09/09/2009, 00.00
CINA
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Per la crisi la Cina ha perso 41 milioni di posti di lavoro, il 40% della perdita mondiale

Uno studio ufficiale indica dati molto peggiori delle stime del governo. Da fine giugno 150 milioni di migranti partiti per le città per trovare lavoro, ma molti lo avranno solo precario. Parte prima di uno studio su occupazione e sindacati in Cina.
Pechino (AsiaNews/Agenzie) – La Cina ha perso oltre 41 milioni di posti di lavoro per la crisi finanziaria globale, pari a circa il 40% dei licenziamenti avvenuti nell’intero mondo. Nonostante la ripresa in atto, 23 milioni di costoro sono ancora senza lavoro, ormai da molti mesi.
 
E’ quanto ha affermato ieri l’Accademia cinese delle Scienze sociali, maggior organo di studio del governo, nel suo annuale Libro Verde su Popolazione e Lavoro. La crisi ha soprattutto causato la chiusura di decine di migliaia di fabbriche, tradizionale luogo di lavoro per milioni di migranti.
 
Il professor Cai Feng, dirigente dello studio, nel presentarlo alla stampa ha anche osservato che i finanziamenti concessi dal governo alle imprese, per 4mila miliardi di yuan, hanno mirato a favorire la crescita economica piuttosto che ad aumentare i posti di lavoro: infatti la somma avrebbe potuto creare in più anni 72,36 milioni di nuovi posti di lavoro, rispetto ai 51,35 milioni cui mira il governo.
 
Questi dati contraddicono in modo pesante le stime ufficiali del governo: ad agosto il ministro per le Risorse umane e la sicurezza sociale aveva detto che la crisi aveva causato “appena” 16,5 milioni di disoccupati, tra cui solo 9 milioni di migranti. La notevole differenza suscita seri interrogativi circa l’attendibilità dei dati statistici forniti dal Paese, anche perché spesso non sono supportati da elementi che ne permettano la verifica.
 
La situazione occupazionale appare in piena emergenza se si considera che, secondo uno studio della Bbc reso noto ieri, almeno 20 milioni di migranti hanno provato a tornare a casa, in campagna, all’inizio del 2009, dopo avere perso il lavoro. Ora il governo dice che il 95% di loro torna nelle grandi città per cercare un lavoro, ma non appare esserci una corrispondente offerta, specie da parte di fabbriche e cantieri edili. Per cui molti esperti occidentali prevedono che la gran parte di loro avrà solo lavori occasionali e mal pagati. Il tasso di disoccupazione è rimasto al 4,3% nel primo semestre 2009, il più alto dal 1980.
 
Chen Xiwen, direttore dell’Ufficio del Gruppo dirigente centrale per il lavoro rurale del ministero dell’Agricoltura, dice che dalla fine di giugno 150 milioni di migranti hanno lasciato casa per cercare lavoro nelle grandi città e nelle fabbriche, il maggior numero di sempre.
 
Il professo Kam Wing Chan osserva che “i migranti cinesi sono davvero all’ultimo posto nel mondo del lavoro” e sono mano d’opera reclutabile con poca spesa.
 
Esperti osservano che il problema è aggravato dalla mancanza di sindacati che curino i diritti dei lavoratori, dato che i sindacati statali sono organi del Partito comunista che spesso privilegiano gli interessi della produzione economica rispetto a quelli dei cittadini.
 
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