Missionario: 25 anni di Chiesa in Mongolia, la ‘freschezza’ dell’annuncio del Vangelo
P. Giorgio Marengo è un missionario della Consolata, nella steppa asiatica da 14 anni. Nel 1992 la Mongolia accetta la presenza della Chiesa cattolica. Oggi ci sono sette parrocchie, 77 missionari, un sacerdote locale e 1255 battezzati. “Qui si vive come negli Atti degli Apostoli”.
Arvaiheer (AsiaNews) – Una Chiesa giovane, di appena 25 anni, ma con un tratto distintivo: la “freschezza” dell’annuncio del Vangelo. Lo dice ad AsiaNews p. Giorgio Marengo, missionario della Consolata, in Mongolia dal 2003. Con lui tracciamo un bilancio dei primi 25 anni di Chiesa cattolica nel Paese. A partire dai primi tre missionari arrivati nel 1992 quando si sono aperte le relazioni diplomatiche con la Santa Sede, oggi sul territorio ci sono sette parrocchie e tre centri missionari. I cattolici hanno fatto tanto, “soprattutto nel campo sociale. Ma tanto altro c’è ancora da fare”; il rapporto tra Chiesa universale e locale; la “discrezione”, come atteggiamento chiave per entrare in sintonia con le persone; “non perdersi in fronzoli” nel testimoniare la fede.
P. Giorgio quali sono state le iniziative per festeggiare i primi 25 anni della Chiesa cattolica in Mongolia?
Ce ne sono state due molto significative. La prima, la celebrazione eucaristica del 19 luglio, una grande messa nella cattedrale di Ulaanbaatar, presieduta da mons. Wenceslao Padilla, il nostro prefetto apostolico. Presenti molti invitati, tra cui il vescovo ausiliare della diocesi di Daejeon in Corea [con cui la Chiesa locale ha ottimi rapporti, ndr], mons. Marco Sprizzi, chargé d'affaires ad interim della nunziatura, e gli altri due missionari arrivati nel 1992 come pionieri della Chiesa cattolica in Mongolia, un filippino e un belga.
Il secondo evento, dal 23 al 26 novembre, ha avuto un carattere più riflessivo: l’assemblea generale, una versione più agile di un sinodo locale, convocata proprio per riflettere su questi 25 anni, sulla situazione attuale e su come proiettarci verso il futuro. Hanno partecipato i vari gruppi missionari e rappresentanti delle parrocchie. In quell’occasione si è discusso un testo, che il vescovo promulgherà nei prossimi mesi, e servirà da linee guida per prossimi cinque anni.
Tracciamo un bilancio di questo quarto di secolo di presenza cattolica nel Paese. A partire dai primi tre missionari arrivati nel 1992, qual è la situazione oggi? E quali le principali sfide, gli ambiti di intervento dove ancora manca l'opera dei cattolici?
In linea di massima, 25 anni sono pochi, ma sono già un numero congruo per fare delle considerazioni. Si vorrebbe andare ancora oltre nel radicarsi della fede nelle persone, e tentare di raggiungere gli strati della società dove siamo ancora estranei. Fino a pochi mesi fa, i battezzati erano 1255, un numero minimo [rispetto ad una popolazione di tre milioni di abitanti, ndr]. Essere più presenti vuol dire avere un impatto maggiore all’interno della società. Allo stesso tempo, significa radicarsi a livello di famiglie, di persone adulte che cominciano a trasmettere la loro fede ai propri figli. In parallelo, la questione dell’inculturazione, cioè cercare di coniugare l'azione evangelizzatrice con la dovuta conoscenza della loro identità culturale e storica e cercare di far sì che anche le persone possano esprimere la propria fede in una forma a loro vicina, secondo i propri schemi e simbologia.
Quali sono state, e quali continuano ad essere le opere della Chiesa?
L’attività prevalente è stato l’impegno nel sociale. Il “grande investimento” dei primi anni, che continua ancora oggi, è l’attività di promozione umana, l’attenzione ai poveri con disparati progetti. Si parla di educazione, sanità, accoglienza dei bambini abbandonati. Da qualche anno possiamo contare anche sulla collaborazione di Caritas Mongolia. Poi ogni parrocchia sviluppa i propri progetti, che si snodano dal sostegno all’agricoltura a quello verso le donne, borse di studio, avviamento al lavoro.
