Parroco di Gaza: il blocco israeliano frena il Covid-19 nella Striscia, ma resta l’allerta
P. Romanelli spiega che l’isolamento ha permesso “un maggiore controllo” sugli ingressi e favorito “il contenimento”. Ad oggi 12 persone risultano infette da Covid-19, tutte provenienti dall’estero e al confine con l’Egitto. I gazawui abituati da anni “alle restrizioni”. Messe online e visite alle famiglie per distribuire l’Eucaristia.
Gaza (AsiaNews) - Il blocco israeliano imposto da 13 anni alla Striscia “ha sortito per una volta l’effetto positivo”, perché “ha permesso un maggiore controllo sugli ingressi” e il “contenimento” della pandemia del nuovo coronavirus. È quanto afferma ad AsiaNews il parroco di Gaza p. Gabriel Romanelli, sacerdote argentino del Verbo incarnato, secondo cui la popolazione “non vive con ansia questa situazione”, pur “prendendo coscienza” della gravità di quanto sta accadendo altrove, come in Italia o in Spagna. “Non avere un porto o un aeroporto - sottolinea il sacerdote - e confini di libero accesso, così come turismo o pellegrinaggi religiosi ha limitato la diffusione”.
Secondo le stime ufficiali, ieri si sono registrati altri due casi di Covid-19 nella Striscia portando il numero complessivo a 12. Per il ministero della Sanità di Hamas, che controlla l’area, tutte le persone sono in condizioni “stabili e rassicuranti” e sono sottoposte a quarantena. Come in precedenza, si tratta di persone di rientro da altre nazioni (in questo caso dall’Egitto) e controllate ai confini, che non hanno potuto circolare all’interno del territorio col rischio di diffondere il virus.
“I dati ufficiali che abbiamo - sottolinea p. Romanelli - parlano di 12 casi, che si trovano tutti al confine con l’Egitto”. Il nuovo coronavirus in altre parti del mondo “ha causato vere e proprie stragi”, ma “anche qui ogni giorno emergono nuovi casi: una settimana fa erano due, ora ce ne sono già 12”. Le lezioni “sono sospese”, gli orari di lavoro “ridotti” e anche “noi della parrocchia, per quanto possibile, favoriamo modalità in remoto”.
Le autorità di Hamas, che controlla la Striscia dal 2007, hanno preso misure precauzionali per limitare la diffusione di Covid-19 in una piccola enclave, in cui vivono due milioni di persone. Fra questi il divieto di incontri in pubblico, la chiusura di scuole, università, parchi pubblici e luoghi di culto, fra cui le moschee. Restano al contempo i timori sulla tenuta del sistema sanitario: in totale vi sono a disposizione solo 70 posti letto in terapia intensiva e 62 ventilatori. Ong e attivisti pro diritti umani chiedono la fine delle restrizioni all’ingresso di aiuti umanitari e medici.
In questo tempo di crisi due giovani palestinesi di Beit Lahia, a nord della Striscia, hanno ricostruito una vecchia fabbrica, convertendo la produzione in materiale protettivo per contenere la diffusione di nuovo coronavirus. Gli operai occupati al suo interno erano da anni senza lavoro, per questo hanno accolto subito con favore l’iniziativa dei due neo-imprenditori.
“Questa quarantena - racconta il parroco di Gaza - non ha sorpreso o colpito gli animi dei cittadini, anche perché convivono da anni con le restrizioni. Noi diamo consigli alle autorità, seguiamo gli ordinamenti però dobbiamo ammettere che le persone sono abituate a rimanere per settimane a casa, non vi sono particolari casi di depressione o stravolgimento di vite. Qui la libertà è limitata e poco è cambiato”.
Le autorità religiose, in primis l’amministratore apostolico del Patriarcato latino mons. Pierbattista Pizzaballa, spiega il sacerdote, “hanno preso per tempo i provvedimenti necessari”. Da quasi un mese sono sospese le attività dei gruppi parrocchiali, anche per le messe vi sono restrizioni. “Chi vuole venire in chiesa - prosegue - può pregare, ma il consiglio è di restare a casa. Noi facciamo le visite ai malati e agli anziani, e abbiamo cominciato a far visita alle famiglie e portare l’Eucaristia. Le celebrazioni sono trasmesse online e domenica prossima, delle Palme, dopo la funzione andremo nelle case a distribuire i rami di ulivo”.
“Nonostante la situazione sia dura - conclude p. Romanelli - proviamo a tenere alto lo spirito. Anche perché non poter andare in chiesa non impedisce affatto di pregare, anzi è il contrario. Questa è una prova e passerà, non dobbiamo lasciarci vincere dalle circostanze e mantenere la routine. La provvidenza non ci abbandona, lo sappiamo bene noi che spesso dobbiamo fronteggiare mancanza di cibo, acqua potabile e corrente elettrica, ma cerchiamo di vivere lo stesso”.
25/05/2020 12:03