26/03/2015, 00.00
UZBEKISTAN
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Presidenziali in Uzbekistan, il Paese verso la riconferma di Karimov

di Nina Achmatova
Le elezioni si svolgeranno il 29 marzo senza grandi sorprese. Il presidente attuale governa di fatto da prima dell’indipendenza dall’Urss, ma la sua successione è rimandata dalle élite politiche che vogliono conservare l’attuale sistema corrotto e impari, che arricchisce pochi e marginalizza i più.

Mosca (AsiaNews) – Ci sono pochi dubbi che Islam Karimov, il leader alla guida dell’Uzbekistan dal 1989 (quando fu nominato a capo del partito comunista locale sotto l’Urss), venga rieletto come presidente alle elezioni del prossimo 29 marzo. La consultazione popolare vede la partecipazione di altri tre candidati, che però non rappresentano una reale sfida a quello che gli uzbeki chiamano ‘podishoh’, il re.

Le elezioni nel Paese centro asiatico ritenuto tra i più repressivi al mondo, e in cui le condizioni dei diritti umani sono definite “tremende” dalle Ong, si tengono sullo sfondo delle speculazioni sul possibile successore di Karimov, ormai 77enne e la cui lunga assenza da appuntamenti pubblici, il mese scorso, ha rinfocolato le voci sui suoi problemi di salute.

L’appuntamento elettorale segue le elezioni parlamentari del 21 dicembre 2014, che secondo la missione di monitoraggio Osce si sono svolte in modo formalmente regolare, con una gestione competente da parte della Commissione elettorale centrale ed una trasparenza maggiore rispetto al passato, anche se mancava una vera competizione politica tra i partiti, tutti più o meno d’accordo sui temi fondamentali di politica interna ed estera.

“Concorrono solo per creare un senso di democrazia”, spiega alla Bbc Abdurakhmon Tashanov, attivista dell’organizzazione Ezgulik, con sede a Tashkent. Anche i rivali di Karimov nelle imminenti presidenziali, fa notare sempre il canale britannico, mostrano pochi segni di una reale critica verso il capo di Stato uscente: le rispettive campagne elettorali si sono basate tutte sul concetto di “continuare lo sviluppo del Paese” e “mantenere l’attuale ritmo di crescita economica”.

Posto lungo la Via della Seta, l’Uzbekistan – il più popoloso dei Paesi dell’Asia centrale e quello con l’esercito più grande – è uno dei maggiori produttori mondiali di cotone, mentre le sue risorse di gas naturale, petrolio e oro esercitano una forte attrattiva all’estero. La sua indipendenza risale al 1991, dopo oltre un secolo sotto il dominio russo, prima dell’Impero zarista e poi dell’Unione sovietica.

L’Uzbekistan procede con lentezza nelle necessarie riforme economiche ed è alle prese con povertà e disoccupazione diffusa. Il sentimento degli elettori verso la politica è di indifferenza, con molti che voteranno Karimov anche perché “nessuno può fare meglio di lui”, come ha raccontato una donna nella provincia di orientale di Jizzakh. “Siamo abituati a lui, non so immaginare nessun altro al suo posto”, ha aggiunto.

Mentre la lotta alla successione vede in gara secondo gli analisti molti nomi (ma non più quello della figlia maggiore Gulnara, caduta recentemente in disgrazia e al centro di un’inchiesta per corruzione), secondo Lawrence Markowitz – esperto della Rowan University – l’élite politica uzbeka ha intenzione di mantenere Karimov al potere il più a lungo possibile: si tratta del garante di un sistema che converte le risorse statali in ricchezze private; il potere centrale fornisce loro protezione in campo di sostegno politico.

“Questo sistema e la corruzione che promuove, è così diffuso nell’amministrazione pubblica in Uzbekistan che vincola seriamente ogni trasferimento di potere in quanto ogni interruzione di questo flusso di ricchezze porta ripercussioni per molti nell’élite politica”, spiega Markowitz. A suo dire, “l’altamente corrotto e impari sistema che privilegia le élite e marginalizza tutti gli altri non è politicamente ed economicamente sostenibile nel lungo termine – continua l’esperto – se non verrà riformato, creo che alla fine porterà all’instabilità”.

L’istituto Ispi, però, fa notare come il Paese si trovi ancora in una fase di post-indipendenza: “Le priorità di fondo non possono che rivolgersi al consolidamento dello Stato, alla stabilizzazione delle forze produttive, alla creazione d’un sentimento di appartenenza collettiva più che mai necessario dopo la fine dell’Unione Sovietica. Un processo di questo tipo non può essere che graduale”.

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