23/11/2009, 00.00
CAMBOGIA
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Phnom Penh, si avvia a conclusione “l’inutile processo” al compagno Duch

In settimana le requisitorie dei pm e l’arringa della difesa, a seguire la sentenza. Rappresentate della pubblica accusa sottolinea i “successi” del procedimento. Fonti di AsiaNews ribattono che “non darà alcun risultato”: il governo “teme l’analisi dei fatti”, perché minaccia “la pace sociale”.
Phnom Penh (AsiaNews) – Si è aperta oggi a Phnom Penh l’ultima settimana del processo a carico di Kaing Guek Eav, meglio noto come "compagno Duch”. In questi giorni si terranno la requisitoria del pubblico ministero e le arringhe dei difensori, dopo mesi di udienze e testimonianze davanti al Tribunale internazionale delle Nazioni Unite. Fonti di AsiaNews in Cambogia sottolineano che il procedimento è solo un tentativo di “compromesso con il passato, ma non darà alcun risultato”.  
 
L’ex comandante della prigione S-21 di Tuol Seng, 66 anni, deve rispondere di “crimini contro l’umanità” per la morte di oltre 17mila cambogiani fra il 1975 e il 1979. Egli è il solo leader khmer rosso ad aver ammesso le proprie responsabilità per le atrocità commesse dal regime di Pol Pot, che in quattro anni di feroce dittatura ha sterminato quasi due milioni di persone, ed aver chiesto perdono alle vittime. Se condannato, rischia il carcere a vita.
 
Bill Smith, uno dei rappresentanti della pubblica accusa, ritiene che il processo aiuterà i cambogiani a fare i conti con il loro terribile passato. “Penso che il processo – commenta – abbia avuto molto, molto successo”, grazie anche alla partecipazione alle udienze “delle vittime come parte civile”. Egli aggiunge che il procedimento a carico del compagno Duch è un “segnale” lanciato ai governi di tutto il mondo, che “non dovranno abusare del proprio popolo come hanno fatto i Khmer rossi”.
 
Una fonte di AsiaNews a Phnom Penh, anonima per motivi di sicurezza, smorza i toni del pubblico ministero e spiega che “il processo è solo un grande compromesso con il passato, ma non darà alcun risultato”. Del dibattimento si parla soprattutto nei giornali in lingua inglese e, forse, la sentenza potrà accendere un dibattito nel Paese, ma “il procedimento è andato troppo per le lunghe”. “All’inizio la confessione del compagno Duch – aggiunge – lasciava intendere la volontà di essere sincero. Alla distanza egli ha cercato di difendere se stesso, affermando che eseguiva solo gli ordini”.
 
In Cambogia mancano la “capacità oggettiva” di riconoscere le “proprie responsabilità” e la “presa di coscienza del gesto compiuto”. Il Paese non è in grado o non vuole “guardare al proprio passato e capire il peso che la coscienza individuale ha avuto nel determinare quel periodo storico”. “C’è un tentativo – sottolinea la fonte – di giustificazione infinita e la libertà personale è inesistente”.
 
In questi mesi il governo è intervenuto solo per “limitare il numero dei testimoni e degli imputati”. Il premier Hun Sen – con un passato tra le seconde linee dei Khmer rossi – teme che “una vera analisi dei fatti” potrebbe trasformarsi “in una minaccia per lo status quo e la pace sociale”. L’unico elemento certo è l’aumento sproporzionato nei costi e la durata, che si è dilatata nel tempo. “Il processo si è rivelato un affare per molti – conclude la fonte di AsiaNews – ed è servito per arricchire le tasche dei funzionari governativi”.(DS)
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