31/05/2016, 10.27
ASIA
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Quasi 50 milioni gli schiavi moderni; il 60% sono in Asia

Cinque Paesi asiatici hanno percentuali più alte di schiavi: Nordcorea, Uzbekistan, Cambogia, India e Qatar. Il maggior numero di schiavi in senso assoluto è tenuto da India, Cina, Pakistan, Bangladesh e Uzbekistan. Anche il prestito a usura è causa di schiavitù. Ad alimentare lo schiavismo vi sono il business, con la ricerca di lavoro a basso costo; la criminalità organizzata, che sfrutta il traffico di esseri umani; lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Occorrono leggi, dichiarazione della catena di produzione, ma anche un cambiamento di mentalità per ridurre la frenesia consumista.

Sydney (AsiaNews) - Nel mondo vi sono almeno 45,8 milioni di moderni schiavi; i due terzi di questi uomini, donne e bambini sono nell’area Asia-Pacifico. Il continente asiatico ha il maggior numero di schiavi: 26,6 milioni, pari al 58% del totale.  È quanto appare dal Global Slavery Index 2016 pubblicato oggi dalla Walk Free Foundation, un’organizzazione caritativa fondata dal magnate australiano Andrew Forrest e da sua moglie Nicole.

Il primato della Nordcorea

Il documento è unico nel suo genere e pubblica stime – verificate con inchieste sociologiche - sul numero di persone rese schiave, sulle cause della loro situazione e sul modo in cui i governi rispondono a tali problemi. Grazie a una maggiore precisione degli studi e delle stime, quest’anno si è precisato di più il numero degli schiavi nel mondo, che sono il 28% in più rispetto al 2014.

In una lista di 167 Paesi, i primi posti – per numero di schiavi in proporzione agli abitanti - sono occupati da cinque nazioni asiatiche: la Nordcorea, l’Uzbekistan, la Cambogia, l’India e il Qatar. In Corea del Nord, è sempre più evidente tutta la rete di lavori forzati che fanno parte del sistema produttivo del Paese. Allo stesso tempo, migliaia di donne nordcoreane vengono vendute come mogli o per sfruttamento sessuale in Cina e altri Paesi vicini. Almeno il 4,37% dei nordcoreani sono resi schiavi, lasciando a Pyongyang questo amaro primato. In Uzbekistan il governo continua ogni anno i suoi cittadini a i lavori forzati per raccogliere il cotone.

In Qatar, con circa 2,3 milioni di abitanti, vi sono almeno 30mila schiavi (l’1,36% della popolazione. La forma dominante di schiavitù è quella nel settore delle costruzioni, soprattutto riguardo all’edificazione delle infrastrutture legate ai Campionati mondiali di calcio del 2022. La massa di schiavi-migranti, maschi al 99,4%, proviene da India, Nepal, Filippine, Sri Lanka e Bangladesh.

I primati di India e Cina

In termini assoluti, il primato per il maggior numero di schiavi è mantenuto da India, Cina, Pakistan, Bangladesh e Uzbekistan. L’India è al vertice con circa 18,35 milioni di persone schiave, seguito da Cina con 3,39 milioni; il Pakistan 2,13 milioni; il Bangladesh con 1,53 milioni e l’Uzbekistan con 1,23 milioni. Va detto che molti di questi Paesi usano la schiavitù nel sistema di lavoro a basso costo che produce beni di consumo per i mercati dell’Europa, del Giappone, del Nord America e dell’Australia.

Un fatto interessante è che per il Gobal Slavery Index, Hong Kong è peggio della Cina. Secondo l’Indice, infatti, Il territorio offre poca protezione alle persone vulnerabili alla schiavitù (bambini, donne, migranti, …) e vi è addirittura il sospetto che “vi siano politiche governative e pratiche che facilitano la schiavitù”.

In Cina, invece, pur essendovi un numero enorme di schiavi, la situazione è positiva per le azioni varate dal governo per combattere il problema.

Va detto che fra le cause delle schiavitù moderne vi è anche il prestito ad usura.

Secondo gli studiosi del settore, ci sono tre ragioni che alimentano la schiavitù: il business, alla ricerca di abbassamento dei costi; il crimine organizzato che traffica gli schiavi; lo sfruttamento dell’uomo sull’uomo.

Per Andrew Forrest, questi tre elementi si combattono con leggi che proibiscano la schiavitù, ma anche chiedendo ai businessmen di mettere in chiaro i luoghi e i modi di produzione dei prodotti che essi vendono. C’è infine un altro importante impegno, che è responsabilità di tutti: fare a meno di una visione consumista, che ricerca prodotti su prodotti al prezzo più basso.

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