25/08/2021, 11.59
PAPUA NUOVA GUINEA-AUSTRALIA-AFGHANISTAN
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Port Moresby: afghani rifiutati da anni da Canberra, ora si arrivi a una soluzione

Nel 2013 l'Australia ha chiuso le proprie porte ai rifugiati dirottando le loro barche verso le isole della Melanesia. I vescovi della Papua Nuova Guinea chiedono che venga trovata una soluzione permanente per loro e per quanti arriveranno dall'Afghanistan nei prossimi mesi. Simile appello anche dall'arcivescovo di Melbourne Mark Coleridge.

Port Moresby (AsiaNews) - La Conferenza episcopale cattolica della Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone ha lanciato un appello per il ricollocamento degli afghani che da oltre 8 anni si trovano bloccati in Oceania perché l'Australia rifiuta la loro richiesta d'asilo e ora non hanno più possibilità di comunicare nemmeno con le loro famiglie rimaste in Afghanistan.

“Alla luce di questa situazione, la Conferenza episcopale cattolica della Papua Nuova Guinea e delle Isole Salomone vuole rivolgere un appello alla solidarietà per il ricollocamento di tutti i rifugiati afghani che ancora rimangono in Papua Nuova Guinea, Nauru, Australia e nella regione dell’Asia-Pacifico in generale”, si legge in una dichiarazione dei vescovi diffusa dopo una conferenza stampa tenutasi questa mattina. 

Gli afghani sono uno dei gruppi più numerosi tra i richiedenti asilo la cui questione in Oceania si trascina da anni. Nel 2013 l’Australia - per fermare gli sbarchi - varò una durissima legge che chiuse la porte ai richiedenti asilo, dirottandoli in centri di detenzione nelle isole di Manus e Nauru. A più di otto anni di distanza alcune centinaia di queste persone rimangono ancora tra la Papua Nuova Guinea e strutture carcerarie e “luoghi alternativi di detenzione” in Australia, dove non hanno diritto di reinsediarsi..

Un portavoce dei 20 richiedenti asilo che si trovano ancora a Port Moresby durante la conferenza stampa ha denunciato come in tutti questi anni le nazioni dell’Asia-Pacifico non abbiano fatto nulla per trovare una soluzione permanente per gli afghani. “La nostra situazione è molto difficile perché abbiamo a che fare con due Stati, l’Australia e la Papua Nuova Guinea”.

La riconquista talebana in Afghanistan ha già causato mezzo milione di sfollati interni e produrrà un ulteriore flusso di richiedenti asilo verso i Paesi limitrofi.

“Questi rifugiati hanno bisogno del nostro sostegno, sia materialmente che nella preghiera, mentre pensano alle vite di coloro che hanno lasciato in Afghanistan”, hanno scritto i vescovi della Papua Nuova Guinea rivolgendosi ai governi della regione, i quali dovrebbero creare “uno speciale programma umanitario per fornire un passaggio sicuro fuori dall'Afghanistan” a quanti sono più a rischio. 

Stanis Hulahu, responsabile per le migrazioni della Papua Nuova Guinea, durante la conferenza stampa ha dichiarato che il Paese, come altre nazioni melanesiane, non ha “un programma umanitario ben consolidato per far fronte a tale situazione”, ma si sta adoperando per gestire l’arrivo di richiedenti asilo in futuro. Verrà creata una commissione incaricata di stabilire chi ha diritto allo status di rifugiato. Hulahu ha invitato anche i vescovi a prendervi parte.

Intanto anche l'arcivescovo di Melbourne Mark Coleridge, presidente della Conferenza episcopale cattolica australiana, ha presentato le stesse richieste al governo australiano in una lettera del 19 agosto indirizzata al primo ministro Scott Morrison, garantendo che le agenzie di aiuto cattoliche “sono pronte ad assistere il governo nel ricollocamento dei rifugiati”.

Il presule ha poi chiesto che Canberra fornisca almeno 20mila visti umanitari per chi proviene dall'Afghanistan. Sarebbero circa 17mila richieste in più rispetto alle attuali disposizioni.

"Nostro dovere morale è stare dalla parte di quanti hanno sostenuto le forze militari australiane come interpreti o in altre vesti, e che probabilmente andranno incontro a  rappresaglie e persino alla morte per il loro lavoro”, ha scritto l'arcivescovo. “Dovremmo anche offrire rifugio agli altri afghani che probabilmente subiranno persecuzioni o rischieranno di essere uccisi a causa della loro opposizione ai talebani, o a causa del loro credo, dei loro valori e del loro stile di vita, compresi i membri della comunità cristiana”.

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