04/05/2018, 13.55
VATICANO
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Papa: preghiera, povertà e pazienza, ‘criteri’ per il futuro della vita religiosa

Francesco ha ricevuto i partecipanti al convegno internazionale promosso dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica. “La preghiera è tornare sempre alla prima chiamata”. La povertà “è il muro di contenimento della vita consacrata” contro vanità e orgoglio. Pazienza è “portare sulle spalle”, come virtù cristiana, è “capacità di patire”.

Città del Vaticano (AsiaNews) – Preghiera, povertà e pazienza, scelte “radicali” da compiere personalmente e comunitariamente: sono i “criteri” indicati da papa Francesco agli istituti di vita consacrata e alle società di vita apostolica per discernere ciò che sta accadendo nella vita delle congregazioni che riuniscono i consacrati. Indicazioni fatte, ha detto Francesco, con in pensiero rivolto a san Giovanni Rotondo e a Madre Teresa, proposte “a braccio” ai partecipanti al convegno internazionale dal titolo ‘Consecratio et consecratio per evangelica consilia. Riflessioni, questioni aperte, cammini possibili’, promosso dalla Congregazione per gli Istituti di vita consacrata e le Società di vita apostolica, in corso alla Pontificia università Antonianum dal 3 al 6 maggio.

La chiave del discorso, ha detto lo stesso Papa, è “criteri autentici per discernere quello che sta succedendo. Perché davvero, oggi succedono tante cose che, per non perdersi in questo mondo, nella nebbia della mondanità, nelle provocazioni, nello spirito di guerra, tante cose, abbiamo bisogno di criteri autentici che ci guidino. Che ci guidino nel discernimento”.

“Mi sono domandato: quali sono le cose che lo Spirito vuole si mantengano forti nella vita consacrata? E il pensiero è volato, è andato, ha girato…, e mi veniva sempre [in mente] il giorno che sono andato a San Giovanni Rotondo: non so perché, ma ho visto lì tanti consacrati e consacrate che lavorano… e ho pensato a cosa ho detto lì, alle ‘tre p’ che ho detto lì. E mi sono detto: queste sono colonne che rimangono, che sono permanenti nella vita consacrata. La preghiera, la povertà e la pazienza. E ho scelto di parlarvi di questo: cosa penso che sia la preghiera nella vita consacrata, e poi la povertà e la pazienza”.

“La preghiera è tornare sempre alla prima chiamata. Qualsiasi preghiera, forse una preghiera nel bisogno, ma sempre è ritornare a quella Persona che mi ha chiamato. La preghiera di un consacrato, di una consacrata è tornare dal Signore che mi ha invitato a esserGli vicino”, lasciando tutto. “E la preghiera è quello che fa che io lavori per quel Signore, non per i miei interessi o per l’istituzione nella quale lavoro, no, per il Signore. C’è una parola che si usa tanto, è stata usata troppo e ha perso un po’ di forza, ma indicava bene questo: radicalità. A me non piace usarla perché è stata troppo usata, ma è questo: lascio tutto per Te”.

E anche se nella giornata ci sono tante cose da fare. “comunque la preghiera”. “Pensiamo a una consacrata dei nostri giorni: Madre Teresa. Madre Teresa andava anche a ‘cercarsi dei problemi’, perché era come una macchina per cercarsi dei problemi, perché si metteva di qua, di là, di là… Ma le due ore di preghiera davanti al Santissimo, nessuno gliele toglieva. ‘Ah, la grande Madre Teresa!’. Ma fai come faceva lei, fa’ lo stesso. Cerca il tuo Signore, Colui che ti ha chiamato. La preghiera. Non solo al mattino… Ognuno deve cercare come farla, dove farla, quando farla. Ma farla sempre, pregare. Non si può vivere la vita consacrata, non si può discernere ciò che sta accadendo senza parlare con il Signore”.

“La seconda ‘p’ è la povertà. Nelle Costituzioni, Sant’Ignazio a noi Gesuiti aveva scritto questo – ma non era una cosa originale sua, credo, l’aveva presa dai Padri del Deserto, forse –: ‘La povertà è la madre, è il muro di contenimento della vita consacrata’. È ‘madre’. Interessante: lui non dice la castità, che forse è più collegata alla maternità, alla paternità, no: la povertà è madre. Senza povertà non c’è fecondità nella vita consacrata. Ed è ‘muro’, ti difende. Ti difende dallo spirito della mondanità, certamente. Noi sappiamo che il diavolo entra dalle tasche. Tutti noi lo sappiamo. E le piccole tentazioni contro la povertà sono ferite all’appartenenza al corpo della vita consacrata”.

