Portavoce Chiesa cattolica: L’Egitto è in guerra, le leggi antiterrorismo sono necessarie
Il Cairo (AsiaNews) – L’Egitto “è in guerra contro il terrorismo e queste nuove leggi sono molto buone e necessarie”. Lo afferma ad AsiaNews p. Rafic Greiche, portavoce della Chiesa cattolica egiziana, in merito al pacchetto legislativo approvato ieri dal presidente Abdul Fattah al-Sisi. Per il governo, i provvedimenti serviranno a combattere la crescente insurrezione jihadista; per alcuni gruppi per i diritti umani, le autorità li useranno per mettere a tacere il dissenso.
Le nuove norme prevedono la creazioni di tribunali speciali, dove i sospetti militanti verranno processati per direttissima. Inoltre, offre un ulteriore scudo legale a polizia ed esercito in caso di uso eccessivo della forza.
Chiunque sia trovato colpevole di far parte di un gruppo terroristico, rischia fino a 10 anni di prigione. Chi finanzia o sostiene in altro modo le milizie potrà essere condannato a 25 anni di carcere. L’incitamento alla violenza o la creazione di siti web per diffondere la propaganda terroristica prevedono una pena dai cinque ai sette anni di prigione.
I giornalisti che non riporteranno i fatti legati ad atti terroristici citando le fonti ufficiali possono essere sanzionati con una multa che varia dai 200mila ai 500mila pound egiziani (25.550-64mila dollari).
La bozza di legge prevedeva per i giornalisti una pena di due anni di prigione. È questa norma ad aver attirato moltissime critiche a livello nazionale e internazionale, e a necessitare così di un dibattimento più lungo. Alla fine, il governo si è deciso a ridurre la pena. Tuttavia, per attivisti per i diritti umani le nuove norme restano “pericolose”, perché limitano l’azione dei media.
P. Greiche non è d’accordo con queste critiche. “Credo stiano esagerando – spiega – perché quando sei in guerra con il terrorismo, o quando sei in guerra in generale, devi essere accurato nel riportare i fatti e nel dare le notizie. I media in Egitto sono stati molto leggeri nel trattare certi argomenti”.
Grazie al presidente al-Sisi, aggiunge, “oggi ci sentiamo più sicuri. Non direi del tutto sicuri, perché a volte i Fratelli musulmani o altri gruppi terroristi mettono una bomba, e i cittadini sono stanchi di sentire queste minacce. Tuttavia, nel complesso ci sentiamo più sicuri”.
A preoccupare il governo egiziano sono soprattutto i militanti jihadisti attivi nella penisola del Sinai. La milizia più attiva è quella che si fa chiamare Sinai Province (prima conosciuta come Ansar Bait al-Maqdis) e che ha dichiarato la propria affiliazione allo Stato islamico (SI).
Intanto, da ieri i più alti muftì di vari Paesi islamici sono al Cairo, per cercare un modo di contrastare le fatwa (editti religiosi) emesse dai jihadisti dello Stato islamico (SI). Ibrahim Negm, consigliere del muftì d’Egitto, ha dichiarato: “Obiettivo di questa conferenza è unire il messaggio dei muftì alla luce delle sfide affrontate dalla regione e dal mondo, nella forma delle fatwa estremiste e dei gruppi radicali che parlano in nome della religione”. Alla due giorni Ahmed al-Tayyeb, a capo della più autorevole istituzione del mondo sunnita Al-Azhar, ha dichiarato: “Non c’è bisogno di ricordare che la tolleranza nel diffondere fatwa che scomunicano musulmani ha portato a omicidi e spargimenti di sangue”.
A febbraio la diffusione del video dell’assassinio del pilota giordano Maaz al-Kassasbeh, bruciato vivo dallo SI, ha scatenato le critiche del mondo musulmano. In quell’occasione proprio al-Tayyeb si è scagliato contro gli uccisori e ha “condannato con forza... questo vile atto terrorista, che merita la punizione prevista nel Corano per quegli aggressori corrotti che combattono Dio e il suo profeta: la morte, la crocifissione o l'amputazione delle loro mani e piedi”.
La conferenza potrebbe decidere di formare un segretariato generale per i muftì della regione, oltre a centri per controllare e respingere le fatwa estremiste, formare aspiranti muftì.
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