07/07/2019, 12.10
VATICANO
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Papa: siano organizzati in modo esteso e concertato corridoi umanitari per i migranti

“Sempre dobbiamo pregare il ‘padrone della messe’, cioè Dio Padre, perché mandi operai a lavorare nel suo campo che è il mondo”. La missione si basa sulla preghiera; che richiede distacco e povertà; che porta pace e guarigione, che non è proselitismo ma annuncio e testimonianza.

Città del Vaticano (AsiaNews) – “La comunità internazionale non può tollerare fatti così gravi”: è la dura condanna espressa da papa Francesco per il bombardamento contro migranti in Libia, migranti per i quali ha chiesto “che siano organizzati in modo esteso e concertato i corridoi umanitari”.

La preoccupazione per chi è costretto a lasciare la sua terra è tornata nelle parole del Papa dopo l’Angelus di oggi, quando ha ricordato “anche tutte le vittime delle stragi che recentemente sono state compiute in Afghanistan, Mali, Burkina Faso e Niger”.

Prima della recita della preghiera mariana, commentando il Vangelo di oggi, Francesco aveva evidenziato come esso contenga la preghiera per le vocazioni e una esortazione alla missione. “L’odierna pagina evangelica (cfr Lc 10,1-12.17-20) – ha detto alle 30mila persone presenti in piazza san Pietro - presenta Gesù che invia in missione settantadue discepoli, in aggiunta ai dodici apostoli. Il numero settantadue indica probabilmente tutte le nazioni. Infatti nel libro della Genesi si menzionano settantadue nazioni diverse (cfr 10,1-32). Così questo invio prefigura la missione della Chiesa di annunciare il Vangelo a tutte le genti. A quei discepoli Gesù dice: «La messe è abbondante, ma sono pochi gli operai! Pregate dunque il signore della messe perché mandi operai nella sua messe!» (v. 2)”.

“Questa richiesta di Gesù è sempre valida. Sempre dobbiamo pregare il ‘padrone della messe’, cioè Dio Padre, perché mandi operai a lavorare nel suo campo che è il mondo. E ciascuno di noi lo deve fare con cuore aperto, con un atteggiamento missionario; la nostra preghiera non dev’essere limitata solo ai nostri bisogni, alle nostre necessità: una preghiera è veramente cristiana se ha anche una dimensione universale”.

“Nell’inviare i settantadue discepoli, Gesù dà loro istruzioni precise, che esprimono le caratteristiche della missione. La prima – abbiamo già visto –: pregate; la seconda: andate; e poi: non portate borsa né sacca…dite: ‘Pace a questa casa’…restate in quella casa…Non passate da una casa all’altraguarite i malati e dite loro: ‘è vicino a voi il Regno di Dio’; e, se non vi accolgono, uscite sulle piazze e congedatevi (cfr vv. 2-10). Questi imperativi mostrano che la missione si basa sulla preghiera; che è itinerante, non è ferma; che richiede distacco e povertà; che porta pace e guarigione, segni della vicinanza del Regno di Dio; che non è proselitismo ma annuncio e testimonianza; e che richiede anche la franchezza e la libertà evangelica di andarsene evidenziando la responsabilità di aver respinto il messaggio della salvezza, ma senza condanne e maledizioni”.

“Se vissuta in questi termini, la missione della Chiesa sarà caratterizzata dalla gioia. E come finisce questo passo? «I settantadue tornarono pieni di gioia» (v. 17), annota l’evangelista. Non si tratta di una gioia effimera, che scaturisce dal successo della missione; al contrario, è una gioia radicata nella promessa che – dice Gesù – «i vostri nomi sono scritti nei cieli» (v. 20). Con questa espressione Egli intende la gioia interiore e indistruttibile che nasce dalla consapevolezza di essere stati chiamati da Dio a seguire il suo Figlio. Cioè la gioia di essere suoi discepoli. Ognuno di noi può pensare al nome che ha ricevuto nel giorno del Battesimo: quel nome è ‘scritto nei cieli’, nel cuore di Dio Padre. Ed è la gioia di questo dono che fa di ogni discepolo un missionario, uno che cammina in compagnia del Signore Gesù, che impara da Lui a spendersi senza riserve per gli altri, libero da sé stesso e dai propri averi”.

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