19/06/2018, 08.08
ASIA-VATICANO
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Prima del Sinodo. I giovani sono meno religiosi degli anziani. Ecco perché

Uno studio del Pew Research Center mostra che in quasi tutti i Paesi vi sono differenze fra i giovani e gli anziani sull’importanza da dare alla religione; sull’appartenenza a qualche gruppo; sulla preghiera quotidiana. L’influenza dello sviluppo economico, dell’educazione, del pericolo, dell’età. I casi dei Paesi musulmani, della Corea del Sud e del Giappone. Ma anche con la secolarizzazione, il mondo sta diventando più religioso.

Roma (AsiaNews) – I giovani (fino a 40 anni) sono meno religiosi degli anziani (ultra quarantenni): è la conclusione – per alcuni aspetti ovvia – di un lungo studio pubblicato dal Pew Research Center alcuni giorni fa. Ciò che da valore all’accurato lavoro è la scoperta che questa differenza fra giovani e adulti coinvolge tutte le religioni, anche se vi sono alcune rare eccezioni, ed è visibile in Paesi sviluppati e non sviluppati. A influenzare l’atteggiamento dei giovani vi è il maggior benessere, il maggior studio, il cambiamento di mentalità lungo il corso della vita. Un simile rapporto è molto utile in preparazione al Sinodo di ottobre, che metterà a fuoco proprio la situazione dei giovani di fronte alle fede e alla vocazione.

Lo studio del Pew Reserch Center riguarda 106 Paesi del mondo, studiati per 10 anni. In 46 nazioni, i giovani (da 18 a 39 anni) differiscono in negativo dagli anziani (40enni e oltre) nel dire che “la religione è molto importante”; in 56 Paesi non vi sono differenze fra i due gruppi. Solo in due Paesi, la Georgia e il Ghana, i giovani sono più religiosi degli anziani.

Dati simili si riscontrano anche su altre tematiche quali l’appartenenza a un gruppo religioso, la preghiera quotidiana, la partecipazione a un servizio religioso settimanale. I giovani appartengono meno degli anziani a un gruppo religioso in 41 Paesi; in 63 nazioni non vi è alcuna differenza significativa. I giovani pregano meno degli anziani in 71 Paesi su 105, e partecipano meno a servizi religiosi settimanali in 53 Paesi su 102.

Va detto che in molte nazioni, la differenza percentuale fra i due gruppi non è alta: in una media mondiale vi è una differenza del 5% per l’affiliazione a un gruppo; il 6% per l’importanza data alla religione; 6% per la partecipazione a un servizio settimanale; il 9% per la preghiera quotidiana. Ma vi sono Paesi dove questa differenza è molto grande. Il primato è del Canada, dove tale differenza è di 28 punti. In Asia, va notata la cifra della Corea del Sud: una differenza di 24 punti. In Giappone vi è un divario di 18 punti. In tutta la regione Asia-Pacifico, la differenza è minima: solo 4 punti.

Importanza della religione, servizio settimanale, preghiera quotidiana

La differenza nel dare importanza alla religione a seconda dell’età colpisce in modo diverso le religioni. Ad esempio, la religione è meno importante per i giovani cristiani in quasi la metà dei Paesi studiati (37 nazioni su 78); per i musulmani questo avviene in 10 Paesi su 42. Fra i buddisti, i giovani sono meno religiosi solo in una nazione (gli Stati Uniti) sui cinque Paesi di cui si hanno dati. Invece, non vi è alcuna differenza tra giovani e anziani fra gli ebrei negli Usa o in Israele, o fra gli indù negli Usa o in India.

Nella regione Asia-Pacifico, la percentuale di coloro che dicono che la religione è molto importante raggiunge cifre altissime: oltre il 90%. Le più alte si registrano in Pakistan, Indonesia e Afghanistan. Fra le più basse vi sono Cina (3%) e il Giappone (10%).

Sulla partecipazione al servizio religioso settimanale, la differenza fra giovani e anziani è molto pronunciata in Medio oriente e Africa settentrionale, con differenze fino a 11 punti. Nell’area Asia-Pacifico la differenza rimane nella media dei 6 punti percentuali. Fra i singoli Paesi più colpiti dalla differenza vi sono: Polonia (29); Colombia (19); Tunisia (17); Iran (17); Giordania (16); Libano (15).

La differenza fra giovani e anziani riguardo alla preghiera quotidiana, in generale mostra che nel mondo (o meglio, nelle 105 nazioni studiate) circa il 44% dei giovani prega tutti i giorni; fra gli anziani, la cifra è del 54%. In generale, fra i cristiani, i giovani che pregano ogni giorno sono il 42%; gli anziani sono il 51%. Fra i musulmani vi è una differenza di 7 punti: con il 68% dei giovani e il 76% per gli anziani.

In generale, la frequenza quotidiana della preghiera è altissima in Asia, soprattutto nei Paesi a maggioranza islamica: il 96% in Afghanistan; l’87% in Iran; il 75% in India.

Le cause delle differenze

A cosa è dovuta tale differenza fra giovani e anziani nel dare valore dato alla religione? Lo studio cita degli esperti, secondo i quali la differenza è quasi fisiologica, nel senso che diventando vecchi si diventa più religiosi; altri invece dicono che questa differenza è il segno che il mondo sta divenendo sempre più secolarizzato. D’altra parte, si afferma nel rapporto “anche se vi sono parti del mondo che si stanno secolarizzando, ciò non significa necessariamente che tutta la popolazione mondiale sta diventando meno religiosa. Al contrario, le aree più religiose sperimentano la crescita più alta di popolazione, avendo alti tassi di fertilità e una popolazione relativamente giovane”. Anzi, proprio in nazioni dove la crescita della popolazione è alta, lì le persone dicono che la religione è importante. Fra queste vi sono diversi Paesi asiatici: Pakistan, Palestina, Iraq, Giordania. Al contrario, in Paesi dove la crescita della popolazione è bassa o negativa, come in Cina e Giappone, solo una piccola percentuale di giovani afferma che la religione è importante.

I sociologi spiegano queste differenze nell’appartenenza religiosa indicando alcune cause. Anzitutto vi è lo sviluppo economico: dove diminuisce la preoccupazione della sopravvivenza quotidiana, si tende a dare meno importanza alla religione. Poi vi è la crescita di offerta educativa: in società dove l’accesso all’educazione è maggiore, i giovani ricevono meno educazione dai genitori e dalle famiglie e quindi sono meno religiosi. Infine vi è il cambiamento che avviene durante il percorso della vita: via via che uno invecchia, ha figli, e si fa più vicino il pensiero della morte, diventa più religioso.

In effetti, lo studio della Pew mostra che nei Paesi dove le aspettative di vita sono più alte, vi è meno ricorso alla religione. In luoghi dove le persone rischiano una morte prematura – dovuta a fame, guerra, o malattia – la percezione della vulnerabilità spinge alla religione, che permette di avere più speranze e meno ansietà.

Alcuni studiosi – come l’economista Jeanet Sinding Bentzen – fanno notare che le persone che vivono in luoghi dove sono comuni terremoti e altri disastri naturali non prevedibili (tsunami, alluvioni, ecc..), come in Indonesia, sono più religiose di gente che vive in altre situazioni. In qualche caso si vede come fra i sopravvissuti ai disastri, aumenta l’impegno religioso e diminuiscono i casi di malattie mentali e di pensieri suicidi.

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