14/09/2016, 12.01
IRAQ
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Patriarca Sako: Sminare i terreni per restituire la piana di Ninive ai profughi cristiani

di Louis Raphael Sako*

Il primate caldeo sottolinea che prima di pensare a case e ospedali è essenziale liberare i terreni dalle mine lasciate dallo Stato islamico. È necessario cancellare questo “nemico subdolo”, nascosto “sotto la terra” e negli “oggetti di uso quotidiano”. Le operazioni di bonifica premessa indispensabile per il ritorno dei cristiani. Un giovane di 14 anni morto per l’esplosione di una mina. 

Baghdad (AsiaNews) - Ricostruire case, chiese, ospedali può essere fonte di “soddisfazione” per una vita che torna alla normalità dopo le devastazioni compiute dallo Stato islamico; tuttavia, prima ancora di ricostruire è essenziale compiere una “opera di sminamento”. È quanto afferma il Patriarca caldeo Louis Raphael Sako, in una lettera-appello - inviata ad AsiaNews - in cui chiede di lavorare “passo dopo passo […] ricostruendo dopo aver bonificato”, per poter tornare “un giorno” a “vivere qui, nelle nostre case”. 

Ancora oggi, a oltre due anni dalla presa di Mosul e di parte della piana di Ninive delle milizie dello SI e alla vigilia di una imponente operazione dell’esercito irakeno contro i jihadisti dall’area, risulta “difficile sapere in quale condizione verseranno i villaggi” dopo la liberazione. Certo sarà necessario ricostruire case e infrastrutture, avverte il primate caldeo, ma “prima di tornare per restituire nuova vita alle nostre care e benamate città” sarà necessario “rimuovere un grande ostacolo. Questo ostacolo è un nemico subdolo, nascosto sotto la terra e alle volte anche negli stessi oggetti di uso quotidiano”. 

“Oggi - conclude mar Sako - dobbiamo affrontare in modo serio il dopo Daesh e pianificare il ritorno alla vita di questa piana fertile, e antica”. 

Ecco, di seguito, la lettera-appello del Patriarca caldeo inviata ad AsiaNews:

In questi giorni diversi giornali parlano dei preparativi della battaglia di Mosul; tuttavia, alla conclusione dei combattimenti si dovrà pensare a un nuovo imponente progetto umanitario. Da oltre due anni diverse centinaia di migliaia di abitanti della piana di Ninive, circa 120mila cristiani, decine di migliaia di Yazidi, di kakaïs e tutti gli altri abitanti di questa regione sperano di poter rientrare nelle loro case. 

Sfortunatamente, risulta oggi difficile sapere in quale condizione verseranno i villaggi cristiani dopo la loro liberazione. Non vi sono però dubbi circa il fatto che, come è avvenuto in altre città irakene liberate, sarà necessario ricostruire le scuole, le case, ripristinare le cliniche, gli ospedali e le chiese. 

Ciononostante, prima di pensare alla ricostruzione, prima di tornare per restituire nuova vita alle nostre care e benamate città della piana di Ninive - Teleskuf, Bqaofq, Batnaya, Tell Keff, Bartala, Ba’ashiqa, Karamless e Qaraqosh - sarà necessario rimuovere un grande ostacolo. Questo ostacolo è un nemico subdolo, nascosto sotto la terra e alle volte anche negli stessi oggetti di uso quotidiano. 

Vi voglio parlare delle mine e delle molte insidie che lo Stato islamico (SI) dissemina nel terreno quando è costretto ad abbandonare un territorio. In ogni zona dalla quale lo SI si ritira semina morte e distruzione nascondendo nel terreno mine e congegni esplosivi. 

A Sinjar, a Ramadi e a Tikrit quante persone sono morte mentre tornavano nelle loro case? Quante famiglie sono state spezzate mentre gioivano per aver ritrovato infine le loro case, dopo essere state a lungo sfollate o rifugiate?

Queste trappole lasciate da Daesh [acronimo arabo per lo Stato islamico, SI] non devono prolungare oltre il calvario dei rifugiati della piana di Ninive. Oggi, dobbiamo affrontare in modo serio il dopo Daesh e pianificare il ritorno alla vita di questa piana fertile, e antica, che porta il nome di Ninive. 

Se desidero attirare l’attenzione del mondo su questo dramma, è perché non voglio che i nostri bambini crescano in mezzo a campi minati. Il nostro popolo ha già sofferto abbastanza, perché debba registrare altre persone ferite, amputate, uccise dalle mine. 

Un giovane cristiano di soli 14 anni, Eugène Salah, è morto per aver calpestato una mina, mentre era impegnato a lavorare la terra in compagnia del padre, in uno dei nostri villaggi liberati. 

Oggi lancio un invito a tutti gli uomini di buona volontà, a tutti i cristiani, perché si mobilitino affinché la piana di Ninive possa ritornare a vita nuova. Sì, confidando in Cristo Signore voglio credere nella resurrezione della piana di Ninive e di Mosul! 

Per poter ricostruire la culla delle comunità cristiane in Iraq, serve prima di tutto un grande lavoro di sminamento. Ai primi di luglio ho chiesto alla Fraternità in Iraq [Ong francese in prima linea nell’opera di aiuto e sostegno alle minoranze religiose in Iraq fra cui cristiani, yazidi, shabak, ndr] di capire come possano essere sminati due villaggi cristiani liberati già da tempo. 

In questi giorni la stessa Fraternità in Iraq e la Francia hanno annunciato che presto potranno cominciare le operazioni di pulizia e sminamento di questi due villaggi cristiani e di altri quattro villaggi kakaïs nella regione. Questo progetto, che mira al contempo a formare anche dei cristiani in questa opera, non è che il primo passo. 

Certo, è fonte di maggiore soddisfazione costruire scuole o cliniche, ma se non si compie prima questa opera di sminamento non sarà possibile ricostruire. Anticipando questo problema, potremo ridurre di molto il lasso di tempo che trascorrerà fra la liberazione dei nostri villaggi e il giorno in cui i profughi cristiani potranno tornare nelle loro case. Facendo venire oggi gli specialisti dello sminamento nella piana di Ninive, iniziamo il cammino di ricostruzione e del post Isis delle aree liberate. 

Invito tutti coloro i quali leggeranno queste parole a credere in Cristo, nostro Salvatore, e che sì, Mosul e la piana di Ninive potranno resuscitare un giorno. Ed è lavorando passo dopo passo, tappa dopo tappa, ricostruendo dopo aver bonificato, che noi cristiani irakeni potremo un giorno tornare a vivere qui, nelle nostre case. 

* Patriarca caldeo di Baghdad e presidente della Conferenza episcopale irakena

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