“Ci sono tre scalini per passare dalla consacrazione religiosa alla mondanità religiosa. Sì, anche religiosa; c’è una mondanità religiosa; tanti religiosi e consacrati sono mondani. Tre scalini. Primo: i soldi, cioè la mancanza di povertà. Secondo: la vanità, che va dall’estremo di farsi ‘pavone’ a piccole cose di vanità. E terzo: la superbia, l’orgoglio. E da lì, tutti i vizi. Ma il primo scalino è l’attaccamento alle ricchezze, l’attaccamento ai soldi. Vigilando su quello, gli altri non vengono. E dico alle ricchezze, non solo ai soldi. Alle ricchezze. Per poter discernere cosa sta succedendo, ci vuole questo spirito di povertà”.

“E terzo, la pazienza”. “Noi abitualmente non ne parliamo, ma è molto importante. Guardando Gesù, la pazienza è quello che ha avuto Gesù per arrivare fino alla fine della sua vita. Quando Gesù, dopo la Cena, va all’Orto degli Ulivi, possiamo dire che in quel momento in modo speciale Gesù ‘entra in pazienza’. ‘Entrare in pazienza’: è un atteggiamento di ogni consacrazione, che va dalle piccole cose della vita comunitaria o della vita di consacrazione, che ognuno ha, in questa varietà che fa lo Spirito Santo… Dalle piccole cose, dalle piccole tolleranze, dai piccoli gesti di sorriso quando ho voglia di dire delle parolacce…, fino al sacrificio di sé stessi, della vita. Pazienza. Quel ‘portare sulle spalle’ (hypomoné) di San Paolo: San Paolo parlava di ‘portare sulle spalle’, come virtù cristiana. Pazienza. Senza pazienza, cioè senza capacità di patire, senza ‘entrare in pazienza’, una vita consacrata non può sostenersi, sarà a metà. Senza pazienza, per esempio, si capiscono le guerre interne di una congregazione, si capiscono. Perché non hanno avuto la pazienza di sopportarsi l’un l’altro, e vince la parte più forte, non sempre la migliore; e anche quella che è vinta, neppure è la migliore, perché è impaziente. Senza pazienza, si capiscono questi carrierismi nei capitoli generali, questo fare le ‘cordate’ prima…”.

“Ma non solo pazienza nella vita comunitaria: pazienza davanti alle sofferenze del mondo. Portare sulle spalle i problemi, le sofferenze del mondo. ‘Entrare in pazienza’, come Gesù è entrato in pazienza per consumare la redenzione. Questo è un punto-chiave, non solo per evitare queste liti interne che sono uno scandalo, ma per essere consacrato, per poter discernere. La pazienza”.

“E anche pazienza davanti ai problemi comuni della vita consacrata: pensiamo alla scarsità di vocazioni. ‘Non sappiamo cosa fare, perché non abbiamo vocazioni… Abbiamo chiuso tre case…’. Questa è lamentela di ogni giorno, voi l’avete sentito, sentito nelle orecchie e sentito nel cuore. Non vengono le vocazioni. E quando non c’è questa pazienza…” si rischia di prendere “quel cammino che è pure un cammino mondano, dell’’ars bene moriendi’, l’atteggiamento per morire bene”. “Manca la pazienza e non vengono le vocazioni? Vendiamo e ci attacchiamo ai soldi per qualsiasi cosa possa succedere in futuro. Questo è un segnale, un segnale che si è vicini alla morte: quando una Congregazione incomincia ad attaccarsi ai soldi. Non ha la pazienza e cade nella seconda ‘p’, nella mancanza di povertà”.

“State attenti su queste tre ‘p’: la preghiera, la povertà e la pazienza. State attenti. E credo che piaceranno al Signore scelte – mi permetto la parola che non mi piace – scelte radicali in questo senso. Siano personali, siano comunitarie. Ma scommettere su questo. Vi ringrazio – ha concluso - per la pazienza che avete avuto per ascoltare questo sermone [ridono, applausi]. Vi ringrazio. E vi auguro fecondità. Mai si sa per quali vie passa la mia fecondità, ma se tu preghi, se sei povero, se sei paziente, stai sicuro che sarai fecondo. Come? Il Signore te lo farà vedere ‘dall’altra parte’; ma è la ricetta per essere fecondo. Sarai padre, sarai madre: la fecondità. È quello che auguro alla vita religiosa, di essere fecondi”.

 

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