Patriarca caldeo: riformare riti e tradizioni, per rispondere alle sfide della modernità
Il card Sako entra nel dibattito sul rinnovamento delle Chiese orientali, alcune delle quali vogliono restare “legate in modo ostinato” ai dettami del passato. Serve cambiare, mantenendo “originalità e autenticità” e rinnovando la sfida “missionaria”. Le persecuzioni hanno generato comunità “etniche e chiuse”. Guardare alle esigenze e ai problemi “attuali”.
Baghdad (AsiaNews) - La Chiesa deve “dare delle risposte” alle domande e alle sfide che vengono poste dalla modernità, dal trascorrere del tempo e prepararsi per quelle “che verranno poste in futuro”. Per questo “non bisogna avere paura” di modificare riti e tradizioni, pur senza perderne la natura che “sin dalla sua formazione è missionaria”. È quanto scrive il patriarca caldeo, il card Louis Raphael Sako, in una lettera pastorale - inviata per conoscenza ad AsiaNews - incentrata “sulla originalità e sulla autenticità” del “rinnovamento” che sta interessando la Chiesa caldea.
Nella missiva il porporato esorta a non temere la “modernità” e a quanti criticano per una evoluzione dei riti, dei costumi, delle tradizioni chiede se “indossate ancora oggi l’uniforme che, un tempo, era popolare nei villaggi di origine”. Costumi e tradizioni non sono gli stessi “degli antenati” e questo cambio è fisiologico perché è un adattamento “alla nuova società”. Da qui, prosegue nella sua riflessione il card Sako, la necessità di “preparare i testi della nostra liturgia in arabo, curdo, inglese, francese, tedesco”, ovvero le lingue dei Paesi della diaspora dove sono nate in questi ultimi decenni nuove comunità caldee. Un esodo favorito, nel nuovo millennio, dall’invasione statunitense in Iraq prima e dall’ascesa dello Stato islamico (SI, ex Isis) che hanno provocato una vera e propria emorragia di fedeli.
L’intervento si inserisce in un quadro di polemiche e divisioni sulla riforma della liturgia che coinvolge molte delle Chiese orientali, alcune delle quali intendono rimanere legate in modo ostinato ai dettami della tradizione. In risposta, il porporato cita la Chiesa malabarese in India, che ha tradotto i vari riti dalla lingua originaria “caldea-siriaca, come la nostra” all’idioma malayam e ha promosso “una riforma” perché i riti “siano comprensibili ai loro credenti”. “Siamo una Chiesa, non un museo chiamato a conservare un certo patrimonio” avverte il card Sako, il quale denuncia anche la perdita della “dimensione missionaria e il senso dell’evangelizzazione” delle comunità cattoliche d’Oriente. Ciò è avvenuto “a causa della situazione geopolitica, delle pressioni e persecuzioni”, le quali hanno originato “Chiese etniche e chiuse: Caldea, Assira, Armena, Siriaca, Copta e Maronita, ciascuna secondo l’appartenenza geografica e linguistica”. Per il primate caldeo “se manteniamo solamente la vecchia tradizione” si finisce per “perdere la nostra gente”, come mostrano alcune chiese “tradizionali” rimaste “quasi deserte di giovani e senza la partecipazione dei fedeli alle preghiere”. La riforma dei riti “è frutto di studi accademici e di discussioni pastorali approfondite” che hanno voluto mantenere “l’originalità e la spiritualità: dobbiamo distinguere fra essenza e accidente, fra divino che resta saldo e l’umano che è variabile”.
Oggi le Chiese orientali, conclude il documento, sono presenti “in molti Paesi che hanno lingue e culture diverse”, nel contesto di un mondo che è sempre più un “villaggio digitale”. “Sono emersi problemi che un tempo non erano presenti nel vocabolario religioso classico e tradizionale - conclude il porporato - pertanto è indispensabile una valutazione del patrimonio ecclesiastico per aggiornarlo e affrontare esigenze e problematiche attuali”.
(Ha collaborato p. Rebwar Basa)