Papa: Il ‘Vieni e vedi’ del Vangelo serve anche per un buon giornalismo
Nel Messaggio per la 55ma Giornata mondiale delle comunicazioni sociali, papa Francesco suggerisce una comunicazione basata sull’incontro diretto con realtà, persone, esperienze. Il rischio dei “giornali fotocopia” e dell’informazione preconfezionata, “di palazzo”. L’informazione sulla pandemia deve parlare anche delle attese e dei vaccini per i “più poveri dell’Asia, dell’America Latina e dell’Africa” e della miseria in cui sono cadute molte famiglie. L’eloquenza “vuota” di commercianti e politici. Il “Vieni e vedi” della missione.
Città del Vaticano (AsiaNews) – Il “Vieni e vedi”, che caratterizza i primi incontri di Gesù, narrati nel vangelo di Giovanni, è “il metodo di ogni autentica comunicazione umana”. Esso garantisce l’incontro con realtà, persone, esperienze senza la “comoda presunzione del ‘già saputo’”, aprendo alle sorprese e alle novità. Tale metodo è fondamentale anche per essere un buon giornalista.
Papa Francesco introduce così il suo 55mo Messaggio per la Giornata mondiale delle comunicazioni sociali che di solito si celebra nella solennità dell’Ascensione (quest’anno il 16 maggio). Il titolo è proprio: «Vieni e vedi» (Gv 1,46). Comunicare incontrando le persone dove e come sono.
Il testo è stato diffuso oggi, vigilia della memoria di san Francesco di Sales, patrono dei giornalisti. Nel Messaggio, il papa cita anche un altro possibile patrono, Manuel Lozano Garrido (1920-1971), beatificato nel 2010 da Benedetto XVI. Il Lozano (detto “Lolo”), consigliava ai suoi amici e colleghi giornalisti: “Apri con stupore gli occhi a ciò che vedrai, e lascia le tue mani riempirsi della freschezza della linfa, in modo che gli altri, quando ti leggeranno, toccheranno con mano il miracolo palpitante della vita”.
Per il pontefice, il mondo della comunicazione sta vivendo proprio al contrario. Francesco parla di “giornali fotocopia” e di “notiziari tv e radio e siti web sostanzialmente uguali, dove il genere dell’inchiesta e del reportage perdono spazio e qualità a vantaggio di una informazione preconfezionata, ‘di palazzo’, autoreferenziale, che sempre meno riesce a intercettare la verità delle cose e la vita concreta delle persone, e non sa più cogliere né i fenomeni sociali più gravi né le energie positive che si sprigionano dalla base della società. La crisi dell’editoria rischia di portare a un’informazione costruita nelle redazioni, davanti al computer, ai terminali delle agenzie, sulle reti sociali, senza mai uscire per strada, senza più ‘consumare le suole delle scarpe’, senza incontrare persone per cercare storie o verificare de visu certe situazioni”.
Con il metodo del “Vieni e Vedi” è possibile scoprire e narrare aspetti nuovi, inusuali, più completi della realtà. Come esempio, il papa cita l’informazione sulla pandemia da coronavirus, in cui si parla poco della “attesa di guarigione nei villaggi più poveri dell’Asia, dell’America Latina e dell’Africa”; della squilibrata distribuzione dei vaccini; delle famiglie impoverite che “fanno la fila davanti ai centri Caritas per ricevere un pacco di viveri”.
Il pontefice esalta la rete e i social, che ci rendono possibili “testimoni di eventi che altrimenti sarebbero trascurati dai media tradizionali”, ma mette anche in guardia dalla diffusione di notizie non verificate, immagini manipolate, frutto di una comunicazione malata di “banale narcisismo”.
Infine, il “Vieni e vedi” è importante per lo stesso testimone: solo se uno ha veduto, la sua comunicazione sarà vera, efficace, coinvolgente.
Francesco mette il dito nella piaga sulla “eloquenza vuota [che] abbonda anche nel nostro tempo, in ogni ambito della vita pubblica, nel commercio come nella politica”. E cita Shakespeare del “Mercante di Venezia”: “Sa parlare all’infinito e non dir nulla. Le sue ragioni sono due chicchi di frumento in due staia di pula. Si deve cercare tutto il giorno per trovarli e, quando si son trovati, non valgono la pena della ricerca”.
Ma è qualcosa di importante anche per la comunicazione evangelica e la missione: “Tutti gli strumenti sono importanti, e quel grande comunicatore che si chiamava Paolo di Tarso si sarebbe certamente servito della posta elettronica e dei messaggi social; ma furono la sua fede, la sua speranza e la sua carità a impressionare i contemporanei che lo sentirono predicare ed ebbero la fortuna di passare del tempo con lui, di vederlo durante un’assemblea o in un colloquio individuale”.
Prima di una preghiera finale, egli conclude: “Da più di duemila anni è una catena di incontri a comunicare il fascino dell’avventura cristiana. La sfida che ci attende è dunque quella di comunicare incontrando le persone dove e come sono”.
24/01/2021 12:32