Noi, nella parrocchia di Arvaiheer, svolgiamo diverse attività. Un programma quotidiano di doposcuola, una sorta di centro educativo e ricreativo, in cui aiutiamo i ragazzi a fare i compiti e “spendiamo” tempo con loro in giochi e altre attività ludico-ricreative, come corsi d’inglese e di musica. Poi una scuola materna informale, dove studiano 27 bambini dai due ai cinque anni. Un altro progetto per 30 donne in difficoltà che praticano corsi di taglio e cucito e realizzano borse in stoffa e feltro. La nostra missione fornisce loro il materiale e il design, poi compra i loro prodotti e li rivende agli amici. Abbiamo anche un servizio di docce pubbliche gratuite due volte a settimana, per venire incontro all’emergenza sanitaria. C'è anche un “gruppo della carità” composto da parrocchiani, che raccolgono le richieste immediate della popolazione povera e distribuisce aiuti. Da due anni ospitiamo nei nostri locali anche un gruppo di Alcolisti Anonimi, perchè qui l’alcolismo è davvero una piaga sociale. Il gruppo non è numeroso, si tratta di 7-8 persone che non frequentano in modo assiduo. Ma l’aspetto positivo è che le persone con problemi di dipendenza avvertono che è si tratta di un impegno rodato nel tempo, che dà loro punti di riferimento chiari e li aiuta a ricostruire la propria volontà e a fare verità nella loro vita.
Quali sono i numeri della presenza cattolica?
In tutto il Paese ci sono sette parrocchie e tre centri missionari, cioè una sorta di sotto-parrocchie. Oltre al primo sacerdote diocesano mongolo ordinato lo scorso anno, i missionari sono in tutto 77, appartenenti a 10 congregazioni. Di questi, 26 sacerdoti (21 religiosi, quattro diocesani fidei donum e il prete mongolo), 45 suore, una laica volontaria. Avevamo anche due laici missionari, che però sono dovuti rientrare in Polonia per problemi di salute. I missionari provengono da 22 Paesi, siamo molto internazionali.
Lei come è stato accolto dalla popolazione della Mongolia? E quali le difficoltà e le soddisfazioni?
Si tratta di un’esperienza totalizzante. La Mongolia ha una sua grandissima identità, storia e cultura radicate e profonde. Entrare in questo contesto mi ha reso entusiasta e riconoscente. È stato importante entrare in punta di piedi in una realtà simile, per poter conoscere, apprezzare e dialogare. Se non si conosce non si ama e per amare bisogna conoscere. A partire dalla lingua, dalla storia e dalle identità religiose, in particolare il buddismo tibetano e sciamanesimo. Ancora oggi, dopo 14 anni, mi ritengo uno studente, la conoscenza è un processo che non finisce mai.
Sono stato accolto bene, ma essendo straniero sono sotto la lente d’ingrandimento. Per questo è fondamentale che si creino delle relazioni di fiducia e rispetto reciproco. È una vera e propria scuola di umiltà, che ci spinge a scendere dai nostri piedistalli e metterci umilmente al servizio della gente imparando ogni giorno dagli errori che si commettono.
Papa Francesco ripete spesso di "uscire e andare nelle periferie" ad annunciare il Vangelo. Ma come si testimonia Cristo in una Chiesa così piccola, con una popolazione così orgogliosa delle proprie tradizioni?
Non ci sono ricette pronte, ma alcuni atteggiamenti di fondo che possono aiutare, come il cammino della promozione umana, i progetti e la vicinanza. Ma soprattutto la “discrezione”, cercare di entrare in sintonia ed empatia con le persone con cui si vive, conoscendo i propri limiti e consapevoli che veniamo visti come delle mosche bianche. Ci vuole discrezione e disponibilità a rispondere alle domande. Ma anche autenticità, essere il più possibile vicino alle persone rispettando i loro tempi. Le persone si allontanano quando si insiste troppo, c’è un rifiuto istintivo quando si sentono pressate. Quindi bisogna essere disposti a lavorare su tempi lunghi, ad accogliere le persone come singoli. Quando ci sono le condizioni che lo permettono, bisogna cercare di andare al cuore delle cose, non perdersi in fronzoli, andare all’essenziale della nostra fede e cercare di testimoniarla con semplicità. Per questo è importante fare attenzione alla liturgia, alla catechesi, predicazione. Il messaggio del Vangelo passa più attraverso tutto questo che non attraverso slogan e campagne urlate.
Come fa una Chiesa così piccola a sentirsi parte della Chiesa universale? E allo stesso tempo, come può arricchire la Chiesa di Roma?
Una Chiesa così piccola e nuova, recente, può dare molto in termini di “freschezza”. Noi siamo quotidianamente testimoni di come l’annuncio del Vangelo generi nuovi credenti che a loro volta formano la comunità e diventano piccole luci all’interno della società. Rispetto ad un’altra Chiesa con secoli di storia, siamo testimoni in prima persona di questa freschezza della novità del Vangelo, dello scandalo della predicazione che provoca la conversione. Questa è la bellezza di una Chiesa che nasce, che cerca di trovare il proprio posto nella società, e di ciò che lo Spirito suscita che nessuno poteva programmare. L’incontro tra il Vangelo e una cultura che ne è stata sempre lontano è qualcosa di bello, sconvolgente, affascinante.
Tutto questo ricorda alla Chiesa universale che qui si vive come negli Atti degli Apostoli: strade che si aprono e altre che si chiudono. Allo stesso tempo, i cattolici mongoli si sentono in comunione con tutta la Chiesa e in particolare con il papa. Si sentono parte di una famiglia che è molto più grande di quella che vedono.
27/12/2018 11:21
04/04/2018 11:30