11/09/2014, 00.00
TIBET - CINA
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Pechino si scopre teologa (del buddismo): Solo noi possiamo riconoscere un Dalai Lama

L'attuale leader tibetano ha ipotizzato la fine del proprio lignaggio, che potrebbe verificarsi con la sua morte. Il governo cinese, ateo e comunista, risponde sdegnato: "Sono secoli che il Dalai Lama viene riconosciuto dalle autorità di Pechino, anche il prossimo verrà scelto da noi".

Pechino (AsiaNews) - Il titolo e la carica di Dalai Lama "sono conferiti dal governo centrale cinese, e questa pratica ha secoli di storia. L'attuale XIV Dalai Lama ha motivazioni distorte e cerca di negare la storia, danneggiando il normale ordine religioso". A parlare non è un teologo buddista o uno studioso, ma la portavoce del governo cinese - ateo e comunista - Hua Chunying. La quale ha risposto con questa perentoria affermazione all'ipotesi, suggerita dall'attuale leader buddista tibetano, di interrompere il proprio lignaggio alla sua morte.

Tenzin Gyatso, 14esima reincarnazione di Avalokiteśvara (il santo buddista della compassione), ha chiarito parlando con un quotidiano tedesco che la propria figura "non ha più molto senso, ormai. Abbiamo avuto un Dalai Lama per quasi cinque secoli, forse è il momento di finirla. Anche perché non c'è più un ruolo politico, ma solo una guida spirituale". Anche se alcuni funzionari tibetani hanno voluto chiarire che la frase è stata estrapolata dal contesto, la questione del prossimo Dalai Lama rimane un tema caldo per Pechino.

Il buddismo tibetano è ancora molto sentito e praticato in Tibet e nel resto del Paese, e la figura dell'attuale guida spirituale è molto amata nonostante sia stato costretto ad andare in esilio in India nel 1959. Il governo cinese cerca sin da allora di demolirne la statura, ma senza successo. Per cercare di mettere la situazione sotto controllo, nel 1995 ha spezzato la contiguità fra la figura del Dalai e quella del Panchen Lama ("numero 2" del lignaggio tibetano) rapendo il giovane individuato come legittimo XI Panchen proprio dall'attuale Dalai. Al suo posto ha messo un monaco fantoccio, e spera di fare lo stesso con il prossimo vertice della "setta dei berretti gialli".

In base alla tradizione del buddismo tibetano, per riconoscere l'incarnazione di un "Buddha vivente" i monaci deputati all'incarico devono identificare un bambino che presenti dei segni mediante i quali possa essere identificato come la reincarnazione dell'ultima guida spirituale. I religiosi partono seguendo la direzione dell'ultimo sguardo del defunto e cercano segni soprannaturali riguardo i neonati e i bambini dell'area indicata. Una volta identificato un possibile erede, lo sottopongono a una serie di prove come il riconoscere gli oggetti appartenuti in vita dal predecessore. L'attuale Dalai Lama riconobbe immediatamente, in una stanza con migliaia di pantofole, quelle appartenute a chi lo aveva preceduto.

Un'altra tradizione, più recente ma comunque valida, aggiunge alla ricerca un rituale religioso complicato che può essere effettuato soltanto all'interno del Tempio dei Lama di Pechino. Qui si trova l'urna d'oro dalla quale vennero estratti i nomi delle reincarnazioni di alcuni fra i più importanti Buddha viventi degli ultimi tre secoli, dono di un imperatore manciù al Reggente tibetano. Basandosi su questa struttura, in teoria decaduta con la Rivoluzione maoista e la nascita della Repubblica popolare, ora la Cina avanza le sue richieste di controllare le prossime reincarnazioni.

Tuttavia il XIV Dalai Lama ha già ipotizzato in passato una rottura con tale tradizione, avanzando l'ipotesi di scegliere lui stesso un successore prima della morte o fra i tibetani in esilio, oppure mediante un'elezione. All'epoca la reazione del governo cinese venne affidata al portavoce del ministero cinese degli Esteri, Hong Lei, che disse: "Il XIV Dalai Lama è stato approvato dal governo. E nessun leader buddista ha mai identificato la propria reincarnazione o scelto il suo successore".

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