Papa nei Paesi baltici: in Estonia ascoltare i giovani che ‘non ci chiedono più nulla’
Alcuni ragazzi “chiedono espressamente di essere lasciati in pace, perché sentono la presenza della Chiesa come fastidiosa e perfino irritante”. “Vogliamo rispondere a loro, vogliamo, essere una comunità trasparente, accogliente, onesta, attraente, comunicativa, accessibile, gioiosa e interattiva”. Il rischio che le società tecnocratiche facciano perdere il senso della vita.
Tallinn (AsiaNews) - Ascoltare i giovani, molti dei quali “non ci chiedono nulla perché non ci ritengono interlocutori significativi per la loro esistenza” ed essere creatori di legami in società nelle quali la tecnologia fa perdere il senso della vita, la gioia di vivere. Sono i compiti che papa Francesco vede affidati alle Chiese, indicati nei primi incontri della sua visita in Estonia, ultimo dei Paesi toccati nel suo viaggio.
E’ il più piccolo dei Paesi baltici, accomunato ai suoi vicini da vicende storiche, ma diverso, tra l’altro, per la lingua, ugrofinnica e non slava, e per un forte sviluppo economico e tecnologico. Ma è anche, statisticamente, il Paese meno religioso del mondo: solo un quarto dei suoi abitanti si dichiara credente e i cattolici sono meno dell’uno per cento dei suoi 1.400mila abitanti.
Sviluppo e fede, in particolare dei giovani, i temi dei due incontri principali della mattinata di Tallinn.
Essere “artigiani di legami” all’interno di una società tecnologicamente avanzata è stata la raccomandazione che Francesco ha rivolto alle autorità politiche e culturali del Paese.
“Uno dei fenomeni che possiamo osservare nelle nostre società tecnocratiche – ha detto - è la perdita del senso della vita, della gioia di vivere e, quindi, uno spegnersi lento e silenzioso della capacità di meraviglia, che spesso immerge la gente in una fatica esistenziale. La consapevolezza di appartenere e di lottare per gli altri, di essere radicati in un popolo, in una cultura, in una famiglia può andare perduta a poco a poco privando, soprattutto i più giovani, di radici a partire dalle quali costruire il proprio presente e il proprio futuro, perché li si priva della capacità di sognare, di rischiare, di creare. Mettere tutta la fiducia nel progresso tecnologico come unica via possibile di sviluppo può causare la perdita della capacità di creare legami interpersonali, intergenerazionali e interculturali, vale a dire di quel tessuto vitale così importante per sentirci parte l’uno dell’altro e partecipi di un progetto comune nel senso più ampio del termine. Di conseguenza, una delle responsabilità più rilevanti che abbiamo quanti assumiamo un incarico sociale, politico, educativo, religioso sta proprio nel modo in cui diventiamo artigiani di legami”.
“Una terra feconda richiede scenari a partire dai quali radicare e creare una rete vitale in grado di far sì che i membri delle comunità si sentano ‘a casa’. Non c’è peggior alienazione che sperimentare di non avere radici, di non appartenere a nessuno. Una terra sarà feconda, un popolo darà frutti e sarà in grado di generare futuro solo nella misura in cui dà vita a relazioni di appartenenza tra i suoi membri, nella misura in cui crea legami di integrazione tra le generazioni e le diverse comunità che lo compongono; e anche nella misura in cui rompe le spirali che annebbiano i sensi, allontanandoci sempre gli uni dagli altri”.
Vicinanza e ascolto che sono stati al centro anche dell’incontro con i giovani nella Kaarli Lutheran Church (nella foto). Incontro caloroso e segnato da canti e testimonianze, al quale ha voluto essere presente anche la presidente della Repubblica, Kersti Kaljulaid.
“Tante volte – ha rimarcato Francesco - le comunità cristiane si chiudono e non ascoltano”. “Sappiamo – ha proseguito - che voi volete e vi aspettate «di essere accompagnati non da un giudice inflessibile, né da un genitore timoroso e iperprotettivo che genera dipendenza, ma da qualcuno che non ha timore della propria debolezza e sa far risplendere il tesoro che, come vaso di creta, custodisce al proprio interno (cfr 2 Cor 4,7)» (ibid., 142). Oggi qui voglio dirvi che vogliamo piangere con voi se state piangendo, accompagnare con i nostri applausi e le nostre risate le vostre gioie, aiutarvi a vivere la sequela del Signore”.
Ricordata poi la prossima apertura del Sinodo dedicato proprio ai giovani, “sappiamo – ha proseguito – che molti giovani non ci chiedono nulla perché non ci ritengono interlocutori significativi per la loro esistenza. E’ brutto questo, quando una Chiesa una comunità si comporta in modo che i giovani non chiedono nulla”. “Alcuni, anzi, chiedono espressamente di essere lasciati in pace, perché sentono la presenza della Chiesa come fastidiosa e perfino irritante. Questo è vero. Li indignano gli scandali sessuali ed economici di fronte ai quali non vedono una condanna netta; il non saper interpretare adeguatamente la vita e la sensibilità dei giovani per mancanza di preparazione; o semplicemente il ruolo passivo che assegniamo loro (cfr Sinodo dedicato ai giovani, Instrumentum laboris, 66). Queste sono alcune delle vostre richieste. Vogliamo rispondere a loro, vogliamo, come voi stessi dite, essere una «comunità trasparente, accogliente, onesta, attraente, comunicativa, accessibile, gioiosa e interattiva» (ibid., 67). Cioè una comunità senza paura. Le paure ci chiudono”.
“Vedendovi così, riuniti, a cantare – ha detto ancora - mi unisco alla voce di Gesù e resto ammirato, perché voi, nonostante la nostra mancanza di testimonianza, continuate a scoprire Gesù in seno alle nostre comunità. Perché sappiamo che dove c’è Gesù c’è sempre rinnovamento, c’è sempre l’opportunità della conversione, di lasciarsi alle spalle tutto ciò che ci separa da Lui e dai nostri fratelli. Dove c’è Gesù, la vita ha sempre sapore di Spirito Santo. Voi, qui oggi, siete l’attualizzazione di quella meraviglia di Gesù.
Allora sì, diciamo di nuovo: «Venite a me, voi tutti che siete stanchi e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11,28). Ma lo diciamo convinti che, al di là dei nostri limiti, delle nostre divisioni, Gesù continua ad essere il motivo per essere qui. Sappiamo che non c’è sollievo più grande che lasciare che Gesù porti le nostre oppressioni. Sappiamo anche che ci sono molti che ancora non lo conoscono e vivono nella tristezza e nello smarrimento. Una vostra famosa cantante, circa dieci anni fa, diceva in una delle sue canzoni: «L’amore è morto, l’amore se n’è andato, l’amore non vive più qui» (Kerli Kõiv, L’amore è morto). No per favore, facciamo che l’amore sia vivo”.
“E così piace a Gesù; perché Lui passò facendo il bene, e quando è morto ha preferito alle parole il gesto forte della croce. Noi siamo uniti dalla fede in Gesù, ed è Lui che attende che lo portiamo a tutti i giovani che hanno perso il senso della loro vita. E anche il rischio è anche per noi, perdere il senso della vita. E questo succede quando noi credenti siamo incoerenti. Accogliamo insieme quella novità che Dio porta nella nostra vita; quella novità che ci spinge a partire sempre di nuovo, per andare là dove si trova l’umanità più ferita. Dove gli uomini, al di là dell’apparenza di superficialità e conformismo, continuano a cercare una risposta alla domanda sul senso della loro vita. Ma non andremo mai da soli: Dio viene con noi”.
23/09/2018 17:05