16/05/2019, 15.38
KAZAKHSTAN
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Nur-Sultan, rimpatriati dalla Siria 231 kazaki per temuti legami con lo Stato islamico

Tra di loro ci sono 156 bambini, la maggior parte al di sotto dei sei anni. Le autorità credono che siano figli di foreign fighters. Almeno 4mila giovani delle Repubbliche centro-asiatiche sono stati reclutati dal Califfato islamico. Importante “neutralizzare la minaccia rappresentata dal rientro spontaneo dei terroristi”.

Nur-Sultan (AsiaNews/Agenzie) – Le autorità del Kazakhstan hanno rimpatriato 231 connazionali che si trovavano in Siria. Secondo il presidente ad interim Qasym-Zhomart Toqaev, che reggerà il Paese fino alle elezioni di giugno dopo le dimissioni a sorpresa di Nursultan Nazarbayev, i rimpatriati avrebbero legami con lo Stato islamico e si trovavano nel Paese mediorientale perché si erano uniti ai militanti. Tra le persone fatte rientrare, ci sono anche 156 bambini, la maggior parte al di sotto dei sei anni.

In una conferenza stampa tenuta il 13 maggio, il vice ministro della Difesa Yerzhan Ashikbayev ha riferito che i kazaki recuperati in Siria sono 16 uomini, 59 donne e 156 minori. Appena sbarcati sul suolo kazako, la polizia ha arrestato tutti gli uomini e quattro donne per legami con il terrorismo islamico. Le autorità di Nur-Sultan (nuovo nome della capitale Astana, conferito in onore del presidente dimissionario) credono che tra i piccoli ci siano anche diversi figli di foreign fighters. Tra l’altro 18 di loro sono orfani.

Oltre all’operazione condotta all’inizio di maggio, ma resa nota solo nei giorni scorsi, a gennaio il Kazakhstan ha rimpatriato altri 47 cittadini. Il Paese non è l’unica Repubblica ex sovietica dell’area ad aver fermato presunti terroristi. All’inizio di questo mese il governo del Tajikistan ha riportato a casa 84 bambini che si trovavano in Iraq (foto 2). I piccoli sono figli di donne tajike spose dell’Isis, incarcerate per essersi unite ai miliziani o in attesa di processo.

In Asia Centrale il reclutamento di giovani musulmani nella guerra condotta dal Califfato contro le potenze occidentali è una questione di lunga data. Secondo fonti ufficiali, dalla regione sono partite almeno 4mila persone che si sono servite di rotte russe e mediorientali per andare a combattere in Siria e Iraq.

Per contrastare il fascino ideologico che l’organizzazione islamica può esercitare sulle menti dei giovani, nel 2015 gli ulema del Kyrgyzstan hanno emesso una “scomunica” nei confronti dello Stato islamico. I capi religiosi musulmani hanno esortato ad una radicale riforma dell’insegnamento religioso per diffondere “il vero Islam [che] si è sempre opposto all’estremismo e all’uccisione di persone innocenti”. Per contrastare le idee radicali tra i giovani, in seguito il governo di Dushanbe ha bandito il pellegrinaggio alla Mecca (hajj) a tutti coloro che non superano i 35 anni.

Il coinvolgimento dei cittadini di origine centro-asiatica in operazioni di terrorismo internazionale è emerso in tutta la sua portata distruttiva con diversi attentati negli anni scorsi: Sayfullo Saipov, autore della strage di Halloween a New York nell’ottobre 2017, proveniva dall’Uzbekistan; Akbarzhon Jalilov, responsabile dell’attentato alla metro di San Pietroburgo nell’aprile 2017, era del Kyrgyzstan; Abdulkadir Masharipov, il jihadista che ha provocato la strage di Capodanno al club Reina di Instabul nel 2017, era di nazionalità uzbeka; Gulmurod Khalimov, noto comandante delle forze speciali di polizia del Tajikistan, si era unito all’Is nel 2015 ed è stato ucciso in Siria nel 2017.

Secondo Amanzhol Urazbayev, colonnello del Comitato per la sicurezza nazionale (Knb), la recente missione del Kazakhstan “non è solo umanitaria. È anche importante che l’evacuazione [dei cittadini] consenta al Kazakhstan di neutralizzare la minaccia rappresentata dal rientro spontaneo dei terroristi in patria”. Al tempo stesso, altri esperti evidenziano il rischio che il terrorismo islamico sia usato come “pretesto” dai governi per reprimere il dissenso interno.

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