pacifiche’

Da giorni diverse città del Paese sono teatro di manifestazioni di piazza. I cittadini contestano le politiche governative di riforma fiscale richieste dal Fmi. P. Bader: Animate da “elementi della società civile”, non da movimenti radicali come i Fratelli musulmani. Probabile bocciatura della legge.  L'aumento dei prezzi e i migranti.

 

Amman (AsiaNews) - Le manifestazioni di questi giorni in Giordania sono “imponenti, ma pacifiche” e ciò che più conta è che “sono animate da cittadini e da elementi della società civile”, senza l’interferenza “di partiti politici” o movimenti radicali come “i Fratelli musulmani”. È quanto sottolinea ad AsiaNews p. Rifat Bader, direttore del Centro cattolico per gli studi e i media di Amman, commentando le proteste di piazza che, da quattro giorni, animano le strade di Amman e di altre città del Paese contro caro-vita e disoccupazione. “Ora i lavori del Parlamento sono fermi - aggiunge il sacerdote - ma si aspetta una sessione straordinaria nella quale, con molta probabilità, i deputati respingeranno la proposta di legge avanzata dal governo”. 

Per il quarto giorno consecutivo in Giordania sono scese in piazza migliaia di persone, per protestare contro una riforma fiscale voluta dall’esecutivo e caldeggiata dal Fondo monetario internazionale (Fmi). Secondo i dimostranti, essa danneggia la classe media e i settori più poveri della popolazione e non porterà a un auspicato aumento dei salari in linea con la crescita incessante del costo della vita. 

Analisti ed esperti sottolineano che si tratta delle manifestazioni più imponenti nel regno ascemita che, a differenza di molti altri Stati della regione - fra cui Egitto, Tunisia, potentati del Golfo - aveva attraversato indenne le rivolte legate alla Primavera araba a partire dal 2011. Una politica di austerità che sta spaccando l’Europa e che ora sembra investire anche le nazioni arabe, con effetti potenzialmente catastrofici per i fragili equilibri della regione. 

I cittadini in piazza invocano a gran voce le dimissioni del premier Hani Mulki, convocato oggi con la massima urgenza da re Abdallah per colloqui privati. Nei giorni scorsi il capo del governo ha sottolineato che sarà il Parlamento a decidere se approvare o meno la riforma fiscale voluta dal Fmi. Le proteste hanno toccato non solo la capitale, Amman, ma diverse altre città fra cui Zarqa, Balqa, Maan, Karak, Mafraq, Irbid e Jerash. I poliziotti, in tenuta anti-sommossa, sono intervenuti a più riprese con gas lacrimogeni e idranti per disperdere la folla. 

Al centro delle critiche la decisione di aumentare i prezzi e le tasse del 5% sugli individui e del 20/40% per le imprese. I cittadini chiedono le dimissioni del premier, dopo il fallimento dei negoziati fra lo stesso Mulqi e i sindacati dei giorni scorsi. La protesta era divampata lo scorso 30 maggio ed era proseguita nei giorni seguenti, in seguito all’annuncio di aumenti per carburanti ed energia elettrica. In questo contesto di crisi il re, figura in linea generale amata dalla popolazione e garante di unità, ha chiesto la collaborazione di tutti per raggiungere un compromesso. 

Le contestazioni sono “dirette al Primo Ministro” e alla squadra di governo, sottolinea p. Rifat. Oggi il re lo ha convocato a Palazzo e “si aspettano decisioni nelle prossime ore, la sensazione è che possa succedere qualcosa”. L’importante, aggiunge, è sottolineare “la natura pacifica” della protesta e che essa trae origine “dai sindacati, dalla società civile” ed è un “segno positivo di cambiamento” . “In questo senso - conferma - i Fratelli musulmani sono fuori dai giochi”.

“Le persone in piazza - spiega il sacerdote - chiedono rispetto dei diritti e politiche inclusive contro l’aumento dei prezzi e la disoccupazione, problemi sociali reali. Non ci sono violenze e il quadro resta nella legalità”. Per p. Rifat Bader le proteste sono l’epilogo inevitabile di una situazione sociale sempre più difficile. “In pochi anni - racconta - siamo passato a 10 milioni di persone, di cui sette giordani e tre immigrati Di questi un milione sono migranti economici, soprattutto da Egitto e Filippine. Ma due milioni sono rifugiati da Siria, Iraq, Yemen, Libia, Sudan. Alla crescita demografica si è affiancato un aumento dei prezzi e mancanza di lavoro”. Il Paese, conclude, “va aiutato, mentre questa legge promossa dal governo finisce per aumentare differenze e povertà”.

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