Raisi presidente, ma meno della metà degli elettori ha votato
L'esponente ultra-conservatore che nel 2017 era stato battuto da Rouhani è ampiamente davanti nello spoglio dei voti nelle elezioni iraniane. Contrario ai contatti tra uomini e donne nello spazio pubblico e alfiere di una "economia di resistenza", ha dichiarato di essere più adatto dei riformisti ad attuare l' "accordo sul nucleare approvato dalla Guida suprema".
Teheran (AsiaNews/Agenzia) – Come era ampiamente annunciato l'ultra-conservatore Ebrahim Raisi è il nuovo presidente dell'Iran. Ma in un'elezione in cui ha votato meno della metà degli aventi diritto. A spoglio dei voti non ancora terminato gli altri tre candidati rimasti in corsa hanno già concesso la vittoria, essendo Raisi intorno al 62% dei voti scrutinati, ben al di sopra - dunque - della soglia del 50% necessaria per evitare il ballottaggio.
Si profila forte, però, anche il dato dell'astensionismo: in molti sembrano aver accolto l'appello a boicottare il voto dopo che molti dei loro candidati erano stati esclusi dalla corsa dal Consiglio dei Guardiani della costituzione. Non sono stati diffusi dati ufficiali sull'affluenza, ma avrebbero votato intorno ai 28 milioni di elettori sui 59 milioni aventi diritto. Un dato di molto inferiore al 73% di elettori che si recarono alle urne nel 2017 per le elezioni presidenziali che videro la vittoria del riformista Hassan Rouhani e la sconfitta proprio di Raisi. E l'affluenza è stata certamente inferiore anche rispetto al minimo storico del 57%, toccato l'anno scorso in occasione delle parlamentari.
Il presidente uscente Rouhani - che ha già ricoperto la carica per due mandati e passerà le consegne a Raisi ad agosto - si è “congratulato con il popolo per la sua scelta”. Ex capo della magistratura e fedelissimo della Guida suprema Ali Khamenei (a cui potrebbe succedere) il nuovo presidente - che ha 60 anni - è ricordato per aver fatto parte del comitato che, dal 1988, ha condannato a morte migliaia di dissidenti, militanti e oppositori dopo la guerra con l’Iraq. Il suo nome figurava già tra quelli degli esponenti iraniani sottoposti a sanzioni dal governo Usa. Ha sempre sostenuto una linea di chiusura nei confronti delle riforme sociali e dei legami con l'Occidente. Nel 2014, per esempio, Raisi fece discutere in Iran per la sua difesa delle regole imposte dal governo di Teheran per limitare i contatti tra uomini e donne nello spazio pubblico: “Si tratta di un buon modo - disse - per creare un ambiente di lavoro adatto alla promozione della donna”. Quanto alle politiche economiche ha invocato “un'economia di resistenza”, con “più attenzione all'agricoltura che agli investimenti stranieri”.
Sul nodo dei colloqui in corso sul ripristino dell'accordo sul nucleare - firmato nel 2015 e poi bloccato da Donald Trump nel 2018 - Raisi si è invece mostrato possibilista. Durante l'ultimo dibattito prima delle elezioni, il 12 giugno, ha dichiarato che “si atterrà a questo accordo approvato dalla Guida suprema”. Aggiungendo che “un governo forte” ha più possibilità di attuarlo rispetto a uno guidato dai riformisti. In un'intervista alla tv di Stato ha però aggiunto che nella sua politica estera l'interesse nazionale sarà prioritario e “non risparmierà nessuno sforzo” per far finire “le sanzioni oppressive”.
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