29/06/2019, 10.25
VATICANO
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Papa: Pietro e Paolo, testimoni di vita, di perdono, di Gesù

Nella solennità dei due apostoli, patroni della città di Roma, papa Francesco ha benedetto 31 palli da consegnare agli arcivescovi e metropoliti ordinati quest’anno. Fra essi gli arcivescovi di Cotabato (Filippine), Hà Nôi (Vietnam), Nagpur (India), Medan (Indonesia), Mandalay (Myanmar). I due apostoli non hanno avuto vite “pulite e lineari”, ma “il Signore non compie prodigi con chi si crede giusto, ma con chi sa di essere bisognoso”.  “Testimone non è chi conosce la storia di Gesù, ma chi vive una storia di amore con Gesù”. “Cristo. Paolo ripete questo nome in continuazione, quasi quattrocento volte nelle sue lettere!”. “Chiediamo la grazia di non essere cristiani tiepidi, che vivono di mezze misure, che lasciano raffreddare l’amore”.

Città del Vaticano (AsiaNews) – “Gli Apostoli Pietro e Paolo stanno davanti a noi come testimoni”. Essi sono “testimoni di vita, testimoni di perdono e testimoni di Gesù”. Così papa Francesco ha iniziato la sua omelia nella solennità degli apostoli Pietro e Paolo, patroni della città. Per l’occasione, alla cerimonia tenutasi stamane nella basilica di san Pietro, è presente come da tradizione una delegazione del Patriarca ecumenico di Costantinopoli Bartolomeo I, a rafforzare i legami fra Chiesa cattolica e ortodossa, che ieri è stata ricevuta in udienza dal pontefice.

In questo giorno il papa benedice i palli destinati agli arcivescovi metropoliti nominati nel corso dell’anno, simbolo del Buon pastore e della comunione col pontefice. I palli sono stati riposti ieri sera davanti alla Confessione dell’apostolo Pietro, posto sotto l’altare su cui il pontefice ha celebrato la messa. Fra gli arcivescovi da tutto il mondo vi sono anche alcuni provenienti dall’Asia: mons. Angelito R. Lampon, Omi, arcivescovo di Cotabato (Filippine); mons. Joseph Vu Van Thien, arcivescovo di Hà Nôi (Vietnam); mons. Elias Joseph Gonsalves, arcivescovo di Nagpur (India); mons. Kornelius Sipayung, Ofm cap., arcivescovo di Medan (Indonesia); mons. Mark Tin Win, arcivescovo di Mandalay (Myanmar).

Nell’omelia Francesco, ha messo in luce anzitutto che i due apostoli non hanno avuto vite “pulite e lineari”; “fecero sbagli enormi: Pietro arrivò a rinnegare il Signore, Paolo a perseguitare la Chiesa di Dio. Tutti e due furono messi a nudo dalle domande di Gesù: «Simone, figlio di Giovanni, mi ami?» (Gv 21,15); «Saulo, Saulo, perché mi perseguiti?» (At 9,4)”.

“C’è – ha detto - un grande insegnamento in questo: il punto di partenza della vita cristiana non è l’essere degni; con quelli che si credevano bravi il Signore ha potuto fare ben poco. Quando ci riteniamo migliori degli altri è l’inizio della fine. Il Signore non compie prodigi con chi si crede giusto, ma con chi sa di essere bisognoso. Non è attratto dalla nostra bravura, non è per questo che ci ama. Egli ci ama così come siamo e cerca gente che non basta a sé stessa, ma è disposta ad aprirgli il cuore…  Hanno compreso che la santità non sta nell’innalzarsi, ma nell’abbassarsi: non è una scalata in classifica, ma l’affidare ogni giorno la propria povertà al Signore, che compie grandi cose con gli umili”.

Pietro e Paolo sono “testimoni del perdono”. “Nelle loro cadute hanno scoperto la potenza della misericordia del Signore, che li ha rigenerati. Nel suo perdono hanno trovato una pace e una gioia insopprimibili. Con quello che avevano combinato avrebbero potuto vivere di sensi di colpa: quante volte Pietro avrà ripensato al suo rinnegamento! Quanti scrupoli per Paolo, che aveva fatto del male a tanti innocenti! Umanamente avevano fallito. Ma hanno incontrato un amore più grande dei loro fallimenti, un perdono così forte da guarire anche i loro sensi di colpa. Solo quando sperimentiamo il perdono di Dio rinasciamo davvero. Da lì si riparte, dal perdono; lì ritroviamo noi stessi: nella Confessione”.

Ma soprattutto, Pietro e Paolo sono stati “testimoni di Gesù”. “Gesù non è il passato, ma il presente e il futuro. Non un personaggio lontano da ricordare, ma Colui al quale Pietro dà del tu: Tu sei il Cristo. Per il testimone, più che un personaggio della storia, Gesù è la persona della vita: è il nuovo, non il già visto; la novità del futuro, non un ricordo del passato. Dunque, testimone non è chi conosce la storia di Gesù, ma chi vive una storia di amore con Gesù. Perché il testimone, in fondo, questo solo annuncia: che Gesù è vivo ed è il segreto della vita. Vediamo infatti Pietro che, dopo aver detto: Tu sei il Cristo, aggiunge: «il Figlio del Dio vivente» (v. 16). La testimonianza nasce dall’incontro con Gesù vivo. Anche al centro della vita di Paolo troviamo la stessa parola che trabocca dal cuore di Pietro: Cristo. Paolo ripete questo nome in continuazione, quasi quattrocento volte nelle sue lettere! Per Lui Cristo non è solo il modello, l’esempio, il punto di riferimento: è la vita. Scrive: «Per me il vivere è Cristo» (Fil 1,21). Gesù è il suo presente e il suo futuro, al punto che giudica il passato spazzatura di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo (cfr Fil 3,7-8).

“Davanti a questi testimoni, chiediamoci: ‘Io rinnovo ogni giorno l’incontro con Gesù?’. Magari siamo dei curiosi di Gesù, ci interessiamo di cose di Chiesa o di notizie religiose. Apriamo siti e giornali e parliamo di cose sacre. Ma così si resta al che cosa dice la gente, ai sondaggi, al passato. A Gesù interessa poco. Egli non vuole reporter dello spirito, tanto meno cristiani da copertina. Egli cerca testimoni, che ogni giorno Gli dicono: ‘Signore, tu sei la mia vita’”.

“Chiediamo la grazia di non essere cristiani tiepidi, che vivono di mezze misure, che lasciano raffreddare l’amore. Ritroviamo nel rapporto quotidiano con Gesù e nella forza del suo perdono le nostre radici. Gesù, come a Pietro, chiede anche a te: ‘Chi sono io per te?’; ‘mi ami tu?’. Lasciamo che queste parole ci entrino dentro e accendano il desiderio di non accontentarci del minimo, ma di puntare al massimo, per essere anche noi testimoni viventi di Gesù”.

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