09/04/2016, 11.21
VATICANO
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Papa: l’elemosina non è la moneta data al povero, ma attenzione, misericordia

“La carità richiede, anzitutto, un atteggiamento di gioia interiore. Offrire misericordia non può essere un peso o una noia da cui liberarci in fretta”. “Lodare Dio con il sacrificio e lodare Dio con l’elemosina “. “Fare l’elemosina anche deve essere per noi una cosa che sia pure un sacrificio”.

Città del Vaticano (AsiaNews) – L’elemosina non è “la semplice moneta offerta in fretta, senza guardare la persona e senza fermarsi a parlare per capire di cosa abbia veramente bisogno”, ma è “un gesto di amore che si rivolge a quanti incontriamo; è un gesto di attenzione sincera a chi si avvicina a noi e chiede il nostro aiuto, fatto nel segreto dove solo Dio vede e comprende il valore dell’atto compiuto”. E’ l’ammonimento che papa Francesco ha rivolto nella catechesi per l’odierna udienza giubilare, centrata sul principio che “elemosina” è parte della misericordia.

Alle 50mila persone presenti in piazza san Pietro, tra le quali è lungamente passato con la jeep bianca, il Papa ha infatti detto che "può sembrare una cosa semplice fare l’elemosina, ma dobbiamo fare attenzione a non svuotare questo gesto del grande contenuto che possiede. Infatti, il termine ‘elemosina’, deriva dal greco e significa proprio ‘misericordia’. L’elemosina, quindi, dovrebbe portare con sé tutta la ricchezza della misericordia. E come la misericordia ha mille strade, mille modalità, così l’elemosina si esprime in tanti modi, per alleviare il disagio di quanti sono nel bisogno".

“Il dovere dell’elemosina è antico quanto la Bibbia. Il sacrificio e l’elemosina erano due doveri a cui una persona religiosa doveva attenersi. Ci sono pagine importanti nell’Antico Testamento, dove Dio esige un’attenzione particolare per i poveri che, di volta in volta, sono i nullatenenti, gli stranieri, gli orfani e le vedove. Nella Bibbia questo è un ritornello continuo, eh? Il bisognoso, la vedova, lo straniero, il forestiero, l’orfano: è un ritornello. Perché Dio vuole che il suo popolo guardi a questi fratelli nostri. Ma, io dirò che sono proprio al centro del messaggio: lodare Dio con il sacrificio e lodare Dio con l’elemosina.  Insieme all’obbligo di ricordarsi di loro, viene data anche un’indicazione preziosa: «Dai generosamente e, mentre doni, il tuo cuore non si rattristi» (Dt 15,10). Ciò significa che la carità richiede, anzitutto, un atteggiamento di gioia interiore. Offrire misericordia non può essere un peso o una noia da cui liberarci in fretta. E quanta gente giustifica sé stessa di dare l’elemosina dicendo: ‘Ma, come sarà questo, questo a cui io darò andrà a comprare vino per ubriacarsi!’. Ma se lui si ubriaca, è perché non ha un’altra strada! E tu cosa ne fai di nascosto? Che nessuno vede… E tu sei giudice di quel povero uomo che ti chiede una moneta per un bicchiere di vino? Mi piace ricordare l’episodio del vecchio Tobia che, dopo aver ricevuto una grande somma di denaro, chiamò suo figlio e lo istruì con queste parole: «A tutti quelli che praticano la giustizia fa’ elemosina. […] Non distogliere lo sguardo da ogni povero e Dio non distoglierà da te il suo» (Tb 4,7-8). Sono parole molto sagge che aiutano a capire il valore dell’elemosina”.

Gesù, ha detto ancora, “ci ha lasciato un insegnamento insostituibile in proposito. Anzitutto, ci chiede di non fare l’elemosina per essere lodati e ammirati dagli uomini per la nostra generosità: ‘non fare che la tua mano destra non sappia quello che faccia la sinistra’. Non è l’apparenza che conta, ma la capacità di fermarsi per guardare in faccia la persona che chiede aiuto. Ognuno di noi può domandarsi: Io sono capace di fermarmi e guardare in faccia, guardare negli occhi, la persona che mi sta chiedendo aiuto? Sono capace?”.

“Non dobbiamo identificare, quindi, l’elemosina con la semplice moneta offerta in fretta, senza guardare la persona e senza fermarsi a parlare per capire di cosa abbia veramente bisogno. Allo stesso tempo, dobbiamo distinguere tra i poveri e le varie forme di accattonaggio che non rendono un buon servizio ai veri poveri. Insomma, l’elemosina è un gesto di amore che si rivolge a quanti incontriamo; è un gesto di attenzione sincera a chi si avvicina a noi e chiede il nostro aiuto, fatto nel segreto dove solo Dio vede e comprende il valore dell’atto compiuto. Fare l’elemosina anche deve essere per noi una cosa che sia pure un sacrificio. Io ricordo una mamma: aveva tre figli, di sei, cinque e tre anni più o meno. E sempre insegnava ai figli che si doveva dare l’elemosina a quelle persone che la chiedevano. Erano a pranzo, ognuno stava mangiando un filetto alla milanese, come si dice nella mia terra, ‘impanato’. E bussano alla porta, il più grande va ad aprirla e viene dalla mamma: ‘Mamma, c’è un povero che chiede da mangiare, cosa facciamo?’. ‘Ma gli diamo – i tre – gli diamo?’. ‘Bene, prendi la metà del tuo filetto, tu prendi l’altra metà, tu l’altra metà, e ne facciamo due panini’. ‘Ah no, mamma!’. ‘Ah, no? Tu dà del tuo. Tu dai quello che ti costa’. Questo è il coinvolgersi con il povero. Io mi privo di qualcosa di mio per dartela a te. E ai genitori, attenti: educate i vostri figli a dare così l’elemosina, a essere generosi con quello che hanno”.

“Facciamo nostre allora – la conclusione di Francesco - le parole dell’apostolo Paolo: «In tutte le maniere vi ho mostrato che i deboli si devono soccorrere lavorando così, ricordando le parole del Signore Gesù, che disse: ‘Si è più beati nel dare che nel ricevere!’» (At 20,35; cfr 2 Cor 9,7).”.

 

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