21/11/2018, 11.01
VATICANO
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Papa: per essere salvato l’uomo deve riconoscersi ‘mendicante’ di verità

Fine dell’intero Decalogo che ha come fine il cuore dell’uomo, è “portare l’uomo alla sua verità, ossia alla sua povertà, che diventa apertura autentica e personale alla misericordia di Dio, che ci trasforma e ci rinnova”. “Tutti i comandamenti hanno il compito di indicare il confine della vita, il limite oltre il quale l’uomo distrugge sé stesso e il prossimo, guastando il suo rapporto con Dio”.

Città del Vaticano (AsiaNews) – Per essere salvato l’uomo deve riconoscere di non poterlo fare da solo, ma di avere bisogno dell’intervento di Dio, di riconoscersi “mendicante”. E’ il fine dell’intero Decalogo che ha come fine il cuore dell’uomo, è “portare l’uomo alla sua verità, ossia alla sua povertà, che diventa apertura autentica e personale alla misericordia di Dio, che ci trasforma e ci rinnova”.

Lo “scopo” del Decalogo è stato l’argomento del quale papa Francesco ha parlato all’udienza generale di oggi, commentando le ultime parole : “Non desiderare il coniuge altrui; non desiderare i beni altrui”.

Alle 20mila persone presenti in piazza san Pietro, Francesco ha anche ricordato che “oggi, memoria liturgica della Presentazione di Maria Santissima al Tempio, celebriamo la Giornata pro Orantibus, dedicata al ricordo delle comunità religiose di clausura. È un'occasione quanto mai opportuna per ringraziare il Signore per il dono di tante persone che, nei monasteri e negli eremi, si dedicano totalmente a Dio nella preghiera, nel silenzio e nel nascondimento. Non manchi a queste comunità l’affetto, la vicinanza, il sostegno anche materiale di tutta la Chiesa!”.

“I nostri incontri sul Decalogo ci conducono oggi all’ultimo comandamento. L’abbiamo ascoltato in apertura. Queste non sono solo le ultime parole del testo, ma molto di più: sono il compimento del viaggio attraverso il Decalogo, toccando il cuore di tutto quello che in esso ci è consegnato. Infatti, a ben vedere, non aggiungono un nuovo contenuto: le indicazioni «non desidererai la moglie […], né alcuna cosa che appartenga al tuo prossimo» sono perlomeno latenti nei comandi sull’adulterio e sul furto; qual è allora la funzione di queste parole?”.

“Teniamo ben presente che tutti i comandamenti hanno il compito di indicare il confine della vita, il limite oltre il quale l’uomo distrugge sé stesso e il prossimo, guastando il suo rapporto con Dio. Attraverso quest’ultima parola viene messo in risalto il fatto che tutte le trasgressioni nascono da una comune radice interiore: i desideri malvagi. Nel Vangelo lo dice esplicitamente il Signore Gesù: «Dal di dentro, infatti, cioè dal cuore degli uomini, escono i propositi di male: impurità, furti, omicidi, adultèri, avidità, malvagità, inganno, dissolutezza, invidia, calunnia, superbia, stoltezza. Tutte queste cose cattive vengono fuori dall’interno e rendono impuro l’uomo» (Mc 7,21-23)”.

“Comprendiamo quindi che tutto il percorso fatto dal Decalogo non avrebbe alcuna utilità se non arrivasse a toccare questo livello, il cuore dell’uomo. Il Decalogo si mostra lucido e profondo su questo aspetto: il punto di arrivo del suo viaggio è il cuore, e se questo non è liberato, il resto serve a poco. I precetti di Dio possono ridursi ad essere solo la bella facciata di una vita che resta comunque un’esistenza da schiavi e non da figli. Spesso, dietro la maschera farisaica della correttezza asfissiante si nasconde qualcosa di brutto e di non risolto. Dobbiamo invece lasciarci smascherare da questi comandi sul desiderio, perché ci mostrano la nostra povertà, per condurci a una santa umiliazione. L’uomo ha bisogno di questa benedetta umiliazione: quella per cui scopre di non potersi liberare da solo, quella per cui grida a Dio per essere salvato. Lo spiega in modo insuperabile san Paolo, proprio riferendosi al comandamento non desiderare (cfr Rm 7,7-24)”.

“È vano pensare di poter correggere sé stessi senza il dono dello Spirito Santo. È vano pensare di purificare il nostro cuore in uno sforzo titanico della nostra sola volontà. Bisogna aprirsi alla relazione con Dio, nella verità e nella libertà: solo così le nostre fatiche possono portare frutto. Il compito della Legge biblica non è quello di illudere l’uomo che un’obbedienza letterale lo porti a una salvezza artefatta e peraltro irraggiungibile. Il compito della Legge è portare l’uomo alla sua verità, ossia alla sua povertà, che diventa apertura autentica e personale alla misericordia di Dio, che ci trasforma e ci rinnova”.

“Le ultime parole del Decalogo educano tutti a riconoscersi mendicanti; aiutano a metterci davanti al disordine del nostro cuore, per smettere di vivere egoisticamente e diventare poveri in spirito, autentici al cospetto del Padre, lasciandoci redimere dal Figlio e ammaestrare dallo Spirito Santo. «Beati i poveri in spirito, perché di essi è il regno dei cieli» (Mt 5,3). Sì, beati quelli che smettono di illudersi credendo di potersi salvare dalla propria debolezza senza la misericordia di Dio, che sola può guarire il cuore. Beati coloro che riconoscono i propri desideri malvagi e con un cuore pentito e umiliato non stanno davanti a Dio e agli uomini come dei giusti, ma come dei peccatori”.

“Questi sono coloro che sanno avere compassione e misericordia degli altri, perché la sperimentano su sé stessi”.

“Solo la misericordia di Dio guarisce il cuore. Beati coloro che riconoscono i propri desideri malvagi e con un cuore pentito e umiliato non stanno davanti a Dio e agli altri uomini come dei giusti, ma come dei peccatori. È bello quello che Pietro disse al Signore: ‘Allontanati da me, Signore, che sono un peccatore’. Bella preghiera questa: ‘Allontanati da me, Signore, che sono un peccatore’. Questi sono coloro che sanno avere compassione, che sanno avere  misericordia degli altri, perché la sperimentano in sé stessi”.

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